“Essere Ferrari è qualcosa di speciale, nasce dalla tenacia del suo fondatore
e rappresenta l’orgoglio di una squadra capace di unire un intero Paese”
(John Elkann,15 febbraio 2019, presentazione della SF90)
Hockenheim, 22 luglio 2018, cinquantaduesimo giro del Gran Premio di Germania. Sebastian Vettel è in testa alla corsa seguito da Bottas che ha appena superato l’altra Ferrari di Raikkonen. Hamilton, partito quattordicesimo, è in rimonta ma ancora distante. Sebastian sta imboccando la Sachs-kurve, tornantino a sinistra in prossimità del traguardo. Scrosci di pioggia hanno bagnato il tracciato in alcune sue parti e Vettel sta correndo con le gomme da asciutto. Mancano quindici giri al termine, deve solo controllare la corsa senza fare errori, soprattutto in frenata, vista la scarsa aderenza sulla pista dei suoi pneumatici.
Il pilota non è un ragazzino alle prime armi, ha già vinto quattro titoli mondiali con la Red Bull e nel 2015 passa alla Ferrari per coronare il suo sogno: diventare campione del mondo con il cavallino rampante come il suo idolo Michael Schumacher. Nel 2017 ci era andato vicino, ma la scarsa affidabilità della Rossa nel finale di stagione, unita a qualche suo errore, glielo avevano impedito e il titolo era andato al suo rivale di sempre: Lewis Hamilton e alla sua Mercedes. Nel 2018 le cose sembrano andare meglio, la Ferrari è competitiva, quasi sempre alla pari e a volte anche superiore alla vettura tedesca. Quindici giorni prima, a Silverstone, nel Gran Premio di Gran Bretagna aveva vinto bruciando Hamilton con una grande partenza e superando Bottas nel finale con uno straordinario sorpasso. Una vittoria anche in Germania lo avrebbe portato decisamente avanti nel mondiale piloti rendendo il suo sogno possibile.
Sebastian lo sa: un mondiale vinto con la Ferrari lo proietterebbe nella storia della Formula 1 molto di più dei quattro vinti precedentemente. Come ebbe a dire Niki Lauda: “vincere con la Ferrari vale di più che con qualsiasi altra vettura”.
Tutto questo, però, genera pressione e ansia e Vettel entra male alla Sachs-kurve, in frenata perde il posteriore della sua Ferrari e finisce contro il muro. Gara finita ed errore suo. Hamilton ne approfitta e, nei quindici giri mancanti, completa la sua rimonta andando a vincere la corsa e tornando leader del mondiale con 17 punti di vantaggio.
I giornali del giorno dopo saranno impietosi con pilota tedesco parlando di fragilità nervosa e incapacità a gestire la pressione nei momenti difficili, qualcuno alzerà ulteriormente il tiro parlando di “pilota non da Ferrari”.
Il Gran Premio di Germania segna irrimediabilmente il mondiale di Vettel che, dopo quel gravissimo errore, preso dalla smania di rifarsi, ne commetterà altri fino a consegnare il mondiale di Formula 1 ad Hamilton con quattro gare di anticipo.
Correre con la Rossa è difficile, la Ferrari non è solo un’automobile da corsa, è una leggenda che parte da molto lontano: quella del cavallino rampante.
1692 – La nascita del “Piemonte Reale”
Con un editto in data 23 luglio 1692 il duca Vittorio Amedeo II di Savoia ordina di unire una parte delle Genti d’Arme con il preesistente Reggimento di Cavaglià,fondando una nuova unità di Cavalleria Pesante, il Reggimento di Cavalleria “Piemonte Reale”, il cui motto era “Venustus et audax”.
Lo stemma araldico è diviso in quattro parti e, nel quarto inferiore, campeggia, su sfondo rosso, un puledro d’argento: è il Cavallino Rampante.
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Stemma del Reggimento “Piemonte Reale” |
Da quel momento, il reggimento si distinguerà in tutte le operazioni belliche a venire, a partire dall’assedio di Pinerolo del 1693 seguito da quello di Torino del 1706, attraversando la Guerra di Successione, l’epoca napoleonica e le guerre di indipendenza.
1902 – Il “Cavaliere volante”
Il 24 maggio 1902 si svolge in piazza d’Armi a Torino il Concorso Ippico Internazionale a cui partecipano le più importanti nazioni dell’epoca. Al comando della squadra italiana, un giovane capitano comandante il Genova Cavalleria, ma proveniente dalla scuola di Pinerolo del “Piemonte Reale”: Federico Caprilli detto “il Cavaliere volante”.
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Il capitano Federico Caprilli |
Il salto di Melope al Concorso ippico del 1902 |
Nell’ultima giornata del concorso si svolge la gara di salto che si protrae per tutto il pomeriggio. Alle 18,50 è il turno del capitano Caprilli in sella al baio Melope. E’ l’ideatore del Sistema Naturale di Equitazione, basato sul principio di permettere al cavallo un movimento il più naturale possibile senza condizionamenti da parte del cavaliere:
“Concetto sostanziale è: di sempre assecondare e favorire gli istinti e le attitudini del cavallo, evitando di produrgli durante il lavoro inutili sofferenze”.
Davanti a sè ha un muro di due metri e otto centimetri che, se superato, rappresenterebbe il nuovo primato mondiale di salto ad ostacoli. Nessuno, infatti, ha mai superato il limite dei due metri. Prima di lanciarsi dà un’ultima occhiata alla folla che lo circonda: la nobiltà europea, gli alti comandi della Cavalleria, presidenti e diplomatici delle varie nazioni, tutti con gli puntati su di lui. Uomo e cavallo partono quindi al galoppo e, giunti davanti all’ostacolo, spiccano il volo superandolo in modo perentorio. Una volta convinto di avercela fatta, Caprilli solleva il braccio al cielo per poi atterrare trionfante: sa di essere entrato nella storia insieme al suo Melope, splendido cavallo volante.
1903– Due fratelli in volo
Giovedì 17 dicembre 1903, sul prato di Kitty Hawk due fratelli ingegneri, Wilbur e Orville Wright, cercano di lanciare il loro “Flyer”, velivolo nato da un aliante da loro stessi progettato e al quale viene aggiunto un motore. Avrebbero dovuto collaudarlo già il 13 dello stesso mese ma, essendo domenica ed essendo loro figli di un pastore evangelico, decisero di spostare il tentativo a lunedì 14. Dopo aver tirato in aria una moneta per sorteggio, tocca a Wilbur effettuare il tentativo che, però, ha esito negativo dal momento che il velivolo cade al suolo dopo soli tre secondi dal decollo. L’insuccesso non ferma i fratelli che, anzi, ritengono di non avere dubbi sulla riuscita dell’impresa e la rimandano alla giornata di giovedì.
Questa volta tocca a Orville provare il “Flyer”e il tentativo riesce, decolla e rimane in volo per 12 secondi percorrendo 36 metri per poi atterrare morbidamente. Nel proseguo della giornata i due fratelli si alternarono in nuovi voli, l’ultimo dei quali, compiuto da Wilbur, durò per 59 secondi riuscendo a coprire una distanza di 260 metri.
Nasceva quel giorno l’aeroplano e, con esso, l’aviazione moderna.
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17 dicembre 1903 – Il primo volo del “Flyer” dei fratelli Wright |
1909 – L’allievo del II Reggimento “Piemonte Reale”
Nel 1909 giunge a Roma un giovane sottotenente proveniente da un corso di specializzazione effettuato alla scuola di Pinerolo e assegnato al II Reggimento di Cavalleria “Piemonte Reale”. E’ nato a Lugo, in provincia di Ravenna, e il suo nome è Francesco Baracca.
E’ un eccellente cavaliere che ben presto mette in mostra le sue qualità partecipando evincendo, ad un concorso ippico a Tor di Quinto.
Nel 1912 il colpo di fulmine: durante un’esercitazione aerea all’aeroporto di Roma Centocelle, rimane affascinato dal volo e dagli aeroplani decidendo di iscriversi ad una scuola di pilotaggio in Francia. Dimostra subito attitudine e notevoli capacità acrobatiche, ottenendo in breve tempo il brevetto di pilota, con conseguente ritorno in Italia e assegnazione, nel 1914, alla quinta squadriglia del nuovo Battaglione Aviatori. Allo scoppio del primo conflitto mondiale viene rimandato in Francia per un periodo di addestramento sul nuovo aereo da caccia Nieuport 10 con il quale, nel luglio del 1915, viene assegnato alla seconda Squadriglia da ricognizione e combattimento, entrando ufficialmente in azione il 25 agosto. Nei mesi successivi gli viene assegnato un nuovo modello, il Nieuport 11, con il quale, il 7 aprile 1916 nei pressi di Gorizia, vince il suo primo combattimento aereo. Da quel momento, Baracca comincia a inanellare una vittoria dietro l’altra fino al 25 novembre 1916 quando, dopo aver abbattuto il quinto aereo nemico, gli viene concesso di apporre uno stemma di riconoscimento sul lato sinistro della fusoliera del suo apparecchio.
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Francesco Baracca davanti al suo SPAD S. VII |
A quel tempo l’aviazione è ancora appartenente all’esercito, inquadrata nell’arma della Cavalleria, e Baracca sceglie quindi lo stemma del suo Reggimento di appartenenza: il cavallino rampante del “Piemonte Reale”.
Il cavallino passerà dal Nieuport 11 al nuovo Nieuport-Macchi 17, per finire poi sullo SPAD S. VII – S. XIII, ultimo aereo di Baracca che, dopo trentaquattro vittorie in combattimento, muore sul Montello il 19 giugno 1918 in circostanze mai del tutto chiarite.
1923 – Il primo Circuito del Savio
E’ il 17 giugno 1923 e nei pressi di Ravenna sta per prendere il via la prima edizione del Circuito del Savio, tracciato automobilistico con partenza e arrivo nei pressi della basilica di Sant’Apollinare in Classe.
Nel nutrito gruppo di partecipanti c’è da annoverare anche il concessionario dell’Alfa Romeo per l’Emilia – Romagna, proveniente da Modena. Si chiama Enzo Ferrari e corre, insieme al meccanico Giulio Ramponi, su un’Alfa Romeo RL 3000 cc. col numero 28; da quattro anni partecipa a tutte le competizioni più importanti ma non è mai riuscito a vincere.
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1923 – Enzo Ferrari alla partenza del Circuito del Savio |
Locandina dell’epoca |
La settimana precedente, al Circuito del Mugello, la sua gara era durata un solo giro, essendo stato costretto a ritirarsi per un guasto al carburatore. Vince Brilli-Peri, con Antonio Ascari secondo.
Ferrari ci prova quindi sette giorni dopo a Ravenna. Il lotto dei partecipanti non è eccelso, così come quello delle auto presenti, una grande occasione, quindi, per provare a vincere la sua prima corsa.
Al volante della sua Alfa Romeo, coglie finalmente la sua prima vittoria, guidando in modo impeccabile, staccando di oltre tredici minuti il secondo classificato e segnando anche il giro più veloce.
Come dirà in seguito a commento di quella giornata trionfale, niente poteva essere paragonato alla prima vittoria.
Viene premiato con una coppa e con un assegno di 4000 lire, oltre a ricevere il tributo della folla che lo porta in trionfo. Tra le varie persone che vanno a complimentarsi con lui si presenta anche un nobile del luogo, il Conte Enrico Baracca, padre di Francesco, eroe dell’aria nella Prima Guerra Mondiale.
I due si fermano volentieri a parlare, Ferrari rimane onorato dell’attenzione che gli rivolge il Conte, i ricordi di guerra affiorano inevitabilmente e la conversazione va avanti a lungo. Alla fine, Baracca lo invita a casa sua a Lugo di Romagna, poco distante dal circuito, per presentarlo alla moglie, la Contessa Paolina Biancoli Baracca. Ferrari diverrà frequentatore di casa Baracca e contemporaneamente il Conte cliente della sua concessionaria acquistando un’Alfa Romeo.
Nel 1924 Ferrari rivince il circuito del Savio e questa volta a premiarlo è la Contessa Paolina in persona che coglie l’occasione per invitarlo a casa a ricevere un regalo particolare.
Nell’autunno dello stesso anno, Ferrari fa, quindi, di nuovo visita ai genitori di Francesco che gli consegnano una fotografia in bianco e nero del figlio in posa davanti al suo biplano con ben visibile lo stemma sulla fusoliera: il cavallino rampante del Piemonte Reale.
Sulla fotografia la scritta a mano: “Al signor Cav. Enzo Ferrari i genitori di Francesco Baracca: Paola ed Enrico Baracca”. Nel consegnarla la Contessa si rivolge a Ferrari dicendo: “metta il Cavallino Rampante del mio figliolo sulle sue macchine, le porterà fortuna”.
Enzo, emozionato e commosso, accetta il dono ma non sa ancora bene cosa farsene, le Alfa Romeo con cui corrono i suoi piloti hanno già un loro stemma rappresentato da un quadrifoglio verde su un triangolo bianco, in ricordo di Ugo Sivocci morto a Monza nel 1923, suo grande amico, che per primo lo aveva messo sulla sua vettura. Ci penserà.
1929 – La Scuderia
Il 16 novembre 1929, nella sede del notaio Della Fontana, viene fondata la Scuderia Ferrari, che di fatto si sostituisce all’Alfa Romeo nella gestione del reparto corse,proponendosi come supporto logistico per piloti ufficiali e per dilettanti, i cosiddetti “gentleman driver”, spesso clienti dello stesso Ferrari nella sua concessionaria di Modena.
Le potenti Alfa P2 della Scuderia Ferrari, progettate da Vittorio Jano e portate in pista dai più grandi piloti dell’epoca, sfrecciano sui circuiti di tutta Europa ma sul cofano continuano ad esporre il famoso quadrifoglio verde, così come quelle della squadra ufficiale dell’Alfa Romeo, che comunque continua, anche se in modo limitato, una attività agonistica autonoma.
Nel giugno del 1932 proprio l’Alfa Romeo coglie una brillante vittoria alla 24 ore di Le Mans, ma delega la Scuderia Ferrari a rappresentarla nella successiva 24 ore di Spa-Francorchamps in programma il 9 luglio.
Da un po’ di tempo la casa madre del Portello utilizzava sempre meno la Scuderia per essere rappresentata nelle gare, relegandola a un ruolo di squadra corse per giovani promesse piuttosto che per grandi campioni titolati, i quali tornavano a correre con la squadra ufficiale Alfa Romeo.
Fu forse questo il motivo per cui Ferrari decise, nell’occasione della nuova gara, di mettere il dono della Contessa Baracca sul cofano delle sue auto: il Cavallino Rampante prendeva così il posto del quadrifoglio verde.
Come quello di Baracca, il cavallino era nero, in questo differente da quello grigio del Piemonte Reale, ma, mentre quello dell’aviatore era su campo bianco, Ferrari lo mise sopra ad uno scudetto completamente giallo a rappresentare il colore della città di Modena. Sopra lo scudo, i tre colori della bandiera italiana.
La gara di Spa è un trionfo per la Scuderia Ferrari, con i due equipaggi formati da Brivio-Siena e Taruffi-D’Ippolito ai primi due posti assoluti.
Alla sua prima uscita, il Cavallino aveva già vinto.
1939 – Addio Alfa Romeo
La Scuderia continuò durante gli anni Trenta a correre in tutta Europa. Al volante delle rosse Alfa Romeo si alternarono i maggiori piloti dell’epoca, Giuseppe Campari, Achille Varzi, Rudolf Caracciola e, sopratutto il più grande: Tazio Nuvolari, che nel 1935 coglierà al Gran Premio di Germania, sullo straordinario tracciato del Nürburgring, una incredibile vittoria con la sua Alfa P3, sbaragliando la concorrenza tedesca di Mercedes e Auto Union.
All’alba dell’1° settembre 1939 le truppe tedesche invadono la Polonia. Il 3 settembre, in un clima surreale, si corre il Gran Premio di Belgrado vinto da Nuvolari su Auto Union davanti a Von Brauchitsch su Mercedes. Nello stesso giorno, Inghilterra e Francia dichiarano guerra alla Germania: ha inizio la seconda guerra mondiale.
Il 6 settembre Ferrari riceve una lettera dall’Alfa Romeo con cui gli viene notificato quanto segue:”…le attuali condizioni internazionali ci hanno imposto la cessazione dell’attività sportiva che Voi dirigevate quale nostro consulente. Mentre Vi esprimiamo il nostro rincrescimento che le circostanze ci abbiano impedito di continuare a valerci della Vostra collaborazione siamo lieti che la Vostra liquidazione sia addivenuta in forma perfettamente amichevole e con criteri di correttezza e cordialità reciproche”. Si chiude così, dopo vent’anni, il rapporto collaborativo tra Ferrari e l’Alfa Romeo. Ferrari commenta così l’accaduto: “Io conservo le mie cattive abitudini e torno al mio paese”. Una particolare clausola obbliga inoltre Ferrari a rinunciare per quattro anni a qualsiasi attività agonistica. Da quel momento farà da solo, portandosi dietro l’esperienza accumulata negli anni, un’ambizione e una volontà immutate e un piccolo cavallino rampante come portafortuna.
Poco meno di un mese dopo, il 2 ottobre 1939, Ferrari fonda a Modena l’Auto Avio Costruzioni, ditta individuale ufficialmente finalizzata alla costruzione di parti meccaniche per l’industria aeronautica. In realtà, sta già pensando alla costruzione del suo primo prototipo da corsa al quale non può ovviamente dare il suo nome, men che meno dotarla di un motore Alfa Romeo o di qualsiasi materiale da essaproveniente. Decide quindi di acquistare dalla Fiat due telai di una vettura da tempo in commercio, la 508C. A questi aggiunge due motori da 1100 cc sempre provenienti dalla casa torinese. I tecnici della neonata industria modenese li uniscono insieme creando una unica unità da 8 cilindri e 1500 cc di cilindrata. Nasce la “815”, la sua prima vera automobile di Ferrari, realizzata in due esemplari destinati ad esordire alla Mille Miglia del 1940, iscritti nella classe fino a 1500 cc, evitando così il confronto con le BMW e, soprattutto, le Alfa Romeo di cilindrate superiori.
Non potendo correre con piloti professionisti, ora si trattava di trovare due acquirenti disposti a prendere le vetture e a portarle in gara come gentlemen driver. Primo a proporsi il marchese Lotario Rangoni Machiavelli, amico di Ferrari da vecchia data, il secondo è un giovane poco più che ventenne che si rivolge a Ferrari in qualità di figlio di Antonio Ascari, il grande pilota Alfa Romeo degli anni Venti morto a Monthlèry nel 1925, nonché amico e compagno di squadra di Ferrari. Alberto Ascari entra così nella storia della Ferrari e dell’automobilismo italiano.
Le due 815 escono dalla fabbrica con il colore rosso e il cavallino sul cofano che, però, sparisce al momento di scendere in pista il 28 aprile 1940 alla partenza della Mille Miglia. Probabilmente, più che una diffida dell’Alfa Romeo ad esibire il simbolo della Scuderia Ferrari, si tratta di uno scrupolo dello stesso costruttore modenese, volto ad evitare polemiche e screzi con la casa del Portello. La gara non si dimostra particolarmente esaltante per le due vetture, Ascari si ritira già al secondo giro e Rangoni all’ultimo. Ferrari deve accettare di buon grado i due ritiri, cercando di dare una spiegazione razionale all’accaduto rappresentata dalla realizzazione frettolosa delle autovetture.
In cuor suo è tranquillo, il ghiaccio è rotto e la storia è solo all’inizio. Al momento può anche andare bene così, dopo soli quaranta giorni l’Italia sarebbe entrata in guerra e di corse automobilistiche non se ne sarebbe più parlato. L’Auto Avio Costruzioni cambierà momentaneamente produzione per sopravvivere, passando dalle automobili da corsa alle rettificatrici oleodinamiche per cuscinetti a sfera, molto più utili al nostro esercito.
Il Cavallino Rampante, eroe della Prima Guerra Mondiale, deve farsi da parte.
1947 – La “125”
La produzione meccanica dell’Auto Avio costruzioni prosegue nel dopoguerra. Gli stabilimenti di Modena sono sopravvissuti ai bombardamenti e Ferrari stesso a tutte le vicende della guerra.
Producendo materiale bellico, dopo l’8 settembre la fabbrica era stata requisita dai tedeschi, anche se pare che il materiale prodotto non abbia mai raggiunto la Germania grazie all’intervento delle bande partigiane.
In qualche modo Ferrari riuscì ad aiutare i partigiani che utilizzarono uno dei suoi capannoni per riparare le loro armi. Ad uno di loro imprestò il camioncino dell’azienda che, disponendo del lasciapassare che i tedeschi gli avevano assegnato per poter trasportare le merci, non era sottoposto a controlli ai posti di blocco. Il materiale poteva così raggiungere le montagne e le brigate partigiane. Corse molti rischi che, con ogni probabilità contribuirono a salvargli la vita dopo la guerra.Difatti, suo passato di fornitore dell’esercito lo metteva a rischio nell’Emilia dell’inverno 1944 e, soprattutto, nella primavera del 1945 con i partigiani che avevano il comando e il controllo del territorio, pronti ad uccidere chiunque potesse avere anche la minima ombra di collaborazionismo con il regime fascista.
Nel 1946, salvati sè stesso e la sua fabbrica, può finalmente far ripartire il sogno e ricominciare, mantenendo la produzione meccanica per quel minimo che poteva permettergli di sopravvivere economicamente.
Riprende quindi in mano i vecchi progetti abbandonati frettolosamente allo scoppio della guerra e si mette alla ricerca dei migliori tecnici sopravvissuti alle ostilità, ovvero ancora in vita.
Tra tutti, soprattutto uno con cui aveva lavorato a lungo negli anni Trenta durante il suo periodo all’Alfa Romeo: l’ingegner Gioacchino Colombo.
Ferrari lo assume, commissionandogli lo studio e la realizzazione di un nuovo motore a dodici cilindri, con l’unico obiettivo di costruire una nuova automobile in grado di correre i gran premi.
Colombo inizia il progetto per poi lasciare, richiamato dall’Alfa Romeo, all’ingegner Giuseppe Busso che continuerà l’opera del suo predecessore. Il 24 settembre 1946 il motore 12 cilindri di 1500 cc gira per la prima volta al banco. Inizialmente sviluppa una potenza di 70 cavalli che, dopo successivi sviluppi e modifiche, arriverà a 118.
Mercoledì 12 marzo 1947, nel cortile della fabbrica di Maranello, esce il primo esemplare della vettura. Viene chiamata “125” numero corrispondente alla cilindrata unitaria che, moltiplicata per il numero dei cilindri, portava a 1500 cc complessivi. Ferrari stesso si siede al volante e la collauda personalmente lungo la statale dell’Abetone in direzione di Modena.
La vettura esordisce ufficialmente domenica 11 maggio 1947 al circuito di Piacenza. Furono approntate due 125S affidate a Franco Cortese e Giuseppe Farina. Sul cofano venne apposto uno scudetto rettangolare in ceramica smaltata come marchio di fabbrica. Al suo interno un cavallino rampante nero in campo giallo, in basso non più la S e la F della Scuderia, ma il nome “Ferrari” in nero a rappresentare l’azienda che di lì a poco avrebbe preso il nome. Pochi mesi dopo, il 1°ottobre 1947, l’Auto Avio Costruzioni cessa di esistere lasciando il posto alla “Auto Costruzioni Ferrari”. Da quel giorno in poi, per tutti e in tutto il mondo, semplicemente “Ferrari”.
1950 – Esordio al mondiale di Formula 1
Il 13 maggio 1950, sul circuito di Silverstone, prende il via il Gran Premio di Gran Bretagna e, con esso, il primo campionato mondiale della neonata Formula 1. Il titolo è valido per i piloti che si affronteranno su distanza di sette Gran Premi, dei quali sei in Europa, a cui si aggiunge la 500 Miglia di Indianapolis.
Il regolamento tecnico prevede due tipologie di vetture: quelle con motore aspirato e 4500 cc di massima cilindrata e quelle con motore sovralimentato e cilindrata di 1500 cc.
Grande favorita l’Alfa Romeo, con le veloci Alfette 158 in mano a Giuseppe Farina, Luigi Fagioli e a un pilota argentino particolarmente veloce, ma ancora poco conosciuto: Juan Manuel Fangio.
Al via si presentano anche le Maserati di Gonzales e Chiron oltre alle Talbot, alle Simca Gordini e alla ERA, unica macchina inglese. Effettivamente la superiorità delle macchine del Portello è schiacciante; Farina vince davanti a Fangio e Fagioli.
Ferrari è presente, ma solo come osservatore. Nonostante il lavoro frenetico a Maranello, non è riuscito ad avere le vetture pronte per il primo appuntamento, ma è solo questione di giorni; una settimana dopo, il 21 maggio, tre 125 F1 sono iscritte al Gran Premio di Monaco sul circuito di Montecarlo. Al volante, Alberto Ascari, Luigi Villoresi e Raymond Sommer. Vince Fangio su Alfa Romeo, ma al secondo posto si piazza Alberto Ascari con la Ferrari. Il Cavallino entra nel mondiale di Formula 1. Non lo lascerà più, partecipando, unica casa al mondo, a tutte le edizioni fino ad oggi disputate.
1951 – “Oggi ho ucciso mia madre”
Il mondiale 1950 è un monologo Alfa Romeo che si aggiudica tutti i Gran Premi (ad eccezione della 500 Miglia di Indianapolis alla quale non partecipa) laureando Giuseppe Farina primo campione del mondo di Formula 1.
La 125 F1 sovralimentata paga un notevole tributo di cavalli alle Alfette 158. Ferrari insiste presso i suoi tecnici perché veda al più presto la luce il nuovo modello progettato da Aurelio Lampredi, capo degli ingegneri di Maranello. Si tratta della nuova 375 con motore aspirato di 4500 cc che fa il suo debutto a Monza a settembre. In qualifica Ascari ottiene il secondo tempo interrompendo il dominio dell’Alfa Romeo che aveva sempre piazzato le sue tre vetture in prima fila e in gara.
Il giorno successivo, in gara, Farina prende il comando della corsa per non lasciarlo più, ma la Ferrari di Ascari conferma la sua competitività arrivando ancora seconda, complice il ritiro di Fangio.
Il divario sta per essere colmato, la 375 si dimostra un’ottima vettura che nel 1951 potrebbe veramente competere con le Alfa Romeo.
Il mondiale 1951 inizia a Berna il 27 maggio 1951 dove si corre il Gran Premio di Svizzera. In prova le Alfa Romeo dominano piazzando quattro auto ai primi cinque posti. La Ferrari riesce comunque ad andare in prima fila con Taruffi che realizza il secondo tempo. Fangio vince la corsa, ma la Ferrari combatte per tutta la gara con l’altra Alfa di Farina e, alla fine, riesce a mantenere il secondo posto. Ferrari è comunque contento, la macchina c’è; bisogna solo svilupparla.
Al Gran Premio del Belgio a giugno, Ascari e Villoresi giungono secondo e terzo dietro a Farina, a più di tre minuti di distacco e favoriti dal ritiro di Fangio. Le Alfa Romeo sono ancora lontane.
Il 1° luglio si corre a Reims il gran Premio di Francia e in qualifica Fangio e Farina prendono ancora i primi due posti, ma Ascari e Villoresi sono vicini a pochi secondi tanto che la Gazzetta dello Sport titola così l’articolo per la gara del giorno dopo:”Alfa e Ferrari ai ferri corti”. In gara vince ancora Fangio, ma al secondo e terzo posto arrivano le Ferrari. I tempi sono maturi.
Due settimane dopo, il 14 luglio, si corre a Silverstone la seconda edizione del Gran Premio di Gran Bretagna. La Ferrari si presenta con un nuovo pilota argentino, dalla mole gigantesca, consigliato da Fangio stesso: Josè Froilan Gonzales. Corre per il Cavallino per la prima volta e, senza alcun timore reverenziale, il sabato mattina fa registrare il miglior tempo in qualifica davanti a tutti ottenendo la prima pole positionper la Ferrari, interrompendo così il dominio assoluto Alfa Romeo dall’inizio del campionato del mondo.
Sabato pomeriggio la prima fila è composta dalle due Alfa Romeo di Fangio e Farina e dalle due Ferrari di Gonzales e Ascari. Al secondo giro Gonzales è già in testa ma il suo connazionale Fangio sta recuperando e, al decimo giro. lo passa con decisione. Per Fangio e l’Alfa Romeo sembra svolgersi il solito copione di tutte le precedenti gare; il propulsore sovralimentato Alfa rimane più potente dell’aspirato Ferrari il quale, però, ha una migliore erogazione di potenza all’uscita delle curve, ragione per cui Gonzales rimane ben vicino a Fangio. L’Alfa non riesce quindi a scappare via come al solito. A metà gara il colpo di scena: proprio in uno dei punti più complessi del tracciato inglese, la curva Becketts, Gonzales tenta l’attacco a Fangio superandolo e riprendendosi il comando. L’allievo supera il suo maestro e, sfruttando anche il minor consumo del suo motore Ferrari, rimane in testa fino al traguardo vincendo il Gran Premio di Gran Bretagna.
L’evento è tre volte storico: per la prima volta dall’inizio del Campionato del mondo l’Alfa Romeo perde una gara, per la prima volta Josè Froilan Gonzales si aggiudica un Gran Premio ma, soprattutto, la Ferrari vince la sua prima gara mondiale battendo l’Alfa Romeo.
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1951 – Gonzales vince il Gran Premio di Gran Bretagna |
Ferrari non partecipa quasi mai alle corse e viene raggiunto telefonicamentedall’Inghilterra. Come ebbe a dire anni dopo nel suo libro Le mie gioie terribili,pianse di felicità alla notizia. Aveva ottenuto la prima vittoria di una sua macchina ma, soprattutto, aveva battuto la sua casa madre che tredici anni prima, molto sbrigativamente, lo aveva fatto fuori: “Oggi ho ucciso mio madre” fu il suo pensiero.
Con lui aveva vinto anche il suo simbolo portafortuna: il Cavallino Rampante donodella Contessa Baracca entrava quel giorno nella storia dell’automobilismo mondiale.
La 375 F1 di Lampredi si dimostra vettura eccellente e con Ascari vince anche in Germania sul circuito del Nürburgring, dove sedici anni prima aveva trionfato Nuvolari, e a Monza, rimanendo addirittura in lizza per la vittoria finale al mondiale, vittoria che svanirà nell’ultima corsa in Spagna a favore di Juan Manuel Fangio e dell’Alfa Romeo. L’anno successivo, però, la nuova creatura di Lampredi, la 500 F2, in mano ad Alberto Ascari non avrà concorrenti, vincendo il suo primo campionato mondiale di Formula, bissando il successo nel 1953.
La Ferrari entra nella storia, negli anni successivi arriveranno altri titoli mondiali: Juan Manuel Fangio, Mike Hawthorn, Phil Hill, John Surtees, Niki Lauda, Jody Scheckter riporteranno la Rossa sul tetto del mondo fino all’era di Michael Schumacher con i suoi cinque mondiali consecutivi ai quali si aggiunge Kimi Raikkonen con l’ultimo titolo conquistato nel 2007. Piloti del calibro di Clay Regazzoni, Alain Prost e Fernando Alonso lo sfioreranno perdendolo all’ultima gara. Oltre alla Formula 1 vanno aggiunte tutte le vittorie ottenute nella categoria Sport-Prototipi e nelle gare di durata, dalla 24 ore di Le Mans a Daytona, Monza, Spa fino alla 1000 km. del Nürburgring.
Tutto questo, unito alla straordinaria produzione industriale di modelli unici nel loro genere, ha contribuito a creare il mito del cavallino. La Ferrari rimane l’unica squadra ad avere partecipato a tutti i campionati mondiali a partire dal 1950 costruendo completamente la vettura in tutte le sue parti, telaio e motore. Il suo marchio, conosciuto in tutto il mondo, è simbolo di eccellenza nel campo motoristico e del design.
La leggenda del cavallino rampante non è nient’altro che la storia di un uomo straordinario che un giorno, durante un’intervista disse: “io sono uno che ha sognato di essere Enzo Ferrari”.
Da pochi giorni è stata presentata a Maranello la nuova F1, la SF90, dove novanta rappresenta l’anniversario della nascita della Scuderia nel lontano 1929. Sebastian Vettel ha di nuovo un’occasione per coronare il suo sogno, ma sa bene che non potrà più sbagliare. Forse, dall’alto, Enzo Ferrari lo guarderà, ricordandogli un’altra sua frase famosa: “il secondo è il primo dei perdenti”.
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2019 – La nuova Ferrari SF90 |
ARTICOLO DEL PROF: ROMANO FRANCHINI DEL LICEO ARTISTICO
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