KENYA IN PISTA 1999-2024 MEDAGLIE, SUCCESSI E MALESSERE

24 settembre 2024

Articolo di riferimento:  I Del Piero di Nairobi

27 Agosto 1999

Storicamente parlando il Kenya si posiziona 36esimo nel medagliere dei Giochi olimpici, ovvero la lista di tutti i 140 Paesi che hanno conquistato almeno una medaglia a partire dalla prima edizioni delle Olimpiadi del 1896 ad Atene. Con un totale di 107 medaglie il Kenya è il miglior Paese del continente africano. 
A Parigi 2024 delle nove medaglie d’oro africane quattro sono state appuntate sul petto degli atleti del Kenya, che si è confermato leader indiscusso del continente sul piano sportivo. Ha messo in cassaforte anche due argenti e cinque bronzi. Le quattro medaglie d’oro sono quelle di Beatrice Chebet (5.000 / 10.000 metri  donne),   Faith Kipyegon (1.500 metri donne) ed Emmanuel Wanyonyi (800 metri uomini). 
Tutto ciò premesso, ad un quarto di secolo dall’articolo di riferimento qual é lo stato di salute dell’atletica keniota?
Che da 25 anni a questa parte lo sport sia diventato ormai una vetrina per qualsiasi comunità è un qualcosa che anche nel Continente Africano ha assunto un suo valore.
Nei vari Paesi si punta ovviamente su sport differenti, in base alle capacità degli atleti, per valorizzare l’attività (e non solo) in cui essi eccellono. Da parte sua il Kenya annovera nella Contea di Elgeyo Marakwet (nord-ovest) una sorta di Eldorado, una fucina inesauribile di atleti ed atlete performanti nelle gare di mezzofondo. La punta dell’iceberg composto da migliaia di ragazzi e ragazze keniote che sovente non hanno la possibilità di intraprendere un percorso sportivo a causa del difficile contesto socio-economico e del limitato accesso ai servizi e alle poche strutture disponibili. 
Da lustri i corridori e le corritrici più promettenti e di successo si recano all’estero per partecipare alle gare internazionali sotto i colori del club di tesseramento e/o delle rappresentative nazionali keniote,  per poi ritornare rapidamente a casa e continuare l’allenamento nella “contea dei campioni”. Vestiti da capo a piedi dagli sponsor tecnici: per esempio  la multinazionale Nike, che supporta da tempo la Federatletica  keniota (anche in Parigi 2024),  ed   altre società come LOTTO, brand italiano di abbigliamento e calzature sportive.
La prima storica medaglia olimpica keniota fu quella di bronzo nell’edizione del 1964 (Tokyo) riportata da Wilson Kiprugut, ma fu la “cinquina dorata” in pista in Seoul (1988) a proiettare il  Kenia con una valida continuità sui podi del mezzofondo a livello internazionale fino ad oggi. Assicurando ai campioni ed alla federatletica notevoli flussi di dollari a titolo di premi, di proventi di sponsorizzazione e di di ingaggi per i tentativi di stabilire dei record (“lepri”). Una ricchezza considerevole, di cui risulta impossibile calcolarne le dimensioni per una serie di motivi.
Nonostante tutto ciò, la percezione dello “stato di salute” è in fortissimo chiaroscuro. 
Ad inizio Settembre Rebecca Cheptegei è stata la terza atleta d’élite ad essere uccisa nel Paese dal 2021. Segnali cruenti di una sorta di malessere nella gestione di una fenomenologia quella dei successi kenioti nell’Olimpo dell’atletica mondiale che influenza  notevolmente anche l’economia del Paese. E non solo, se è vero il “caso Kenya” da tempo è materia di studio da parte di sociologi e antropologi (uno su tutti lo studioso Uroš Kovac dell’ Università di  Groningen).
Ciò che sembra emergere è qualcosa che va al di là del tema (diffuso nell’industria spettacolistica del calcio) dello sportivo cresciuto in povertà ed ora straricco, qualcosa che affonda le radici in un insieme di elementi  quali riti, rituali, cerimonie, norme, valori, credenze, comportamenti, artefatti attraverso i quali una “cultura” si rende intellegibile. 
Ebbene, la diagnosi del professor Uroš Kovac enuncia che i filtri su basi ecologiche, di genere e morali con i quali gli atleti della Comunità della Contea di Iten vivono prima, durante e dopo le esperienze agonistiche di alto profilo non sembrano funzionali ad “assimilare” ciò che c’è dietro il gesto del “correre” per mantenere innanzitutto l’ autostima interiore che l’ “uomo seduto” occidentale forse non può più cogliere: la estremizzazione della competitività.
“Imposta” loro dai player dello sport business (procuratori, organizzatori di meeting, sponsor tecnici …) e dallo Stato che di quella fenomenologia da tempo immagina di farne il modello per impostare lo sviluppo in tutti i campi trasformando il Kenya in un Paese “competitivo”.  
Una sorta di strumentalizzazione a livello di marketing privato ed istituzionale; un caso su tutti quello dell’atleta Tegla Loroupe che, in seguito ai suoi successi ottenuti alle Olimpiadi di Pechino del 2008, divenne ipso facto testimonial della costituzione di un’associazione volta a promuovere la pace tra le popolazioni emarginate del Kenya e del Sudan.
Molto probabilmente quanto sopra va collocato all’interno di un Paese che sta facendo come molti altri nel Continente Africano quel percorso che conduce alla affermazione di una classe media diffusa ed in grado di vivere con equilibrio anche la fenomenologia dell’atletica vincente, supremazia che con il tempo non sembra destinata a ridimensionarsi, bensì  al contrario a continuare ad affermarsi.
La speranza è che ciò possa concretarsi in tempi ragionevoli per mitigare una conseguenza di quel malessere: il desiderio di emigrare verso altri Paesi da parte degli sportivi una volta ritirati; una situazione che sta interessando sempre più atleti affermati.

Adele DIANA
Giorgia MINO
24 Settembre 2024









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