Le crisi economiche sono cicliche.
L’industria sportiva non sfugge alla
regola. A metà degli anni Ottanta il calcio
italiano fece il primo grande crack e
si trovò in mano alle banche.
Conseguenze: qualche fallimento,
diversi passaggi di pacchetti azionari
ad una nuova generazione di capitani
di industria e l’istituzione della Covisoc,
l’organo federale di controllo dei conti
delle società professionistiche. L’Europa
fece tesoro dell’esperienza italiana e
nacquero altrettanti enti ispettivi nazionali.
Negli anni Novanta la libera circolazione
di capitali e di lavoratori (sentenza
Bosman) ha globalizzato l’industria
calcistica. Tanto è vero che oggi il suo
dissesto è continentale e non è circoscritto
al settore; ad andare in cortocircuito
è infatti l’intero processo produttivo:
pubblicità - telecomunicazioni (tlc)
- spettacolo calcistico.
Che cosa è successo? In questi anni
l’inserzionista, la televisione a pagamento
ed il club si sono impegnati
rispettivamente nei confronti del diretto
fornitore (il mezzo di comunicazione,
la società calcistica e la manodopera
sportiva) più di quanto garantiva loro
sul mercato il cliente di riferimento (i
consumatori, gli abbonati più le imprese
e gli spettatori più gli sponsor).
Da qui il ricorso generale agli istituti
di credito che, oggi, si trovano fra
le mani tutto il sistema in sofferenza.
Lo affonderanno? No, nonostante le
perdite sofferte. Anzi, proprio perchè i
capitali prestati da recuperare sono così
rilevanti il sistema bancario farà di tutto
per fare ripartire il circuito, cercando di
limitare il numero dei cadaveri e facendo
ponti d’oro ai nuovi acquirenti con le
carte in regola.
Parole d’ordine della ripartenza, dopo
una caduta inimmaginabile alla vigilia
del nuovo millennio, saranno: investimenti
in qualità e globalizzazione. Per
tutti i protagonisti in campo:
- politica: essa ha compresa che il calcio
criptato al 100% è una mossa impopolare;
piloterà i diritti tv dei Mondiali
verso il servizio pubblico solvibile, ed
aprirà il mercato televisivo alle tlc Usa
(vedi Gran Bretagna);
- pay-tv: lotta alla pirateria, ma
soprattutto mega-alleanze con le altre
aziende hi-tech (diritti umts, internet
e derivati ...) per offrire servizi sempre
più tecnologici e fare spendere sempre
di più gli abbonati affezionati, recuperando
sul flop della quantità non
raggiunta;
- industria calcistica: elaborazione di
un progetto continentale di campionato
per club con tetti su durata dell’evento
e sugli ingaggi; allestimento di
stadi più vivibili ed accoglienti. Qui la
globalizzazione rimane tabù: difficile,
per non dire impossbile, fusioni tra i
grandi gruppi spettacolistici metropolitani
(Internazionale/
Milan, Lazio/Roma,
Juventus/
Torino ...).