Malato da capo a piedi

29 settembre 2000

Ci sono due delicate questioni che

stanno interessando l'industria del calcio:

- in materia di trasferimenti degli

atleti, il monito della Cee alle autorità

sportive per l'adeguamento delle

norme del settore a quelle comunitarie,

che da sempre sanciscono il libero passaggio

dei dipendenti da una azienda

all'altra senza alcun obbligo in capo al

nuovo datore di lavoro di pagare una

somma al precedente;

- in materia di tutela dell'infanzia l'intervento

ufficiale del Governo nei confronti

della Figc (federcalcio), designata

quale garante per conto delle associazioni

e delle società affiliate, della applicazione

della normativa che regola l'immigrazione

alla fattispecie dei calciatori

minorenni extracomunitari (5.300 casi

circa nel 1999): dal loro ingresso in Italia

condizionato da una richiesta ufficiale

del "provino", al rimpatrio di coloro (più

del 95%) risultati bocciati.

Questi aspetti agli antipodi sono le

due facce dell'industria professionistica

del calcio europea ed italiana in particolare:

a) una offerta di lavoro da una parte

insufficiente a soddisfare la domanda

crescente (Terzo Mondo), e dall'altra

sovradimensionata rispetto alle risorse

disponibili (indebitamento del settore);

b) l'assenza di un sistema formativo

della manodopera (istituzioni riconosciute

dallo Stato, reclutamento regolamentato,

tutele ...).

Il secondo punto è il vero handicap

che impedisce l'adozione di una misura

continentale adeguata alla drammaticità

della situazione: il doppio numero

chiuso.

Per intenderci:

- un'area di professionismo limitata

alle aziende calcistiche in grado di

affrontare il futuro campionato europeo

per club, i cui organici potranno essere

sotto contratto di lavoro subordinato

(dipendenti) o d'opera (autonomi come

gli artisti);

- la formazione della manodopera

presso centri autorizzati legati principalmente

all'istituzione scolastica pubblica

e privata (e quindi ad un sistema

di selezione) nei vari gradi.

Misure a prima vista che sembrano

limitare proprio quella libera iniziativa

invocata dai Trattati Cee, salvo poi

scoprire che sono le colonne portanti

del campionato sportivo più ricco

del mondo (Nba) della superpotenza

americana che vive di mercato, ma che

nonostante 250milioni di abitanti non

si è mai sognata di avere 128 società

professionistiche di basket.









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