Il "mestiere" dello sportivo

17 Dicembre 1999

Escono le classifiche dei personaggi

sportivi del secolo.

Il calciatore Pelé vince un po’ dovunque.

Le provenienze di quei nomi che

hanno fatto la storia dello sport parlano

chiaro: Nord America ed Europa fino

alla Russia bianca sopra tutti.

Poi, staccati, Brasile, Argentina,

Marocco, Kenya, Etiopia, Corea,

Giappone ed Australia.

Ciò che rimane (prevalente in termini

di superficie) non ha peso (è “out”).

E’ la geografia dello sviluppo sul

nostro pianeta. Raggiunto anche nello

sport in circa cento anni, a partire da

quel lontano 1896, che indichiamo

come epoca di avvio dello sport moderno.

Ma quale è il parametro per misurare

questo sviluppo? Le medaglie olimpiche

vinte, gli impianti realizzati, gli

sportivi praticanti od il volume di affari

dell’industria sportiva?

Il fatto che lo sport oggi è un mestiere.

Questa è la rivoluzione industriale

dello sport lunga un secolo. Siamo passati

da una forza lavoro paramilitare in

mano al potere politico, alla manodopera

specializzata odierna dell’industria

sportiva.

E fra cento anni, il 17 dicembre 2099,

lo sport sarà un perfetto spettacolo

“impersonale” per cui in campo scenderà

il ritrovato della robotica?

La risposta a questo interrogativo

è tanto ardua quanto quella, all’apparenza

più “umana”, che soddisfa l’altro

quesito: quel mondo “out” vivrà a livello

sportivo la rivoluzione industriale, cioè

si arriverà allo sport mestiere?

Di certo oggi in quel mondo vivono

masse da avvicinare, da coinvolgere

nello sport come quelle di cento anni

addietro nel blocco sviluppato. Un mercato

senza confini anche per l’industria

sportiva, ma che oggi non ha potere di

acquisto.

E questo è il punto.

La potente arma del marketing, che

regola lo sport nel blocco “in”, è spuntata

in quello “out”, dove potrà cominciare

solo dopo l’indottrinamento della “competenza

nello sport”.

Cioè il marketing sportivo è probabilmente

inefficace fino a quando non si

hanno delle fondamenta, delle basi nel

tessuto sociale, a partire dalle scuole.

Una canalizzazione che coltivarono i

governi forti di inizio secolo del blocco

“in”.

E questa scolarizzazione sportiva è

il prezzo che l’economia delle multinazionali

dovrà pagare alla politica per

il venire meno dei regimi dittatoriali

anche nel blocco arretrato.

Altrimenti l’esportazione dei prodotti

finiti più prestigiosi (Olimpiadi, Mondiali

di calcio, di atletica) in Asia piuttosto

che in Africa nel prossimo millennio,

contro l’importazione di manodopera,

potrebbe tradursi in un fallimento.









Museo Alessandro Roccavilla

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