Un tempo non lontano le novanta
industrie del calcio di serie C si spartivano
ogni anno circa 80 miliardi di lire
di quota totocalcio. Di questi tempi le
cronache ospitavano, oltre ai ritiri della
serie A, le sentenze federali di bocciatura
dei conti in rosso delle società e
l’automatica esclusione dai campionati
professionisti.
Il totocalcio è in crisi. Quegli 80 miliardi
nell’ultima stagione 1998/99 sono
diventati 41. Eppure le domande di
iscrizione ai tornei 1999/2000 di tutte le
società (C1 e C2) sono state accettate.
Considerato l’incremento del costo
del lavoro nel periodo a fronte di una
sostanziale stagnazione dei ricavi, è
possibile delineare due scenari: a) un
diffuso mecenatismo delle proprietà
dei club; b) una pericolosa esposizione
nei confronti del sistema bancario, che
incide negativamente sui rapporti trimestrali
di indebitamento trasmessi alla
Co.vi.so.c. (la commissione di controllo
amministrativo).
Poichè questa seconda ipotesi appare
più possibile, nasce un dubbio: una
tolleranza da parte dei vertici di una
federcalcio che deve farsi perdonare la
sudditanza nei confronti della potente
Lega di serie A e B, le cui aziende in
grande maggioranza sono gratificate
dalla manna miliardaria delle televisioni.
Ed è proprio su questo punto che il
presidente di C, Mario Macalli, insisterà
ai primi di settembre per portare a casa
una fetta di miliardi in più dalle scommesse
per le sue 90 bocche da sfamare.
Una partita non facile: l’alibi forse per
poter annunciare ad anno sportivo in
corso il taglio di 30 club a partire dalla
stagione 2000/2001?
Nel frattempo si segnala una iniziativa
della Lega di serie C per dare ossigeno
agli affiliati: autorizzare le società per
una sola stagione in via sperimentale
a sostituire la denominazione sociale
con il nome dello sponsor. Per intenderci
i bianconeri locali diventerebbero
l’ “Angelico” di Biella. A quale maggiore
prezzo per la ditta tessile?
E se lo sponsor è un ente pubblico?
Per uscire dall’anonimato del torneo
dilettanti, il Comune di Barletta intende
fare scrivere il nome della città con
slogan sulle maglie dei calciatori, dietro
appunto un regolare contratto di sponsorizzazione.
In materia non sono mancati i pronunziamenti
dei giudici, sintetizzabili
nella legittimità della delibera del
governo locale, a condizione che non
venga alterato il ruolo di neutralità dell’amministrazione,
come nel caso in cui
il soggetto sponsorizzato partecipi ad
una manifestazione di tipo agonistico.
Una interpretazione ambigua, che
lascia poco spazio di manovra in campo
sportivo all’ente pubblico, in considerazione
anche dell’occasionalità di esibizioni
sportive ad alta audience (vedi
“Partita del cuore”).