La USS Indianapolis (CA-35) è stato un incrociatore pesante, della United Stated Navy, che ha guadagnato un posto nella storia in seguito alle vicende legate al suo affondamento. In quella circostanza si registrò la seconda maggior perdita di vite umane in un unico evento della storia della marina degli Stati Uniti, con 880 vittime, inferiore solo a quello occorso nell’affondamento della USS Arizona durante l’attacco a Pearl Harbor.

La Indianapolis scampò all’attacco giapponese di Pearl Harbor, perché il 7 dicembre 1941 stava simulando un bombardamento di Johnston Island a capo della task force 3(TF 3). In seguito, si unì alla task force 12 (TF 12) e diede la caccia ai mezzi giapponesi che secondo i rapporti si trovavano ancora nelle vicinanze.

La nave, comandata dal capitano Churles Butler Mcvay III aveva trasportato da Pearl Harbor a Tinian l’involucro e la carica di uranio della prima bomba atomica, insieme con due scienziati impersonanti dei tecnici dell’esercito, in quella che era stata definita Operazione Bronx Shipment; il meccanismo di innesco era stato immerso in un contenitore foderato di piombo e imbullonato all’hangar dell’idrovolante, mentre l’uranio 235 era stato posto in un analogo contenitore e conservato nella cabina normalmente riservata a un eventuale ammiraglio a bordo; la nave traversò da San Francisco a Pearl Harbor a una velocità media molto elevata di 29 nodi in un tempo record di 74,5 ore, proseguendo poi per Tinian. Consegnata la bomba ripartì dal porto in direzione di Leyte nelle Filippine per unirsi alla task force 95.7 dell’ammiraglio McCormick, senza alcuna scorta nonostante il rischio di un attacco subacqueo fosse riportato ancora come non lieve. Lungo la rotta prescelta tra le tre possibili, chiamata in codice “Peddie”, era in agguato il sommergibile giapponese I-58, con a bordo anche dei siluri umani Kaite (siluri con un membro di equipaggio che doveva compiere un attacco suicida). La nave procedeva alla velocità di 17 nodi e senza zigzagare, in quanto gli ordini erano di “zigzagare a discrezione in base anche alle condizioni meteo”, e non veniva richiesto di mantenere una elevata velocità. Il comandante giapponese Mochitsura Hashimoto non era entusiasta dei Kaiten e scelse siluri convenzionali, lanciandone una salva. Due centrarono la fiancata dell’Indianapolis causando l’interruzione dell’energia elettrica e l’allagamento della nave che incominciò a sbandare. Nonostante tutto, il segnale di soccorso fu inviato, ma tre stazioni riceventi lo ignorarono, una perché il capostazione era ubriaco, un’altra perché il comandante aveva ordinato ai suoi uomini di non disturbarlo e la terza perché il segnale fu classificato come un falso inviato dai giapponesi.

Il mancato arrivo dell’unità al 31 luglio fu ignorato per due giorni dal controllo traffico di Leyte. Nel frattempo i circa 900 che erano riusciti ad abbandonare la nave, su 1.196 uomini di equipaggio, avevano incominciato la loro lotta per la sopravvivenza contro la mancanza di giubbetti di salvataggio la disidratazione, che ne fece impazzire molti e gli attacchi degli squali. Nelle prime ore del 31 luglio furono lanciati razzi di segnalazione, visti da un C-54 da trasporto dell’Army Air Corps in rotta da Manila a Guam, e classificati dal comandante Richard G. Le Francis come una “battaglia navale”, ma la segnalazione fu ignorata dai suoi superiori che gli risposero di “non preoccuparsi perché era un problema della marina”.

Dopo l’abbandono della nave, molti membri dell’equipaggio sotto la guida degli ufficiali e dei sottufficiali presenti avevano organizzato in più gruppi i battellini di salvataggio e i relitti galleggianti per darsi aiuto reciproco, e molti feriti vennero raccolti. Le razioni di emergenza e le riserve d’acqua, dove presenti, vennero distribuite all’inizio in modo controllato e razionato. Gli effetti della disidratazione portarono molti uomini a impazzire e ad allontanarsi a nuoto dai battelli, verso la morte per annegamento o per gli attacchi degli squali.

I naufraghi vennero ignorati fin quando un velivolo Lockheed B-34 Ventura della squadrigliaVPB-152 della US Navy, comandato dal tenente Wilbur C. Gwinn, in normale volo di pattugliamento alle ore 10:25 del 2 agosto notò delle chiazze di nafta e, mentre si accingeva a un attacco con bombe di profondità verso un presunto sottomarino, vide i superstiti. .Alcuni di un gruppo si immersero vaneggiando di aver trovato una cisterna di acqua potabile e contagiando altri con una isteria collettiva e molti trovarono la morte immergendosi in seguito a q mentre si accingeva a un attacco con bombe di profondità verso un presunto sottomarino, vide i superstiti. A quel punto abortì l’attacco e lanciò delle zattere gonfiabili dotate di boe sonar, che i naufraghi non furono però in grado di azionare, e trasmettendo subito alla base di Peleliu un rapporto di avvistamento. Un idrovolante PBY Catalina del VPB-23 del comandante Adrian Marks, con nominativo di chiamata Playmate 2, venne caricato di materiale di soccorso e inviato alla ricerca dei superstiti, poiché si riteneva che i circa trenta uomini che erano stati avvistati inizialmente potessero appartenere all’equipaggio di una nave affondata. Nel frattempo le stime del comandante Gwinn a seguito di una ricerca più accurata erano salite a 150 naufraghi. A questo punto la segnalazione aveva raggiunto anche il comando avanzato delle Filippine, che chiese informazioni sulle eventuali unità disperse al centro di controllo traffico a Leyte; la risposta fu che tre navi erano in ritardo, e una di esse era l’Indianapolis. Anche l’ammiraglio McCormick rispose che la nave non aveva raggiunto direttamente il suo task group. Pur non essendoci ancora la certezza dell’identificazione della nave, vennero ordinate ricerche a vasto raggio e sette unità navali incominciarono a pattugliare l’area.

L’idrovolante comandato da Marks sorvolò lungo il percorso il cacciatorpediniere Cecil J. Doyle (DE-368), che venne allertato e si diresse autonomamente per decisione del proprio comandante verso il luogo del rilevamento; Marks, dopo aver lanciato le zattere di salvataggio, decise di ammarare per fornire rifugio al maggior numero possibile di naufraghi (alla fine saranno 56). In questo modo danneggiò irreparabilmente il velivolo, ma riuscì a far salire diverse decine di uomini nella carlinga e sulle ali, oltre che a raccogliere i battelli attorno all’aereo. Quando la USS Doyle raggiunse in piena notte il luogo del rilevamento, si fermò a distanza di sicurezza per non rischiare la vita degli uomini in mare e accese il proprio proiettore, rendendosi identificabile e mettendosi in pericolo per poter dare un riferimento ai naufraghi, molti dei quali si resero conto in questo modo dell’arrivo dei soccorsi. Un gruppo di altre unità venne immediatamente inviato da Ulithi sul luogo, tra cui i cacciatorpediniere Ralph Talbot (DD-390) veterano della battaglia di Guadalcanal, Helm (DD-388) e Madison (DD-425), cui poi si aggiunsero il caccia di scorta USS Dufilho (DE-423), i trasporti veloci (ex cacciatorpediniere di scorta riclassificati) USS Bassett (APD-73) e (il 3 agosto) USS Ringness(APD-100) dalle Filippine.

La ricerca proseguì fino all’8 agosto, ma dei marinai che avevano abbandonato la nave, solo 316 su 1.196 vennero recuperati; 154 dalla USS Bassett in quattro ore di ricerca e 39 dalla Ringness, 24 dalla Ralph Talbot, mentre la Dufilho dopo aver recuperato un superstite rilevò un forte contatto sonar a circa 800 m e si dedicò alla caccia antisommergibile e poi alla vigilanza mentre le altre navi procedevano col recupero.

 Tra i superstiti vi fu anche il comandante Charles Butler Mc Vay III, figlio dell’ammiraglio McVay; quest’ultimo aveva un pessimo rapporto col figlio e non lo supportò mai, né durante le differenti fasi del processo, né dopo.

 Nel novembre del 1945, McVay venne sottoposto a corte marziale, unico tra i 700 comandanti di navi statunitensi affondate durante il conflitto, e giudicato colpevole di aver “messo a rischio la nave rinunciando a zigzagare”. In realtà, il comandante giapponese testimoniò dopo la guerra che la cosa non avrebbe fatto alcuna differenza. Inoltre, fatto che venne tenuto segreto fino al 1990, le intercettazioni Ultra avevano rivelato la presenza di un sottomarino operante con certezza nell’area.

Altre prove esistevano comunque a discarico del capitano:

  • L’Indianapolis fu l’unica unità maggiore inviata da Guam alle Filippine senza una scorta, sebbene il capitano avesse fatto esplicita richiesta in tal senso.
  • Benché il caccia di scorta Underhill fosse stato affondato 24 ore prima della partenza da Guam, il comandante McVay non venne informato.
  • L’ufficiale addetto al traffico a Guam, pur cosciente dei rischi lungo la rotta, stabilì che una scorta non era necessaria, e successivamente al processo testimoniò che il rischio di attacchi da parte di sottomarini per la nave era “molto piccolo”.

Alla fine, l’ammiraglio Chester Nimitz annullò la sentenza e prosciolse McVay rimettendolo in servizio attivo. Sebbene molti superstiti non attribuissero alcuna responsabilità al capitano, molti dei familiari lo fecero, montando un clima di linciaggio morale che alla fine portò al suicidio di McVay col revolver di ordinanza nel novembre 1968.

Nell’ottobre 2000 il Congresso degli Stati Unitipose fine alla questione approvando una risoluzione secondo la quale sullo stato di servizio del capitano McVay dovesse essere riportato che “egli era prosciolto dalle accuse per la perdita dell’Indianapolis”. Il presidente Bill Clinton stesso firmò la risoluzione.

 

 

UUS INDIANAPOLIS

The USS Indianapolis was a heavy cruiser in force at the American navy, launched in 1932 and fighting during the Second World War. By July 1945 the war had ended in Europe and in Japan it was now clear that the Empire of the Rising Sun would fall, but it has not yet been known when it is a cost for the United States. In that July the USS Indianapolis is located in the Philippine sea, had recently fought off the coast of Okinawa where it had suffered some minor damage from an attack by the Japanese suicide bombers and was learning a new mission: the transport of the uranium of a of the two atomic bombs that the United States noticed a little later dropped on Japan with a control to definitively bend the enemy power, to be brought to the island of Tinian, in the Mariana Islands.

On July 31 the ship proceeded in the Philippine Sea with a certain calm, to the point that the obligation to move in a zigzag, an important safety measure for ships in times of war, had not even been given. On the way, however, the ship was intercepted by the Japanese submarine I-58, led by Hashimoto Mochitsura, which launched six torpedoes against the USS Indianapolis ship, hitting it.

The ship was heavily damaged and began to fill up with water, forcing those of the 1,196 crew members who had not died in the attack to try to escape as soon as possible so as not to die of drowning. But the tragedy of this ship had just begun.

As happened in these cases, an alarm signal was sent which arrived at three different stations, which however for various reasons did not intervene. The first stationmaster was in fact drunk, the second had asked his collaborators not to disturb and the third interpreted it as a disturbing action by the Japanese. The men of the USS Indianapolis were therefore left to themselves.

About 900 men were rescued in the attack, and remained at sea attached to the wrecks, amid the toxic fuel of the ship that was invading the waters of the area. In the early hours of the morning they were observed by an American plane to which a report was communicated, or what is the forwarding to the superiors who said not to worry “because it was a problem of the Navy”, without however following it.

The men of the USS Indianapolis therefore remained at the mercy of the sea, with very few supplies of drinking water and canned meat rescued from the sinking of the ship. In a short time, many of them began to suffer from fuel poisoning, dehydration from the lack of drinking water, insolation, shark attacks as well as cases of madness due to the desperate situation in which the survivors were pouring.

Through the wrecks, some men managed to organize small boats and tried to ration the very little food available.

On August 2, an American plane that was doing normal patrol activities saw the shipwrecked and threw some inflatable boats at them, to then notify their superiors and begin rescue operations. When the United States launched the first atomic bomb on Hiroshima on August 6, those who had not died in the sinking of the USS Indianapolis could not know what had happened.

Only on August 8, some U.S. ships managed to rescue 316 men who had been at sea abandoned for nine days, about a quarter of the total crew of the USS Indianapolis. The following day, the United States dropped the second atomic bomb on Nagasaki, thus leading Japan to surrender and end the Second World War.

The commander of the USS Indianapolis, Charles Butler McVay III, escaped and in November 1945 ended up before the martial court, where he was initially found guilty of what happened to his ship: Admiral Chester Nimitz decided, however, to annul the sentence. McVay was in fact rehabilitated because his ship had been sent unescorted, he had not been informed that the plane that should have kept an eye on his ship had been shot down and because the Japanese submarine commander who had hit him had said that the not having zigzagged had not been decisive for the fate of the USS Indianapolis.

Nonetheless, McVay was morally crushed by those who attributed him the responsibility for what happened, and in 1968 he committed suicide by shooting himself with a gunshot. It was not until 2000 that the United States Congress passed a resolution, signed by President Bill Clinton, that McVay was to be considered in all respects cleared of charges of responsibility for the disaster of the USS Indianapolis, putting an end to the matter.


ARTICOLO DI GUGLIELMO LONGO DELLA CLASSE V A DEL LICEO CLASSICO