Il 23 giugno 1912 nasceva Alan Turing, matematico, crittanalista, padre della moderna programmazione, del computer e dell’intelligenza artificiale, logico, appassionato di meccanica quantistica e di botanica. Troppe, troppe cose è stato ed è Alan Turing, a distanza di ormai 100 anni dalla sua nascita. Ma siamo su GAY.tv e se oggi lo stiamo ricordando è perché Alan Turing è quello che oggi possiamo definire in maniera un po’ pop un’icona gay.

Alan Turing era omosessuale e morì suicida nel 1954, a 42 anni, mangiando una mela avvelenata col cianuro. Lui che aveva amato il teatro e la favola di Biancaneve scelse questo modo oseremmo dire quasi romantico per togliersi la vita. Pare che la mela morsicata, celebre logo Apple, sia ispirato proprio a questo suo gesto estremo. Lo fece nel 1954, un anno non troppo lontano da oggi. Un anno in cui probabilmente gran parte dei nostri genitori sono nati o erano quantomeno bambini. Un anno che non ci sembra poi così tanto un altro secolo.

Alan Turing, in quell’anno non così lontano, si tolse la vita perché nel 1952 fu arrestato per omosessualità e fu praticamente costretto a dichiarare alla polizia il suo orientamento sessuale che, nella liberale Inghilterra era ancora reato. Nel 1952. Turing disse semplicemente: “non scorgevo niente di male nelle mie azioni”. Il patteggiamento? Una terapia di ormoni, ossia la castrazione chimica. Alan Turing, che aveva decrittato i codici nazisti e posto le basi per l’intelligenza artificiale, in breve tempo divenne impotente e vide il suo seno crescere. Non ce la fece.

Il primo ministro Gordon Brown ha chiesto pubblicamente scusa per quello che il governo britannico aveva fatto ad Alan Turing solo nel 2009, tra l’altro solo in seguito ad una petizione su internet. Queste furono le sue parole:

Per quelli fra noi che sono nati dopo il 1945, in un’Europa unita, democratica e in pace, è difficile immaginare che il nostro continente fu un tempo teatro del momento più buio dell’umanità. È difficile credere che in tempi ancora alla portata della memoria di chi è ancora vivo oggi, la gente potesse essere così consumata dall’odio – dall’antisemitismo, dall’omofobia, dalla xenofobia e da altri pregiudizi assassini – da far sì che le camere a gas e i crematori diventassero parte del paesaggio europeo tanto quanto le gallerie d’arte e le università e le sale da concerto che avevano contraddistinto la civiltà europea per secoli. (…) Sono orgoglioso che per lo sforzo di scienziati, storici e attivisti LGBT abbiamo la possibilità di celebrare un valoroso combattente britannico contro la dittatura: Alan Turing. Era un brillante matematico, famoso per aver contribuito a decifrare il codice nazista “Enigma”. Anche grazie al suo contributo fu cambiato il corso della guerra. Nel 1952 Turing aveva commesso una colpa inconcepibile all’epoca, essere gay. Fu condannato alla castrazione chimica con iniezioni di ormoni femminili. Si uccise due anni dopo. A nome del governo britannico, sono orgoglioso di dire: “Sono molto dispiaciuto. Avresti meritato di più”.

Alan Mathison Turing muore a Wilmslow, Cheshire, nel ’54, a 42 anni, suicida: mangiando una mela avvelenata. Dichiarato padre dell’intelligenza artificiale, era tuttavia scapolo. Era omosessuale, notizia della quale un mondo decente non avrebbe dovuto sentire il bisogno. E ora torniamo all’inizio. Il giovane Turing rispondeva abbastanza all’idea che ci si fa di un genio matematico, unghie sporche, distratta giacca del pigiama al posto della camicia, partite a tennis giocate con indosso il solo impermeabile.

Alle medie era l’ultimo della classe. Da piccolo guardava crescere le margherite. (Del resto è quello che faccio anch’io ora, tranne le margherite). Per altri aspetti era meno conforme: correva la maratona e mancò di poco la partecipazione alle olimpiadi.
Al primo esame di Cambridge fu bocciato, perché gli esaminatori non erano all’altezza delle sue dimostrazioni. Si applicò e fu ammesso al King’s college l’anno dopo. Lì imparò di tutto e si appassionò al teatro, specialmente alla commedia di Biancaneve e i sette nani, di cui cantava il ritornello: «Immergi la mela nell’infuso, fa’ che vi si insinui la Morte addormentata». Scopriva una quantità di teoremi, compresi alcuni già scoperti, di cui non aveva idea, perché non studiava. Ma anche questo è tipico di ogni grande matematico. Nel 1936 però ne risolse uno che era il maggior rompicapo logico della matematica, e lo fece inventando una macchina formidabile quanto elementare («Un computer fatto di un calamaio e un rotolo di carta igienica» si disse). Il bello era che la macchina non la costruì, si limitò a immaginarla e a farla funzionare nella sua testa. Andò in America, a Princeton, lavorò col prodigioso von Neumann, non fu mai contento e nel 1938 tornò in Inghilterra.
Aveva orrore del nazismo. Si mise a studiare i codici cifrati e si presentò ai servizi segreti con un suo accrocchio mirabolante. Grazie al quale, dopo che nel 1940 un esemplare della macchina tedesca Enigma cadde in mano inglese, si sviluppò un gigantesco calcolatore che nel 1943 venne a capo del codice nazista: svolta decisiva per la guerra nell’Atlantico e lo sbarco in Normandia. Turing, benché insignito di un’alta onorificenza, fu vincolato per sempre al segreto sulla sua impresa. Dopo la guerra pensò e inventò una quantità di altre cose ed ebbe il suo primo rapporto sessuale, a 37 anni. La sua versatilità lo spinse a occuparsi anche di neurofisiologia e psicologia, e a incrociare una gamma di competenze per immaginare, al di là della potenza meccanica di calcolo, vere e proprie macchine pensanti, anticipando i risultati dei nostri anni, e irridendo il pregiudizio dei contemporanei spaventati dalla concorrenza dell’intelligenza artificiale.
Ma avvicinandoci alla fine dell’articolo, dobbiamo avvicinarci alla fine della storia. Il cui antefatto è in un episodio di microcriminalità del marzo ’52. Due ladruncoli entrano in casa di Turing e rubacchiano degli spiccioli. Turing allega alla denuncia il sospetto nei confronti di un ragazzo che ha conosciuto da poco per strada. Emersa la ragione omosessuale dell’incontro, viene arrestato lui stesso assieme al ragazzo, per «atti osceni gravi». Al processo i suoi meriti di scienziato non gli risparmiano la condanna a un anno. Quanto al suo ruolo fondamentale nel controspionaggio di guerra, resta segreto. Gli viene offerta una scelta, che a riguardarla aggrava una vicenda già mostruosa. Può evitare la galera sottoponendosi per un anno a una terapia di ormoni estrogeni che «curi l’omosessualità», rendendolo impotente e procurando sconvolgenti effetti collaterali («Mi sta crescendo il seno»). Ciò non gli impedisce di continuare a studiare con risultati geniali nei vecchi campi e in nuovi: gli impedisce di vivere. Braccato dai servizi, ossessionati dalla preoccupazione che cedesse informazioni segrete, e pronti a perseguitare chiunque gli divenisse amico, il 7 giugno ’54 Turing immerse una mela nel cianuro e la morse.



 

 

“THE IMITATION GAME”

Manchester, primi anni ’50. Alan Turing, brillante matematico ed esperto di crittografia, viene interrogato dall’agente di polizia che lo ha arrestato per atti osceni. Turing inizia a raccontare la sua storia partendo dall’episodio di maggiore rilevanza pubblica: il periodo, durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui fu affidato a lui e ad un piccolo gruppo di cervelloni, fra cui un campione di scacchi e un’esperta di enigmistica, il compito di decrittare il codice Enigma, ideato dai Nazisti per comunicare le loro operazioni militari in forma segreta. È il primo di una serie di flashback che scandaglieranno la vita dello scienziato morto suicida a 41 anni e considerato oggi uno dei padri dell’informatica in quanto ideatore di una macchina progenitrice del computer.
The Imitation Game rivela le sue intenzioni fin dal titolo: perché è un gioco di sotterfugi e contraffazioni che riguarda non solo il codice nazista, ma anche la stessa attività del gruppo di esperti riuniti per decifrarlo, costretti ad operare sotto copertura. Più profondamente, il “gioco imitativo” caratterizza la vita stessa di alcuni di quegli scienziati, Turing in testa, obbligato a nascondere la propria diversità al mondo, e in particolare a quella società inglese che sforna eccentrici e poi li confina ai margini del proprio rigido e ottuso conformismo.
Turing, una sorta di idiot savant con un prodigioso talento per i numeri e una parallela inettitudine per la convivenza sociale, è il martire perfetto, in questo schema claustrofobico: infatti immolerà il suo genio per la salvezza di tutti, costruendo un macchinario di nome Christopher (cioè “colui che porta Cristo”), e cadendo vittima della ristrettezza di vedute di chi non possedeva neanche un grammo della sua capacità visionaria. Una mente prodigiosa costretta a vivere “in codice”, e incapace di decifrare i comportamenti altrui, né di tradurre i propri in comunicazione umana.
The Imitation Game è un film “imitativo” nel senso migliore del termine perché tiene visibilmente conto della lezione di molto cinema recente, e crea un racconto che pare la quintessenza della messinscena televisiva britannica alla Masterpiece Theatre partendo però da una prospettiva “altra”. Il regista infatti è il norvegese Morten Tyldum, che si accosta al materiale con totale rispetto dei codici di comunicazione inglesi per raccontarne le contraddizioni e i limiti deumanizzanti. In questo senso la sua operazione non è dissimile da quella realizzata da un altro regista scandinavo, Tomas Alfredson, con il suo La talpa: non è un caso che alcuni attori (Benedict Cumberbatch, che ha il ruolo di Turing, e Mark Strong) e soprattutto la scenografa Maria Djurkovic, abbiano partecipato a entrambi i film. Non è un caso neppure che parte del team creativo dietro The Imitation Game sia europeo ma non inglese: oltre al regista e alla Djurkovic, che è anglo-cecoslovacca, ci sono il direttore della fotografia spagnolo Oscar Faura e il compositore francese Alexandre Desplat. La loro “Inghilterra ai tempi della guerra” è borderline disneyana (si pensi a Pomi d’ottone e manici di scopa) ma è proprio questa rappresentazione iconica a rendere il contrasto con la diversità non omologabile di Turing così stridente. Quell’Inghilterra è la metafora dell’understatement inteso come volontà caparbia di annullare qualsiasi forma di disobbedienza alla “normalità”. È l’Inghilterra del rispetto cieco delle tradizioni e delle gerarchie, quella dei burocrati e dei segreti di famiglia conservati in naftlina. È infine l’Inghilterra che si appella al genio di Turing per salvarsi la pelle, ma è pronta a gettare il suo salvatore in pasto alla buoncostume.


The Imitation Game tiene conto di svariati esempi cinematografici recenti, da A Beautiful Mind a The Social Network – la struttura narrativa a flashback e forward di Aaron Sorkin è chiaramente un modello per lo sceneggiatore, Graham Moore – nel ritratto di un protagonista il cui genio viaggia di pari passo con la sua asocialità ai limiti dell’autismo, ma anche del background recitativo di Benedict Cumberbatch, che porta nella sua interpretazione di Turing l’eredità del Julian Assange di Il quinto potere e dello Sherlock Holmes televisivo, creando una continuità ideale fra l’eccentricità irriducibile di ieri e di oggi.
Come anche ne La teoria del tutto, in The Imitation Game la confezione ipertradizionale e priva di guizzi autoriali non fa altro che rafforzare l’impatto della recitazione “totale” del protagonista: con la differenza che Cumberbatch nei panni di Turing è assai più pirotecnico di Eddie Redmayne in quelli di Stephen Hawking. L’intento della produzione, orchestrata da quel mago della corsa agli Oscar che è Harvey Weinstein, è chiaramente quello di assicurare una candidatura al suo attore purosangue. L’operazione, pur nella sua evidente pianificazione a tavolino, riesce comunque: perché Cumberbatch è una space oddity in grado di comunicare infiniti livelli di lettura; perché l’Inghilterra vista dagli outsider ha un impatto drammaturgico efficace; e perché all’interno di questa messinscena canonica e fortemente controllata l’ingiustizia del martirio di Turing risalta con ancora più incomprensibile nella sua crudele incongruenza.