C'è qualcosa di strano in C

20 Agosto 1999

Un tempo non lontano le novanta

industrie del calcio di serie C si spartivano

ogni anno circa 80 miliardi di lire

di quota totocalcio. Di questi tempi le

cronache ospitavano, oltre ai ritiri della

serie A, le sentenze federali di bocciatura

dei conti in rosso delle società e

l’automatica esclusione dai campionati

professionisti.

Il totocalcio è in crisi. Quegli 80 miliardi

nell’ultima stagione 1998/99 sono

diventati 41. Eppure le domande di

iscrizione ai tornei 1999/2000 di tutte le

società (C1 e C2) sono state accettate.

Considerato l’incremento del costo

del lavoro nel periodo a fronte di una

sostanziale stagnazione dei ricavi, è

possibile delineare due scenari: a) un

diffuso mecenatismo delle proprietà

dei club; b) una pericolosa esposizione

nei confronti del sistema bancario, che

incide negativamente sui rapporti trimestrali

di indebitamento trasmessi alla

Co.vi.so.c. (la commissione di controllo

amministrativo).

Poichè questa seconda ipotesi appare

più possibile, nasce un dubbio: una

tolleranza da parte dei vertici di una

federcalcio che deve farsi perdonare la

sudditanza nei confronti della potente

Lega di serie A e B, le cui aziende in

grande maggioranza sono gratificate

dalla manna miliardaria delle televisioni.

Ed è proprio su questo punto che il

presidente di C, Mario Macalli, insisterà

ai primi di settembre per portare a casa

una fetta di miliardi in più dalle scommesse

per le sue 90 bocche da sfamare.

Una partita non facile: l’alibi forse per

poter annunciare ad anno sportivo in

corso il taglio di 30 club a partire dalla

stagione 2000/2001?

Nel frattempo si segnala una iniziativa

della Lega di serie C per dare ossigeno

agli affiliati: autorizzare le società per

una sola stagione in via sperimentale

a sostituire la denominazione sociale

con il nome dello sponsor. Per intenderci

i bianconeri locali diventerebbero

l’ “Angelico” di Biella. A quale maggiore

prezzo per la ditta tessile?

E se lo sponsor è un ente pubblico?

Per uscire dall’anonimato del torneo

dilettanti, il Comune di Barletta intende

fare scrivere il nome della città con

slogan sulle maglie dei calciatori, dietro

appunto un regolare contratto di sponsorizzazione.

In materia non sono mancati i pronunziamenti

dei giudici, sintetizzabili

nella legittimità della delibera del

governo locale, a condizione che non

venga alterato il ruolo di neutralità dell’amministrazione,

come nel caso in cui

il soggetto sponsorizzato partecipi ad

una manifestazione di tipo agonistico.

Una interpretazione ambigua, che

lascia poco spazio di manovra in campo

sportivo all’ente pubblico, in considerazione

anche dell’occasionalità di esibizioni

sportive ad alta audience (vedi

“Partita del cuore”).









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