Escono le classifiche dei personaggi
sportivi del secolo.
Il calciatore Pelé vince un po’ dovunque.
Le provenienze di quei nomi che
hanno fatto la storia dello sport parlano
chiaro: Nord America ed Europa fino
alla Russia bianca sopra tutti.
Poi, staccati, Brasile, Argentina,
Marocco, Kenya, Etiopia, Corea,
Giappone ed Australia.
Ciò che rimane (prevalente in termini
di superficie) non ha peso (è “out”).
E’ la geografia dello sviluppo sul
nostro pianeta. Raggiunto anche nello
sport in circa cento anni, a partire da
quel lontano 1896, che indichiamo
come epoca di avvio dello sport moderno.
Ma quale è il parametro per misurare
questo sviluppo? Le medaglie olimpiche
vinte, gli impianti realizzati, gli
sportivi praticanti od il volume di affari
dell’industria sportiva?
Il fatto che lo sport oggi è un mestiere.
Questa è la rivoluzione industriale
dello sport lunga un secolo. Siamo passati
da una forza lavoro paramilitare in
mano al potere politico, alla manodopera
specializzata odierna dell’industria
sportiva.
E fra cento anni, il 17 dicembre 2099,
lo sport sarà un perfetto spettacolo
“impersonale” per cui in campo scenderà
il ritrovato della robotica?
La risposta a questo interrogativo
è tanto ardua quanto quella, all’apparenza
più “umana”, che soddisfa l’altro
quesito: quel mondo “out” vivrà a livello
sportivo la rivoluzione industriale, cioè
si arriverà allo sport mestiere?
Di certo oggi in quel mondo vivono
masse da avvicinare, da coinvolgere
nello sport come quelle di cento anni
addietro nel blocco sviluppato. Un mercato
senza confini anche per l’industria
sportiva, ma che oggi non ha potere di
acquisto.
E questo è il punto.
La potente arma del marketing, che
regola lo sport nel blocco “in”, è spuntata
in quello “out”, dove potrà cominciare
solo dopo l’indottrinamento della “competenza
nello sport”.
Cioè il marketing sportivo è probabilmente
inefficace fino a quando non si
hanno delle fondamenta, delle basi nel
tessuto sociale, a partire dalle scuole.
Una canalizzazione che coltivarono i
governi forti di inizio secolo del blocco
“in”.
E questa scolarizzazione sportiva è
il prezzo che l’economia delle multinazionali
dovrà pagare alla politica per
il venire meno dei regimi dittatoriali
anche nel blocco arretrato.
Altrimenti l’esportazione dei prodotti
finiti più prestigiosi (Olimpiadi, Mondiali
di calcio, di atletica) in Asia piuttosto
che in Africa nel prossimo millennio,
contro l’importazione di manodopera,
potrebbe tradursi in un fallimento.