Nella scorsa puntata abbiamo preso
atto della duplicazione di adempimenti
formali e concreti (pagamento di oneri)
in capo ai soggetti del mondo sportivo,
inteso come “Stato nello Stato”. Oggi
ci soffermiamo su di una situazione di
attualità altrettanto anomala causata
viceversa dal non allineamento delle
legislazioni dei “due Stati”. Alla base di
quanto sopra è evidente l’assenza di
uno scambio di informazioni e di conoscenze
fra le parti.
Il legislatore dovrebbe sapere intanto
(od essere messo a conoscenza) che sul
pianeta sportivo il contratto di lavoro
subordinato è obbligo di legge solo per
quei campionati per i quali i consigli
nazionali di alcune federazioni (calcio,
pallacanestro, ciclismo, motociclismo,
automobilismo, golf ) hanno deliberato
l’applicazione della legge sul professionismo
sportivo.
Già questo meriterebbe uno studio
preliminare per una revisione dell’intera
materia ruotante intorno ad un nuovo
presupposto: la natura delle prestazioni
di manodopera sportiva non può
dipendere esclusivamente dalla delibera
di un ente, la federazione, di fatto
terzo rispetto alle parti (società ed atleta)
con le loro esigenze.
A parità di impegno occupazionale
oggi un cestista ed un pallavolista
entrambi di serie A sono rispettivamente
un lavoratore sportivo dipendente a
tutti gli effetti ed un percipiente di compensi
che il legislatore non ha potuto
fare altro che classificare fra i redditi
diversi, cioè residuali.
Questa evidente contraddizione si
manifesta con la prossima entrata in
vigore della normativa sulla regolarizzazione
degli extracomunitari lavoratori
“dipendenti”. Blocco delle frontiere a
parte, occorre a questo punto domandarsi
come potranno essere regolarizzate
le migliaia di sportivi extracomunitari
(istruttori ed atleti) operanti in
tutte quelle discipline dove è inibito il
contratto di lavoro subordinato sportivo,
e dove quello di lavoro autonomo,
previsto dall’art. 40, comma 17 del D.P.R.
n. 394/99, di fatto non esiste perchè lo
sportivo (soprattutto l’atleta) non è un
soggetto Iva.
Preso atto della specificità dello
sport, al legislatore non rimane allora
che equiparare a quello di lavoro
sportivo dipendente (professionismo)
il contratto di prestazioni sportive dilettantistiche
(Legge n. 133/99, quella
dei 10milioni di vecchie lire esentasse),
sanando ciò che di fatto avviene negli
uffici dell’immigrazione. In caso contrario
assisteremo ad un boom di colf
e badanti con la passione per lo sport,
od a quello di addetti alle pulizie degli
impianti sportivi.