In Italia per mezzo secolo il primo
sponsor dello sport è stato lo scommettitore
dei concorsi pronostici. Dal
1992 si assiste ad un costante calo
delle scommesse sportive. Alla fine del
1998 la giunta del Coni ha deliberato
un taglio del 30% sui trasferimenti di
risorse finanziarie a favore dei bilanci
delle federazioni (nel 1995 coperti per
il 70%).
Sta per concludersi il primo anno di
“dieta” che merita alcune considerazioni.
Lo sport di base scopre nuove risorse
(gestione impiantistica pubblica) e non
entra in crisi per il milione in meno di
contributo federale a sodalizio.
Lo sport professionistico in regime
della legge n. 91/1981 sostenuto dai
diritti tv non è entrato in crisi (calcio
e basket di A, auto, moto e ciclismo).
Questo settore si è affrancato dalle lotterie.
Ma non completamente: calcio
e basket di B navigano a vista, mentre
il calcio di C boccheggia. Lo sport di
vertice fuori dalla legge 91/1981 e parastatale
(forze armate e dell’ordine) non
è entrato in crisi, se è vero che i risultati
sportivi del ’99 sono in linea con quelli
dei periodi floridi. Ma fino a quando?
Questo è il punto. In prospettiva il settore
più a rischio è quello della formazione
degli sportivi (14/18anni) nella fascia
fra lo sport di base e quello di vertice
militarizzato e non.
Lo stato è intervenuto con un
provvedimento tampone (150 miliardi
per Sydney), ma in attesa del
Totoscommesse a regime, non è disponibile
per altri aiuti (dirottare parte delle
entrate del Lotto allo sport). Perchè?
Difficile ipotizzare una punizione per
un settore che ha vissuto spesso al di
sopra delle possibilità; più probabile
una impotenza di fronte al modello
di formazione sportiva (patto scuola,
aziende e fondazioni) diffuso all’estero
e che il Paese sta scoprendo solo ora in
altri campi (ricerca, musica...).