Coni + Enel: s'ha da fare?

21 Luglio 2000

Le prove di matrimonio fra Coni ed

Enel di queste settimane dimostrano:

1) quanto la natura ibrida (una sorta

di terza via tra ministero ed ente privato)

del Comitato olimpico nazionale

risulti inadeguata per risanare i conti;

2) quanto l'economia italiana delle

piccole e medie imprese, priva di un

fiato per dare vita a sistemi di garanzie

sociali di largo respiro complementari

a quelle statali, sia impotente di fronte

all'emergenza del bilancio Coni. In

rosso crescente.

Il calo del volume delle scommesse

sportive, cominiciato nel 1992, provocherà

a fine anno un disavanzo di

300miliardi di lire.

Se il Coni, preparazione olimpica a

parte, fosse stato trasfuso dall'Assemblea

Costituente nel Ministero dello

sport e della gioventù, partner ideale

del dicastero della pubblica istruzione

nella costruzione di un sistema sportivo

di base compiuto (modello francese),

molto probabilmente non sarebbe in

bancarotta.

Da tempo esso avrebbe potuto beneficiare

di una fetta dei favolosi gettiti

fiscali raggiunti attualmente dallo Stato,

grazie anche e soprattutto alla tassazione

dei guadagni di borsa (capital

gain), ed in futuro dalle Regioni nella

revisione federale dello Stato (si pensi ai

lander della Germania molto sensibili al

sostegno delle attività motorie).

Viceversa un Coni ente di diritto privato

(come lo saranno le nuove federazioni

sportive della riforma Melandri)

avrebbe potuto offrire le sue 18.000

ricevitorie in tutta Italia ad un partner

senza i rischi di aste e di appalti pubblici,

come il Consiglio di Stato sembra

volere richiedere, a maggiore ragione

in presenza di una società Enel in via

di privatizzazione. A dire la verità non

sappiamo quanti altri potenziali gestori

di servizi energetici, nell'epoca in cui

internet permette di pagare le utenze

in banca e di scommettere in Gran

Bretagna direttamente dall'ufficio o da

casa, vedranno nelle ricevitorie del

totocalcio futuri luoghi di aggregazione

di masse.

Per quanto riguarda il secondo punto

in apertura, il modello ispiratore del

Coni della "autonomia dello sport" che

stava in piedi grazie agli scommettitori,

oltre che dal potere politico ha allontanato

la possibilità (molto sfruttata

nel mondo anglosassone) di attingere

risorse vitali periodicamente dall'unica

fondazione, seppure indiretta, di un

gruppo industriale di dimensioni mondiali

come quello della Fiat di Torino.









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