No dipendente? Ahi, ahi, ahi!

20 Settembre 2002

Nella scorsa puntata abbiamo preso

atto della duplicazione di adempimenti

formali e concreti (pagamento di oneri)

in capo ai soggetti del mondo sportivo,

inteso come “Stato nello Stato”. Oggi

ci soffermiamo su di una situazione di

attualità altrettanto anomala causata

viceversa dal non allineamento delle

legislazioni dei “due Stati”. Alla base di

quanto sopra è evidente l’assenza di

uno scambio di informazioni e di conoscenze

fra le parti.

Il legislatore dovrebbe sapere intanto

(od essere messo a conoscenza) che sul

pianeta sportivo il contratto di lavoro

subordinato è obbligo di legge solo per

quei campionati per i quali i consigli

nazionali di alcune federazioni (calcio,

pallacanestro, ciclismo, motociclismo,

automobilismo, golf ) hanno deliberato

l’applicazione della legge sul professionismo

sportivo.

Già questo meriterebbe uno studio

preliminare per una revisione dell’intera

materia ruotante intorno ad un nuovo

presupposto: la natura delle prestazioni

di manodopera sportiva non può

dipendere esclusivamente dalla delibera

di un ente, la federazione, di fatto

terzo rispetto alle parti (società ed atleta)

con le loro esigenze.

A parità di impegno occupazionale

oggi un cestista ed un pallavolista

entrambi di serie A sono rispettivamente

un lavoratore sportivo dipendente a

tutti gli effetti ed un percipiente di compensi

che il legislatore non ha potuto

fare altro che classificare fra i redditi

diversi, cioè residuali.

Questa evidente contraddizione si

manifesta con la prossima entrata in

vigore della normativa sulla regolarizzazione

degli extracomunitari lavoratori

“dipendenti”. Blocco delle frontiere a

parte, occorre a questo punto domandarsi

come potranno essere regolarizzate

le migliaia di sportivi extracomunitari

(istruttori ed atleti) operanti in

tutte quelle discipline dove è inibito il

contratto di lavoro subordinato sportivo,

e dove quello di lavoro autonomo,

previsto dall’art. 40, comma 17 del D.P.R.

n. 394/99, di fatto non esiste perchè lo

sportivo (soprattutto l’atleta) non è un

soggetto Iva.

Preso atto della specificità dello

sport, al legislatore non rimane allora

che equiparare a quello di lavoro

sportivo dipendente (professionismo)

il contratto di prestazioni sportive dilettantistiche

(Legge n. 133/99, quella

dei 10milioni di vecchie lire esentasse),

sanando ciò che di fatto avviene negli

uffici dell’immigrazione. In caso contrario

assisteremo ad un boom di colf

e badanti con la passione per lo sport,

od a quello di addetti alle pulizie degli

impianti sportivi.









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