Epicuro è stato un un filosofo greco antico. Nato a Samo nel 341 a.C.,fu il fondatore di una delle maggiori scuole filosofiche dell’età ellenistica e romana, l’epicureismo, che si diffuse durante il IV secolo per poi subire un rapido declino. Venne poi rivalutata secoli dopo dalle correnti naturalistiche dell’Umanesimo,del Rinascimento e dal razionalismo laico illuminista.
A 18 anni Epicuro, dopo aver prestato servizio militare per due anni, fondò una piccola comunità filosofica a Militene e a Lampsaco. Nel 307-306 decise di recarsi ad Atene e lì fondò la sua scuola: era composta da una comunità filosofica di amici, di cui facevano parte anche donne e schiavi,e vivevano insieme lontani dalla vita pubblica. L’attività principale era la lettura e lo studio dei testi di Epicuro, il quale continuava a intrattenere rapporti epistolari con discepoli lontani.
Epicuro compose numerosi scritti dei quali ci rimangono, per la maggior parte, soltanto titoli o scarsi frammenti. L’opera più importante è “Sulla natura”, composta da 37 libri: Epicuro vi tornò su molte volte riprendendo alcune tematiche e approfondendo temi già trattati in precedenza. In quest’opera il suo insegnamento era sviluppato in tutti i suoi aspetti,non soltanto in relazione alle questioni della filosofia della natura, ma anche in quelle della gnoseologia e dell’etica. Di essa ci rimangono solo dei frammenti.
Epicuro attribuiva grande importanza all’esercizio della memoria: per lui le lettere avevano lo scopo di consentire ai principianti di fissarsi in mente gli elementi fondamentali della sua filosofia e ai più acculturati di richiamarli e usarli nelle varie circostanze della vita. La felicità e la verità potevano essere raggiunte solo grazie all’esperienza sensibile e non alla logica.
Ai destinatari del suo insegnamento non richiedeva una particolare preparazione culturale; ogni età era adatta per diventare filosofi,anche la vecchiaia, contrariamente a quanto pensava Platone.
La società
Per Epicuro la politica è inutile, l’uomo non deve dedicarsi a un tale sforzo che non porta a nessuna soddisfazione, deve invece avere le giuste amicizie: su questo punto egli si allontana molto dalla visione di Platone e in parte da quella di Aristotele.
La società è stata costituita per raggiungere il piacere ed evitare il dolore, ma secondo Epicuro il vero luogo in cui il piacere e la felicità possono essere perseguiti è la scuola filosofica e non la città. La città per lui è soltanto una condizione negativa e tra l’altro egli vedeva la giustizia come un patto stipulato allo scopo di non recare o subire danni: essa quindi non è una virtù cooperativa ma una convenzione dettata non dagli obblighi morali o dalla natura, ma dall’utile individuale. Lo scopo è infatti quello della protezione e della difesa: io non danneggio gli altri a patto che gli altri non danneggiano me. La città come istituzione dovrebbe garantire il rispetto di questo patto, ma la vita politica appare a Epicuro come un terreno di conflitti e competizioni. Soltanto quando é l’unica via per garantire la propria sicurezza essa deve essere praticata, mentre in ogni altra circostanza l’uomo saggio si asterrà da essa: non si devono ricercare nella città la felicità e l’autosufficienza, soltanto i legami di amicizia possono garantire questi due aspetti della vita. L’amicizia vera può nascere soltanto nella piccola cerchia della scuola filosofica, al riparo dalle tempeste della vita: tra l’altro l’amicizia è l’unico sentimento coerente alle dottrine epicuree, dove la politica va evitata e le passioni anche (in quanto fanno parte del piacere dinamico e che quindi non è duraturo). L’amicizia rimane il migliore dei sentimenti perchè è distante dalla politica: in essa per Epicuro vi è una serenità più profonda, superiore a quella dell’amore, perché si può conservare libera da sentimenti che procurano sensazione negative come la gelosia, il dolore del distacco o la paura di non essere ricambiati.Con i suoi insegnamenti Epicuro riuscì a prestar soccorso agli uomini incapaci di condurre la loro vita serenamente, spiegando che non porta a niente procurarsi sicurezza nei riguardi degli altri uomini se si ha ancora timore riguardo a ciò che sta sopra di noi,o sottoterra, o in generale nell’infinito.
Se l’epicureismo si spense fu soprattutto per via del cristianesimo che aveva una concezione della vita opposta: anche se già a Roma la dottrina epicurea veniva vista come come un pericolo verso i valori tradizionali, fu comunque il cristianesimo a darle il colpo di grazia, forse per il fatto che i pagani si appellarono più allo stoicismo e al platonismo e non all’epicureismo. Per tutto il Medioevo la teoria di Epicuro fu vista come eresia.
La fisica
Per Epicuro la realtà è solo materiale, tutto ciò che esiste è corporeo (solo un corpo infatti può subire o provocare un cambiamento). Di incorporeo esiste solo il vuoto, infinito contenitore della materia,la quale è composta da atomi omogenei, infiniti, invisibili per le loro ridotte dimensioni, ingenerati e indistruttibili.
Tutto si spiega attraverso gli atomi e il vuoto: gli atomi, scontrandosi, danno vita al divenire. Essi cadono nel vuoto infinito a causa del loro peso: nel corso della loro caduta gli atomi subiscono un’improvvisa deviazione detta “clinamen”. Il clinamen è la causa principale di tutti gli scontri che avvengono tra gli atomi. Il clinamen serviva agli epicurei per spiegare la presenza del caso nella vita degli uomini. L’anima è un semplice aggregato di atomi più leggeri di quelli racchiusi negli atomi del corpo.Con la morte del corpo gli atomi appartenenti a quest’ultimo e quelli appartenenti all’anima si disgregano,così che nella morte dell’individuo non può che non rimanere niente di esso.Gli dei non erano altro che aggregati stabili di atomi, incorruttibili e non soggetti alle leggi del tempo.
Gnoseologia ed etica
Epicuro la chiamava canonica in quanto scienza del canone o criterio di verità. La gnoseologia epicurea affermava il valore esclusivo della sensazione, quale primo e fondamentale criterio, o canone, di verità. Mentre Platone diffidava dalla sensazione, ritenendola nettamente inferiore al pensiero, e Aristotele sosteneva che tutta la conoscenza cominciava con la sensazione ma andava poi oltre grazie all’astrazione di concetti universali, per Epicuro il pensiero non aveva alcun valore se non come ricordo o anticipazione di sensazioni. È la sensazione il primo e principale criterio di verità: i sensi non ingannano, il pensiero invece si può ingannare.
Per Epicuro non esistevano dei concetti universali ma solo delle prolessi, ossia anticipazioni di future sensazioni rese possibili da altre sensazioni conservate nella memoria, che assomigliano a possibili sensazioni future.
Viceversa altre rappresentazioni mentali non fondate sull’esperienza sensibile sono frutto di immaginazione o semplici supposizioni di cui si può sempre dubitare.
La concezione filosofica
Epicuro reputava la filosofia una “medicina” dell’anima,un’attività che mirava al conseguimento di una condizione di benessere , piacere (voluta) e felicità (=eudaimonia). Lui voleva risolvere i problemi che più turbavano l’uomo, cioè quelli della sofferenza, della morte, degli dei e del piacere, e per questo motivo elaboró il “Tetrafarmaco”, ossia la cura per questi problemi.
Per il problema della sofferenza Epicuro diceva che il dolore poteva essere leggero, e che quindi ci si poteva convivere, o forte. Nel caso in cui il dolore fosse stato forte i casi erano due: o si riusciva a superarlo o si moriva, quindi non aveva senso penarsi per una cosa considerata momentanea. Per quanto riguarda la morte Epicuro sosteneva che non c’era bisogno di preoccuparsi nel caso in cui l’aldilà fosse davvero esistito. Epicuro però non credeva nell’immortalità dell’anima, e quindi nemmeno nell’aldilà, ma neanche in questo caso c’era bisogno di avere paura: dopo la morte non c’è nulla, noi non esistiamo più e di conseguenza non la percepiamo e non proviamo dolore. Se non si teme la morte non si devono temere nemmeno gli dei nell’aldilà, così come quelli di questo mondo. Epicuro si chiedeva “perché se esistono gli dei esiste anche il male?” (il problema della “teogonia”), e per rispondere a questo quesito elaborò tre ipotesi: la prima sosteneva il fatto che gli dei fossero buoni e potenti, ma in questo caso avrebbero sicuramente usato il loro potere per eliminare il male, quindi la risposta alla domanda non era questa. La seconda ipotesi vedeva gli dei come buoni ma impotenti, ma se sono impotenti allora non possono essere considerati delle divinità, quindi nemmeno questa è la soluzione. La terza ipotesi sosteneva che gli dei fossero potenti ma che non si curavano di ciò che faceva l’uomo, altrimenti sarebbero stati imperfetti: non intervengono nelle nostre vite, non puniscono e non premiano. Epicuro, proprio per questo, disse che non aveva senso pregarli e fu molto critico della religione, la vedeva come un “legame di sottomissione”, l’uomo doveva essere libero dai culti; per lui la felicità era altro. La felicità era il piacere (ossia l’edonismo): Epicuro credeva che l’uomo avesse dei desideri sbagliati che non riusciva a soddisfare e che quindi stesse cercando male la felicità, il piacere. Il compito del filosofo era quello di sapere distinguere il piacere statico (che resta) da quello dinamico (che dura poco e che quando sparisce ti lascia peggio di prima) e di capire come ottenerli per riuscire a essere felice. L’uomo deve ricercare solo il piacere statico per vivere con misura e saggezza, deve godersi ogni attimo della vita, nella quale vi sono diversi bisogni: quelli naturali e necessari, quelli naturali ma non necessari e quelli né naturali né necessari.
-I bisogni naturali e necessari, come mangiare e bere, sono quelli più facili da soddisfare.
-I bisogni naturali ma non necessari, come gli alcolici, creano dipendenza ed è per questo che non si è mai soddisfatti.
-I bisogni né naturali né necessari, come la fama, sono illimitati.
L’epicureo doveva avere la tarassia, cioè doveva essere indipendente, liberandosi da paure e superstizioni, e imperturbabile davanti agli eventi mondani: ogni volta che era indeciso su una azione doveva tenere in considerazione i piaceri e i dolori risultanti dalla scelta che avrebbe fatto e poi agire e dirigersi verso la strada giusta, quella più conveniente.
ARTICOLO DI ILARIA CASAVERE DELLA CLASSE III I DEL LICEO LINGUISTICO
Commenti recenti