Il 17 febbraio scorso l’autorevole
“Corriere della Sera” riportò in dodici
righe l’affermazione di Mark Oliver, dirigente
della federcalcio europea (Uefa),
che nei prossimi dieci anni nelle casse
delle società europee entreranno un
miliardo di dollari (circa 2mila miliardi
di lire) grazie ad internet. La brevità
dello spazio dedicato alla notizia appare
in netto contrasto con la sua portata.
Nella proiezione a medio-lungo
termine degli effetti si potrebbe trovare
il motivo della scelta redazionale. Di
certo sappiamo che oggi il fenomeno
delle società di internet (la cosiddetta
“new economy”) sta facendo incetta di
entusiasmi nei centri di potere e di soldi
in Borsa.
E che il calcio d’élite continentale,
non ancora del tutto libero di commercializzarre
i diritti televisi dei suoi
spettacoli, si domandi come mettere
le mani sul tesoro della new economy
non c’è da meravigliarsi. Ma alle grandi
società “e-commerce” come potrà interessare
il calcio europeo? Cerchiamo
di dare una risposta oggi, in un settore
per altro in continua evoluzione nel
villaggio globale che si appresta ad assistere
agli odierni programmi televisivi
innanzi al personal computer. Possiamo
ipotizzare due diversi scenari.
1. La società “.com” (punto com) si
pone come mezzo di comunicazione
(portale).
Se dotarsi di una televisione tematica
non è impresa da poco per un club,
viceversa aprire un proprio sito web a
pagamento per gli internauti supporter
non è la fine del mondo.
Detto questo, resta ora da capire
quanti club potrebbero monetizzare la
cessione del paccheto di abbonamenti
ad una società “.com” che condizioni
l’accesso al sito sportivo attraverso il
suo indirizzo online.
2. La società “.com” si pone come
sponsor inserzionista.
Se internet vuol dire globalizzazione,
abbattimento delle frontiere, è evidente
che lo spot nel corso di un evento
sportivo internazionale sarà più gradito
alla società “.com”. In prospettiva
si può quindi ipotizzare una alleanza
fra network-tv e società di internet a
favore dell’istituzione del campionato
europeo per club ricchi, senza retrocessioni
ed eliminazioni. Allora il discorso
si sposterà su di un altro campo: il
gradimento del pubblico dei telespettatori,
abituato a messaggi pubblicitari
di marchi legati a beni di consumo
fisicamente individuabili (alimentari,
autovetture, igiene e salute...), di fronte
a spot di informazioni e di raccomandazioni
e-commerce, con il rischio di
una sensazione di vuoto. Un gradimento
contenuto potrebbe raffreddare l’investimento
in pubblicità da parte delle
società “.com”. Dai conti Uefa una ipotesi
remota o meglio, per essere in tema,
solo virtuale.