L'operazione Palermo

31 Marzo 2000

Alcune settimane fa abbiamo assistito

all’operazione Palermo: il recupero di

una clientela allo stadio e di fronte alla

pay-tv rilevante come quella del capoluogo

siciliano, con le sue appendici nel

Nord America, attraverso il rilancio nella

massima serie dell’azienda calcistica

attualmente operante al terzo livello del

professionismo (C1). Un fatto nel panorama

economico sportivo che merita

alcune considerazioni per le diverse

chiavi di lettura.

Politica. Il progetto dell’Eurolega, il

campionato europeo per club, è sempre

vivo. Quasi per allontanarlo e per

ribadire il primato dei tornei nazionali,

a partire da quello italiano, nell’operazione

Palermo si può vedere anche un

tentativo di riequilibrio dell’industria del

calcio metropolitano fra il nord ed un

sud orfano di Napoli e Palermo.

Diritto. L’acquisizione delle quote del

Palermo Calcio dovrebbe essere stata

effettuata da parte di uno o più azionisti

del football (Sensi da solo od unitamente

a Cecchi Gori, Cragnotti e Tanzi) attraverso

una società intermediaria non

calcistica. Se questo è l’escamotage per

aggirare il divieto, imposto dal diritto

sportivo, del possesso di partecipazioni

in più società delle leghe professionistiche,

ebbene operazioni tipo quella di

Palermo potrebbero avere il tempo contato,

perchè con il calcio in Borsa all’investitore,

tifo a parte, sarà dura impedire

di sottoscrivere titoli di diverse società

calcistiche quotate.

Economia. L’industria sportiva moderna

sembra ormai avviata ad una distinzione

netta: da una parte la produzione

dello spettacolo e dall’altro quella

di una manodopera specializzata. Per

intenderci il modello Nba, dove delle

major fabbricano lo show sportivo e la

scuola (university) cura la formazione,

garantendo un ricambio di atleti.

Se il calcio italiano prende coscienza

di essere una industria di spettacolo, la

rivoluzione sarà inevitabile: una serie A

a numero chiuso senza retrocessioni, il

doloroso sacrificio di una serie B priva

di un ruolo economico ed una serie C

ridimensionata, con obbligo di impiego

di atleti giovani da parte delle società

partecipate nel capitale sociale da quelle

della massima serie.

Sentenza Bosman e costi di ingaggio

devono però essere rivisti. Perchè al club

di serie A che ogni anno investe circa

2miliardi di lire nella gestione della sua

succursale in serie C occorre riconoscere

delle garanzie circa il diritto di prelazione

sulla titolarità del cartellino del

giovane calciatore formato ed in attesa

del primo contratto di lavoro. Dall’altra

un contenimento degli ingaggi potrebbe

ridimensionare la ricerca crescente di

manodopera extra-comunitaria. In Italia

c’è un manager con una forza contrattuale

tale da affrontare programmi di

questa portata?









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