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Sin dall’antichità nel mediterraneo esistevano due tipi di navi: la nave “tonda” e la nave “lunga”.La nave lunga (galea) era usata solamente per la guerra proprio per questo doveva avere delle caratteristiche fondamentali, era infatti una nave dalle forme molto affinate, lunga più di trenta metri, spinta soprattutto dai remi anche se disponeva comunque di una vela. Un’innovazione che fu introdotta dagli arabi, era la vela latina, ovvero triangolare (il nome deriva dalla contrazione di «alla trina», ossia a tre angoli): il vantaggio della vela triangolare rispetto a quella quadra è che permette di navigare parzialmente contro il vento. Le galee costruite dopo il mille erano biremi, cioè su ciascun banco dei rematori trovavano posto due uomini. A partire dal Duecento i veneziani  invece riuscirono a far stare sullo stesso banco tre rematori, moltiplicando velocità e potenza della nave. Di conseguenza fu necessario studiare una sistemazione dei banchi, che non erano perpendicolari alla chiglia, per poter manovrare contemporaneamente tutti i remi senza creare grovigli. L’equipaggio era sempre molto numeroso (circa 250 uomini) non solo per poter manovrare i remi, ma anche perché prima dell’introduzione dell’artiglieria, il combattimento si risolveva sempre nell’abbordaggio.

La Galea

 

L’altro tipo di nave era quella tonda, usata per lo più per il commercio. Era più corta, molto più tozza e panciuta, navigava esclusivamente a vela e l’equipaggio era molto più ridotto rispetto alle galee per risparmiare sui costi di gestione. Inizialmente disponeva di un solo albero e una sola vela, successivamente furono aggiunti altri due alberi (uno verso prua e uno verso poppa) più il bompresso che era l’albero inclinato che sporgeva da prua. Così non solo si aumentava la superficie velica ma soprattutto era di gran lunga più semplice trovare l’equilibrio giusto tra la spinta delle vele e la resistenza dello scafo, rendendo molto più facile la manovra. A questo punto la nave tonda era diventata manovrabile quasi quanto una nave lunga, e comprendeva tutte le caratteristiche migliori sia della tradizione mediterranea (come la costruzione su ordinate) sia di quella nordica (come il timone centrale a poppa).

Nave “tonda”

 

La navigazione non è solo una questione di scafi, di vele e di remi. È necessario anche conoscere la rotta tra due punti e conoscere la posizione della nave in un momento qualunque su questa rotta. Nell’antichità i navigatori riuscivano a compiere traversate di centinaia di miglia semplicemente basandosi sull’esperienza, senza usare strumenti né carte nautiche. Anche restando all’interno del Mediterraneo, alcune rotte (per esempio quella che da Alessandria d’Egitto giungeva a Pozzuoli e a Ostia, oppure quella che dalla Spagna raggiungeva le Bocche di Bonifacio e poi la foce del Tevere) richiedevano traversate in mare aperto decisamente impegnative, che venivano realizzate utilizzando come punto di riferimento astronomico solo il corso del sole e delle stelle, in particolare la stella polare. La caratteristica della stella polare era proprio quella di essere ferma nel cielo, però poteva essere usata in modo solo approssimativo per avere una direzione da seguire. Nel Mediterraneo, si diffuse il primo vero strumento nautico: la bussola, probabilmente inventata in Cina, che secondo la tradizione apparve sulle navi di Amalfi dopo il 1000. All’inizio la bussola era solo un ago fissato ad una scheggia di legno che galleggiava su una ciotola d’acqua, e veniva usata solo per controllare una rotta presa in base a osservazioni stellari. Successivamente l’ago venne fatto oscillare su un sottile perno al centro della ciotola, ormai vuota, e in un secondo momento incollato sotto un supporto circolare di cartone capace di ruotare su un perno. Sulla parte superiore di questo supporto venivano disegnati i “venti”, cioè i punti cardinali con le loro 32 suddivisioni, mentre la ciotola riportava una linea di fede parallela alla chiglia.
La carta nautica veniva costruita esclusivamente “alla bussola”, ovvero riportando su uno schema geometrico detto “martelogio” le rotte bussola e le distanze stimate tra i principali porti toccati dalle navi, e poi completando il disegno della costa. Poi c’era un sistema di calcoli chiamato “toleta de marteloio” attraverso la soluzione di alcuni problemi geometrici permetteva di calcolare il guadagno controvento in caso di bordeggio oppure di ritrovare la rotta dopo una deviazione provocata da una tempesta. Questi  strumenti erano davvero  efficaci solo se venivano usati insieme, e il loro uso presupponeva un minimo di conoscenze di fondo, che di fatto erano a disposizione prevalentemente dei marinari del mediterraneo.

 

Un’ altro strumento più sofisticato per l’osservazione degli astri era l’astrolabio, noto dagli inizi del medioevo (il primo testo che lo descrive risale al 530 d.C.). Questo strumento rappresentava una sintesi del sapere astronomico del medioevo, trascritto in simboli e in forme geometriche, assomigliava ad un orologio da tasca, composto da un disco piatto sul retro e concavo sul davanti. Sulla superficie devono venir descritti molti dati astronomici, che permettevano di risolvere un gran numero di problemi: individuare la posizione degli astri, calcolare l’ora locale, individuare il momento dell’alba e del tramonto del sole e delle principali stelle, prevedere l’inizio dell’aurora e la fine del crepuscolo, trovare la latitudine partendo sia dalle osservazione della polari sia da osservazioni solari.
Poichè ai marinai non servivano tutte queste informazioni, gli astrolabi che venivano portati a bordo erano molto semplici, perché dovevano essere dei misuratori d’altezza angolare. Ma ancora più semplice era il quadrante: consisteva in due listelli di legno fissati ad angolo retto e sottendenti un arco graduato sul suo lato esterno. Uno dei listelli riportava due traguardi o mirini, attraverso i quali veniva osservato l’astro. Nel punto in cui i listelli si univano a formare l’angolo retto si trovava un anello, in cui si infilava il dito per sostenere lo strumento al momento dell’osservazione, e un filo a piombo di seta, che intersecando con il cerchio graduato permetteva di effettuare la misurazione.

Usare questo strumento in navigazione non era semplice, perché il rollio della nave rendeva difficile mantenere contemporaneamente la verticalità del quadrante, osservare l’astro e prendere la misura dell’altezza. Anche utilizzando tre persone per svolgere queste operazioni, il dato finale era comunque approssimativo. 

 


ARTICOLO DI GIORGIA LUPO DELLA CLASSE III I DEL LICEO LINGUISTICO