Internet nel calcio ricco

10 marzo 2000

Il 17 febbraio scorso l’autorevole

“Corriere della Sera” riportò in dodici

righe l’affermazione di Mark Oliver, dirigente

della federcalcio europea (Uefa),

che nei prossimi dieci anni nelle casse

delle società europee entreranno un

miliardo di dollari (circa 2mila miliardi

di lire) grazie ad internet. La brevità

dello spazio dedicato alla notizia appare

in netto contrasto con la sua portata.

Nella proiezione a medio-lungo

termine degli effetti si potrebbe trovare

il motivo della scelta redazionale. Di

certo sappiamo che oggi il fenomeno

delle società di internet (la cosiddetta

“new economy”) sta facendo incetta di

entusiasmi nei centri di potere e di soldi

in Borsa.

E che il calcio d’élite continentale,

non ancora del tutto libero di commercializzarre

i diritti televisi dei suoi

spettacoli, si domandi come mettere

le mani sul tesoro della new economy

non c’è da meravigliarsi. Ma alle grandi

società “e-commerce” come potrà interessare

il calcio europeo? Cerchiamo

di dare una risposta oggi, in un settore

per altro in continua evoluzione nel

villaggio globale che si appresta ad assistere

agli odierni programmi televisivi

innanzi al personal computer. Possiamo

ipotizzare due diversi scenari.

1. La società “.com” (punto com) si

pone come mezzo di comunicazione

(portale).

Se dotarsi di una televisione tematica

non è impresa da poco per un club,

viceversa aprire un proprio sito web a

pagamento per gli internauti supporter

non è la fine del mondo.

Detto questo, resta ora da capire

quanti club potrebbero monetizzare la

cessione del paccheto di abbonamenti

ad una società “.com” che condizioni

l’accesso al sito sportivo attraverso il

suo indirizzo online.

2. La società “.com” si pone come

sponsor inserzionista.

Se internet vuol dire globalizzazione,

abbattimento delle frontiere, è evidente

che lo spot nel corso di un evento

sportivo internazionale sarà più gradito

alla società “.com”. In prospettiva

si può quindi ipotizzare una alleanza

fra network-tv e società di internet a

favore dell’istituzione del campionato

europeo per club ricchi, senza retrocessioni

ed eliminazioni. Allora il discorso

si sposterà su di un altro campo: il

gradimento del pubblico dei telespettatori,

abituato a messaggi pubblicitari

di marchi legati a beni di consumo

fisicamente individuabili (alimentari,

autovetture, igiene e salute...), di fronte

a spot di informazioni e di raccomandazioni

e-commerce, con il rischio di

una sensazione di vuoto. Un gradimento

contenuto potrebbe raffreddare l’investimento

in pubblicità da parte delle

società “.com”. Dai conti Uefa una ipotesi

remota o meglio, per essere in tema,

solo virtuale.









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