Chi era veramente Falstaff?
Sir John Falstolfe, cavaliere medievale inglese, eroe della guerra dei cent’anni, ha ispirato il personaggio shakespeariano di Sir John Falstaff, tra i protagonisti dell’Enrico IV e dell’Enrico V e successivamente anche delle Allegre comari di Windsor. Falstolfe proveniva da una nobile famiglia di Norfolk (una contea dell’Inghilterra orientale affacciata a nord e a est sul Mare del Nord e confinante a sud con la contea di Suffolk e a ovest con il Cambridgeshire).
Aveva goduto di una migliore reputazione nella vita reale che come prototipo del personaggio Shakespeariano di Falstaff, si narra infatti che egli conquistò la sua fama grazie alla sua brillante carriera, che ebbe inizio in Irlanda, con i combattimenti che si svolsero tra il 1405 e il 1406 .
Nel 1408 fece un fortunato matrimonio con Millicent, vedova di Sir Stephen Scrope di Castle Combe nel Wiltshire. Nel 1413 prestò servizio in Guascogna e prese parte a tutte le successive campagne di Enrico V in Francia. Deve essersi guadagnato una buona reputazione come soldato, poiché nel 1423 fu nominato governatore del Maine e dell’Anjou e nel febbraio del 1426 diventò un cavaliere della Giarrettiera. Dopo una visita in Inghilterra nel 1428, tornò in guerra il 12 febbraio 1429 quando fu incaricato del convoglio dell’esercito inglese nella “battaglia delle aringhe”. Il 18 giugno dello stesso anno una forza inglese al comando di Fastolf subì una grave sconfitta a Patay. Secondo lo storico francese Waurin, che era presente, Fastolf fuggì solo quando la resistenza era senza speranza ma molti furono coloro che lo accusarono di codardia.
Dopo una tale carriera che gli furtto molte richezze morì a Caister il 5 novembre 1459.
Falstaff nella penna del grande drammaturgo Shakespeare, tra dramma e commedia
Il grande drammaturgo ci presenta Falstaff come uomo fiduciario del Principe, arruolatore di soldati, custode dei segreti della vita privata del Principe, organizzatore dei bagordi licenziosi, della “Dolce Vita” del Principe e della sua “corte”. Il personaggio è un grasso cavaliere, un po’ spaccone e un po’ pusillanime, sempre pronto ad anteporre il piacere di vivere a qualunque ragione e per questo manifesta un carattere poliedrico, a volte positivo, negativo e neutro allo stesso tempo.
Falstaff è un personaggio unico nel canone shakespeariano: è un uomo che parla liberamente in un mondo in cui le apparenze sociali contano più di tutto e sovrastano pensieri e azioni reali.
Non v’è dubbio che Sir John sia un uomo che sa il fatto suo, specie in fatto di donne, che lo ricambiano e lo amano. Un uomo, che in modo sottile e insinuante, seduttivo e femminile, ci incanta, quasi fosse una sirena, con il suo controcanto che esalta il valore della vita, tesse le lodi di tutto ciò che è deperibile, vacuo, ma vitale, in un universo duro e guerresco.
«Datemi la vita» dice Falstaff perfino sul campo di battaglia, andando incontro a chi deve uccidere. Non prenderà però la vita di nessuno, perché prendere la vita di un altro è dargli la morte, e lui la morte la odia, la morte è l’unico bottino che non gli interessa. Semmai, la morte la finge per mantenere in vita la sua propria carne.
Falstaff non appartiene al mondo dei personaggi shakespeariani geniali ragionatori o virtuosi pensatori: egli non è nulla di tutto questo, anzi antepone sempre la vita da vivere a qualunque ragione, in lui tutto diventa funzionale alla prossima avventura. Che è come dire la prossima vita.
Nel suo eroe, Shakespeare ha messo il germe di quegli uomini che non si fermano mai a pensare e che mentre – poniamo – corteggiano una donna, già pensano al bottino di carni o di denari da sgrafignare l’indomani. A Falstaff non importa niente della salute, vuole la sua pancia, vuole la sua libertà, anche quando questa si presenta come dissoluzione: l’antieroe per eccellenza di tutti i più grandi personaggi di Shakespeare.
Il tempo di Falstaff non va da nessuna parte, è bloccato. Le sue giornate si ripetono sempre uguali, in modo circolare e inconcludente e in questo stallo improduttivo, in questo sottrarsi alla moderna concezione del tempo dell’impegno, della responsabilità e della maturità – che si affaccia proprio nell’Inghilterra elisabettiana e che da allora ci fa tutti uomini moderni.
Un personaggio unico e attualissimo: come non pensare, seguendo le sue smanie, alla frenesia dell’uomo iperconnesso che vive contemporaneamente mille vite (vere o virtuali) pur di dimostrare a se stesso che esiste?
Il bene supremo per Falstaff è proprio l’allegria, un bene molto più concreto e a portata di mano di qualunque inarrivabile felicità.
Falstaff and Bardalph, Henry Liverseege (1803–1832)
Falstaff quindi insegna a bere, rubare, mangiare, fare l’amore, ridere, ubriacarsi e il giovane principe Hal, futuro re Enrico V, secondo le trame delle opere shakspiriane, viene attratto e risucchiato in questo mondo e decide di restarvi tutto il tempo che può. Il tempo della responsabilità, della corona, del governo, arriverà ed è come se lui volesse allontanare quell’istante e godere il più possibile di tutto ciò che gli sarà poi vietato per sempre.
Falstaff diventa per Hal un secondo padre, il padre che lui, figlio di re, non ha mai avuto e non avrà mai, il padre che non ha paura dell’esperienza della vita, con tutti i suoi pericolosi risvolti.
Hal quindi si divide tra la taverna-bordello di Eastcheap con i suoi giorni sempre uguali, nutriti di vino, rapine, scherzi, sesso, parolacce, insulti, corpi, musica, caos, e il mondo del potere e del governo, algido e duro, in cui le regole spietate dell’assassinio e dell’inganno, che hanno accompagnato l’ascesa al trono di Enrico IV, devono essergli trasmesse.
Falstaff ha la gura del sileno, ovvero di quelle divinità minori all’aspetto esteriore grottesche, che però nascondono dentro di sé un’immagine divina. C’è senz’altro un che di divino in lui.
Dopo l’Enrico IV e l’Enrico V, ritroviamo Falstaff in Le comari di Windsor che fu scritta, secondo la tradizione, per venire incontro al volere della Regina Elisabetta, desiderosa di rivedere sulla scena il suo personaggio preferito tanto da ordinarne la composizione entro quattordici giorni.
Secondo studi novecenteschi si affermò un’ipotesi: l’opera sarebbe stata commissionata per essere rappresentata in occasione della partecipazione della regina alla Festa della Giarrettiera il 23 aprile di quell’anno.
“Falstaff’s assignition with Mrs Ford”, George Clint – Oil On Canvas – 77 x 64 cm – 1831
In questa commedia Falstaff è il motore, lo spirito della vita che irrompe con tutte le sue arguzie e appetiti, un moderno Dioniso che scuote e rapisce. Circondato da due satiri traditori come Pistola e Bardolfo, il cavaliere panciuto giudica e mette in moto gli eventi: due lettere identiche se non per il nome della destinataria, per un identico amore per la vita e le sue gioie.
«Talvolta era così spirituale che io, come donna, mi sentivo annientata. Altre volte, invece, era così selvaggio e appassionato, così pieno di desiderio, che io quasi tremavo davanti a lui…»
Soren Kierkegaard, Diario di un seduttore
La pancia di Falstaff, simbolo e condanna
Dal programma di sala Falstaff, Teatro Stabile di Torino, Marino Niola
Sir John è il grande paradigma dei grassoni d’antan, quelli che per sforare il tetto dell’obesità dovevano far gemere le bilance sotto il peso della loro insostenibile pesantezza. Mentre oggi basta qualche chilo di troppo per essere additati come onnivori compulsivi. Umiliati e obesi. Ma al tempo stesso la sua carne tremula è l’ologramma inquieto di un passaggio epocale. Perché il suo destino, che ha il ventre per sigillo, annuncia una modernità che fa della pancia l’opposto della ragione. Tanto che chiama “di pancia” un parlare che si rivolge agli istinti più bassi del corpo sociale. Col risultato di spezzare l’unità dell’essere in due metà incomunicanti. L’una governata dall’altra ed entrambe assoggettate a un dispositivo di governo dei corpi. Secondo un principio di gravità che sottomette le forme che pesano alle forme che volano. Una tara fisica simbolo di una tara morale, che fa della carne una colpa da emendare. Con un corto circuito tra etica e dietetica di fatto inesaurito
Falstaff trionfante accanto al corpo di Hotspur, Smirke
L’ancien régime assegna alla grassezza un significato negativo – il che non è cosa nuova perché ogni società stigmatizza in qualche modo l’oversize ma lo fa ricorrendo a scale fisiche e a misure morali completamente diverse.
Più uno ingrassa, più diventa saggio – diceva Dickens controcorrente – pancia e saggezza crescono insieme. Quasi una bestemmia per una società che manda in pensione la saggezza e la sostituisce con la leggerezza. Così i due corpi del re, quello politico non meno di quello fisico, sono costretti a mettersi a dieta da un nuovo ordine che comincia col prendere le misure alla vita.
Falstaff, sempre trattato dal Principe in maniera villana, quando non offensiva, accetta questa diminutio capitis, apparentemente senza reagire. Perché? Perché egli si illude di dare al giovane Principe un surrogato di amore paterno, che il Principe non ha mai avuto, dati i rapporti sempre conflittuali o ostili con il re Henry IV. Il Principe non ricambia, anzi ci tiene ad esibire sempre la propria arrogante distanza.
Anche oggi, vediamo rampolli di famiglie potenti, che si danno alla débauche, poi pretendono che si dimentichi tutto, e fanno in modo che i compari di bagordi vengano puniti e costretti al silenzio/oblio.
ll Principe ovviamente come da copione, al momento dell’incoronazione, abbandonerà Falstaff al suo destino: la prigione nella Torre di Londra. Falstaff morirà di delusione e di dispiacere, e quindi non farà in tempo a subire l’impiccagione. Ciò che per le persone ordinarie è baldoria, per i nobili (oggi diremmo per il jet set) è capriccio e trasgressione, quindi neanche giudicabile dal popolo/gente comune.
In maniera piuttosto sorprendente, il personaggio di Falstaff rimarrà come archetipo nel mondo dell’arte, e soprattutto dello spettacolo. Anche a distanza di secoli dalla creazione del personaggio, ancora oggi parliamo di personaggi Falstaffiani nel mondo del teatro, del cinema, e dello show-business in generale.
Il teatro elisabettiano e Shakespeare
Le grandi tragedie di Shakespeare, a cominciare da Amleto, Otello, Re Lear e Macbeth, comprese quelle nominate in precedenza in questo articolo, furono ospitate per la prima volta dal Globe Theatre, il teatro più importante della Londra seicentesca.
Il teatro elisabettiano conobbe durante il lungo regno di Elisabetta I d’Inghilterra (1533-1603) un periodo di grande splendore. Il primo edificio appositamente costruito per le pubbliche rappresentazioni fu il Theatre collocato fuori dal centro storico di Londra. In quell’epoca, infatti, i teatri venivano a malapena tollerati dalla borghesia puritana (in quanto considerati fonte di immoralità), ma nonostante questo erano molto frequentati, dalle classi più povere, fino a quelle più elevate, oltreché dalla stessa Regina Elisabetta.
Al Theatre seguirono molti altri teatri, tra i quali il Globe Theatre gestito dalla compagnia di cui faceva parte lo stesso Shakespeare, i Lord Chamberlain’s Men. Il Globe Theatre, che per quattordici anni fu il protagonista assoluto della vita culturale londinese, fu costruito nel 1599 a Londra sulla riva meridionale del Tamigi, a Southwark (uno dei distretti più vivaci dell’epoca elisabettiana) da Cuthbert Burbage. Il Teatro non ebbe da subito vita facile: durante la prima rappresentazione dell’ Enrico VIII, nel 1613, un cannone destinato agli effetti speciali mandò a fuoco il tetto di paglia e le fiamme incendiarono anche i pantaloni di uno spettatore che, riferisce la cronaca, lo spense con una bottiglia di birra, cavandosela con qualche scottatura… L’edificio ne uscì seriamente danneggiato. Nel 1642 i teatri furono chiusi a causa della Guerra Civile e fu l’inizio di un inesorabile declino: quando i Puritani giunsero al potere con Oliver Cromwell, infatti, furono adottate subito misure drastiche contro il teatro, accusato di allontanare i fedeli dalle chiese. Nel 1647, infine i Puritani approvarono addirittura l’ordinanza che prevedeva la distruzione sistematica di tutti teatri inglesi dalle fondamenta. Inutile dire che nemmeno il Globe fu risparmiato.
La struttura così come la conosciamo oggi, comunemente denominata Shakespeare’s Globe ed inaugurata nel 1999, è una ricostruzione ipotetica dell’originale teatro elisabettiano del 1599 frutto di un attore e regista americano di nome Sam Wanamaker. Questi, durante un soggiorno londinese nel 1949, restò sconcertato nello scoprire che tutto ciò che restava del Globe si riduceva a una lastra, all’epoca a ridosso del muro di una birreria, e fondò quindi lo Shakespeare Globe Trust, finalizzato alla raccolta di fondi per la ricostruzione del teatro, cui lavorò egli stesso instancabilmente, anche se morì senza vederne la realizzazione finale.
Negli anni di attività di Shakespeare il Globe Theatre era contraddistinto da una bandiera fluttuante, che recava il motto di “Mundus agit histrionem” (forse “È il mondo che crea l’attore”) tratto dallo scrittore latino Petronio (“Quod fere totus mundus exerceat histrionem” ) e trasformato poi da Shakespeare nel “Come vi piace”: “Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne solamente degli attori. Essi hanno le loro uscite e le loro entrate. Ognuno nella sua vita recita molte parti”, celebre monologo di Jacques nel secondo atto, scena settima. Poche battute che riassumono l’universalismo shakespeariano ed il suo concetto del “grande teatro del mondo” e dell’uomo come un attore, cui però nella vita reale non è concesso il lusso di riprovare la scena malamente recitata.
Thomas Stothard (exhibited 1813)
Questo dipinto raffigura una processione di alcuni dei piu famosi personaggi delle opere teatrali di Shakespeare. Da sinistra a destra, sono: Olivia, Malvolio, Sir Toby Belch e Sir Andrew Aguecheek (dalla dodicesima notte); Falstaff e i suoi associati ubriachi (da Le mogli allegre di Windsor); Celia e Rosalind (da As You Like It); Prospero e Miranda (da The Tempest); King Lear e Cordelia (da King Lear); Ofelia e Amleto (da Amleto); Lady Macbeth e le streghe (da Macbeth). Invece di mostrare i personaggi in scenari letteralmente teatrali, Stothard, ha aperto la strada a un approccio più fantasioso, trattando le figure come invenzioni poetiche.
I Falstaff contemporanei: dall’opera all’arte, tra teatro e cinema
Grazie al calore guadagnato tra il pubblico nel corso dei secoli e la fortuna dei testi shakespeariani, Falstaff è tornato a vivere in altre elaborazioni artistiche.
Questo personaggio ha infatti ispirato i libretti di ben due opere liriche, ha calcato le scene di quasi tutti i palcoscenici mondiali, ed è atterrato nello star system del cinema americano con la celeberimma versione del grande Orson Wells.
Falstaff e l’opera lirica
TUTTO NEL MONDO É UNA BURLA
Falstaff è l’ultima opera di Giuseppe Verdi. Il libretto di Arrigo Boito fu tratto da Le allegre comari di Windsor di Shakespeare, ma alcuni passi furono ricavati anche da Enrico IV parti I e II.
Alla fine del 1890 Giuseppe Verdi aveva 77 anni e allo scrittore Gino Monaldi aveva scritto: «Sono quarant’anni che desidero scrivere un’opera comica, e sono cinquant’anni che conosco Le allegre comari di Windsor. I soliti ma, che sono dappertutto, si opponevano sempre a far pago questo mio desiderio. Ora Boito ha sciolto tutti i ma, e mi ha fatto una commedia lirica che non somiglia a nessun’altra. Io mi diverto a farne la musica; senza progetti di sorta, e non so nemmeno se finirò…ripeto: mi diverto…Falstaff è un tristo che commette ogni sorta di cattive azioni…ma sotto una forma divertente. E’ un tipo! Son sì vari i tipi! L’opera è completamente comica!»
Verdi ha sempre dichiarato il suo incondizionato amore per Shakespeare e grazie all’insistenza di Arrigo Boito aggiunge Sir John Falstaff al suo catalogo operistico. Falstaff debuttò al Teatro alla Scala di Milano il 9 febbraio 1893, il protagonista era il baritono Victor Maurel che era già stato il primo Jago in Otello, Antonio Pini Corsi era Ford, Emma Zilli vestiva i panni di Alice Ford, Giuseppina Pasqua era Quickly, sul podio c’era Edoardo Mascheroni, scene e costumi erano firmati da Adolfo Hohenstein. In sala c’erano la Principessa Letizia Bonaparte, Giosuè Carducci, Giuseppe Giacosa, Giovanni Boldini, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni. Vennero bissati il quartetto delle donne del primo atto e Quando ero paggio del duca di Norfolk, l’aria di Falstaff del secondo atto. Fu un trionfo e una folla di ammiratori seguì Verdi fino al suo albergo costringendo il compositore ad affacciarsi al balcone. Le recensioni della stampa, italiana e straniera, furono entusiastiche.
LE TRE BURLE
Dramma giocoso in due atti
Autore: Antonio Salieri (1750-1825)
Soggetto: libretto di Carlo Prospero Defranceschi, da Shakespeare
Prima: Vienna, Teatro di Porta Carinzia, 3 gennaio 1799
Cast: Sir John Falstaff, cavaliere (B); Mr. Ford, un gentiluomo di Windsor (T); Mrs. Ford, sua moglie (S); Mr. Slender (B); Mrs. Slender, sua moglie (S); Bardolf, servitore di Falstaff (B); Betty, cameriera di Mrs. Ford (S); amici e ospiti di Mr. Ford e Mr. Sle
Molti dimenticano che prima di Giuseppe Verdi fu Antonio Salieri a musicare e portare in scena il racconto delle traversie del corpulento e comico eroe shakespeariano. Il compositore veneto – rispetto a Verdi e al suo fidato Arrigo Boito – affidò la rielaborazione del testo al librettista Defranceschi che, rispetto al dramma shakespeariano, si limita a un novero essenziale di personaggi; ciò da luogo a una versione più lineare della vicenda.
Falstaff nel grande cinema di Orson Wells
Spesso ammaliato dalla sfida con il materiale shakespeariano, mai vissuta in maniera prona, Orson Welles trova nel personaggio di John Falstaff una figura a lui singolarmente congeniale: l’ode alla gioia di vivere, al godimento stesso dell’esistenza, la ὕβρις istintiva e innata di un fanfarone senza arte né parte. Dei tanti personaggi del Bardo, questo era il suo preferito e Welles fece di Falstaff, un hippie ante litteram, un bambino nato già vecchio e coi capelli bianchi, un uomo che rifiuta la serietà e saggezza proprie dell’età senile, un anarchico adorabile, che resiste ai doveri del mondo, con la consapevolezza amara e struggente di essere fuori dalla Storia.
Due uomini dediti ai bagordi e alle baldorie, frequentatori di taverne e donne equivoche. Uno è giovane, l’altro e’ vecchio; uno e magro agile e scattante, l’altro è obeso, malato e dall’incedere faticoso; uno è ricco, l’altro povero e perennemente indebitato. Uno è Hal, principe del Galles, destinato a succedere al trono d’Inghilterra alla morte del padre Enrico IV, l’altro e Sir John Falstaff, per gli amici Jack, ladro, furfante, gran bevitore e bugiardo irrimediabile. Uno è destinato a indossare la corona, l’altro potrà solo fingersi re e mettersi in testa una pentola rovesciata durante una commedia improvvisata, inscenata in una taverna.
Falstaff nel teatro italiano contemporaneo
Tra le più recenti e riuscite messe in scena di Falstaff del teatro italiano, ne segnaliamo qui alcune.
FALSTAFF
da Enrico IV e Enrico V di Shakespeare
produzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino / Emilia Romagna Teatro Fondazione
Debutto: Torino, Teatro Carignano 13 ottobre 2014
traduzione Nadia Fusini, adattamento e regia Andrea De Rosa estratti da Falstaff dall’Opera di Giuseppe Verdi Così parlò Zarathustra di F. Nietzsche, Lettere al padre di F. Kafka
con Giuseppe Battiston (Falstaff /Re Enrico IV)
“C’è in Falstaff qualcosa che ci conquista subito – scrive il regista Andrea De Rosa -: un amore sfrontato per la vita, che si manifesta soprattutto nella forma dell’amore per la lingua, per le parole, per il motto di spirito, per la creazione instancabile di metafore e giochi linguistici; un senso pieno delle cose che accadono qui e ora e che di fronte al suo sguardo sembrano le sole che abbiano un qualche senso; c’è nelle sue parole una gioia che non si stanca mai, sempre pronta a rovesciare il male in bene, un senso dell’amicizia ingenuo e vorrei dire persino infantile, una ostinazione a fare di ogni dolore uno scherzo, di ogni situazione senza via d’uscita uno sprone a cercare di non lasciarsi imprigionare”.
FALSTAFF O L’EDUCAZIONE DEL PRINCIPE
Teatro popolare d’arte del comune Lastra a Signa della città metropolitana di Firenze
Debutto: 1 febbraio 2019
Il testo per molte parti è fondato sul libretto dell’opera verdiana scritto dal poeta/musicista Arrigo Boito (di fatto una riduzione lirica de Le allegre comari di Windsor di Shakespeare): ne è nato uno spettacolo teatrale molto musicale, pieno di ritmo e di coralità un grande gioco scenico completamente dedicato al pubblico, al piacere degli spettatori di incontrare il grande personaggio Falstaff e la sua banda di abitanti notturni dell’Osteria della Giarrettiera dove il nostro eroe, di fatto, vive e compie le sue imprese. A fronte di questa tensione leggera il testo si nutre di alcuni frammenti dell’Enrico IV di Shakespeare, dove vediamo Falstaff impegnato ad educare il Principe di Galles nel suo mondo dell’Osteria della Giarrettiera per poi essere da lui violentemente ripudiato al momento dell’ascesa al trono d’Inghilterra. Il grande poeta inglese guardava con ironia e affetto alle debolezze ed alle ambizioni, alle improvvise ascese e rapide cadute degli uomini. Per questo la commedia shakespeariana non è mai gratuita, ma sempre piena di umanità capace di narrare con ironia e pietà le vicende umane.
FALSTAFF E IL SUO SERVO
Produzione: CTB, Centro Teatrale Bresciano
Debutto: 22 ottobre 2019
Il regista Antonio Calenda, con la complicità del drammaturgo Nicola Fano,posero di fronte a Falstaff (un uomo che confonde i piaceri con la natura, la furbizia con il caso) un Servo che crede di poter addomesticare la realtà, mettendo i due personaggi in conflitto.
Lo spettacolo, ripercorrendo gli ultimi giorni di vita di Falstaff, evoca tutte le sue avventure: un teatro nel teatro nel quale il Servo assume il ruolo di regista e Falstaff quello di eroe tragicomico, biglia impazzita nel gioco della vita.
Ne viene fuori un catalogo delle beffe subìte dal personaggio fino all’epilogo drammatico: la rottura con l’amico/allievo di sempre Enrico e l’abbandono in solitudine, lontano da quella guerra di Agincourt dove tutti gli altri – non lui – conquisteranno gloria eterna.
BIBLIOGRAFIA
www.delteatro.it
www.teatrostabiletorino.it
www.centroteatralebresciano.it
www.ilgrandeinquisitore.it
www.sistemamusica.it
www.rbcasting.it
www.quinlan.it
www.cinematografo.it
www.artearti.net
ARTICOLO DI VIOLA CORTIANA DELLA CLASSE III B DEL LICEO CLASSICO
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