In merito al dissesto economico
finanziario del Coni la stampa nazionale
si occupa con maggiore frequenza in
questi ultimi tempi.
Tuttavia la sensazione è quella che
l’opinione pubblica in generale non
colga la gravità del fatto. D’altronde i
giovani continuano a praticare l’attività
motoria presso le associazioni sportive
non professionistiche, la cui sopravvivenza
anche in un recente passato non
è mai stata legata in media ai contributi
Coni distribuiti in periferia.
Non c’è dubbio che su quell’atteggiamento,
complice il concetto dell’autonomia
dello sport, pesa la disabitudine
ad inquadrare il Comitato olimpico
nazionale alla stregua di una qualsiasi
pubblica istituzione alle prese con una
crescente spesa corrente rappresentata
dagli oneri di gestione; fra quelli di
natura variabile il costo della manodopera
ha una incidenza rilevante. Anche
sui conti del comitato, i cui lavoratori
intesi come sportivi di alto profilo (P.O.
probabili olimpici) ed occupati nel ramo
impiegatizio sono i primi ad essere coinvolti
in questa situazione.
I quadri tecnici e gli atleti vedono
ridimensionati premi e borse di studio.
Le preparazioni olimpiche sono in
sostanza finanziate dai contribuenti italiani,
che permettono ad alcuni ministeri
(difesa, interni, finanze) di mantenere
in carico i rispettivi gruppi sportivi, ed
agli ultimi governi di garantire delle
aperture di credito pro Coni presso la
Banca Nazionale del Lavoro.
Tuttavia certe discipline anche olimpiche
non sono contemplate nei programmi
ministeriali, ed inoltre non è
più possibile chiedere ulteriori sforzi al
soggetto famiglia che, tra l’altro, sostiene
la prole in carriera ben oltre la fase
di avviamento e di specializzazione
sportiva. E’ evidente che occorre allora
studiare il coinvolgimento dei primari
gruppi industriali nazionali con misure
agevolative (crediti di imposta, riduzioni
contributive...) per l’ “adozione” degli
sportivi P.O..
Sul fronte del personale impiegatizio
il panorama è per certi versi ancora più
delicato.
Il blocco delle assunzioni è stato
tardivo rispetto al crollo delle entrate
derivanti dalle scommesse sportive,
proventi primari per un Coni che sul
mercato delle sponsorizzazioni deve
poi fare i conti con la snellezza operativa
delle “nuove” federazioni, “titolari”
dirette dei propri campioni.
Affidare la gestione di alcuni servizi
all’esterno potrebbe essere una ipotesi,
ma la contropartita sarebbe costosa per
la collettività: licenziamento e riassorbimento
del personale presso alcuni
ministeri, oppure prepensionamento di
massa.