Allo scoppio delle ostilità, il 24 maggio 1915, le flotte italiana e austro-ungarica si equivalevano. Ciò spinse entrambi gli alti comandi a non cercare lo scontro diretto: da una parte gli Italiani tentavano di chiudere l’Adriatico al passaggio di navi austriache o alleate per porre l’embargo, dall’altra gli Austriaci eludevano il contatto al riparo nei loro porti per poi lanciare attacchi e bombardamenti sulle coste adriatiche o provare a forzare il blocco.

L’Italia si propose di trasformare l’Adriatico in un vero e proprio mare interno, con speciali Treni Armati a pattugliarne le coste, uno sbarramento di campi minati e pescherecci dotati di reti d’acciaio da Otranto alla costa dalmata per bloccare il passaggio degli U-Boat(tentativo non particolarmente riuscito) e unità minori e sommergibili per controllare le basi navali nemiche. L’Austria-Ungheria godeva del vantaggio di una costa frastagliata, ricca di isole e insenature, adatta alla difesa delle basi da cui le sue navi lanciavano incursioni contro la sponda antistante del mare.

Le azioni delle unità maggiori della Marina, supportate dalle omologhe francesi e britanniche, si concentrarono dunque sul contrasto di tali attacchi, ove fosse possibile intercettarli, e sul supporto alle truppe di terra. Artiglierie di Marina a terra o su pontoni appoggiarono la 3ª Armata del duca d’Aosta in Friuli-Venezia-Giulia, e vascelli italiani furono mandati a sostenere l’offensiva sul fronte di Salonicco. Importante fu anche il ruolo della Marina nel salvataggio di ben 260.000 soldati serbi in rotta di fronte alle forze degli Imperi Centrali. A seguito della sconfitta di Caporetto reparti di marinai furono dislocati a Venezia per difendere la città, inquadrati in un reggimento che andrà poi a costituire nel dopoguerra il Reggimento Marina San Marco, in cui sono ancora oggi inquadrati i Fucilieri di Marina. Fra le azioni austriache degne di nota vi è l’incursione contro la barriera di Otranto condotta il 15 maggio 1917 da tre incrociatori e due cacciatorpediniere al comando del capitano ungherese Miklos Horthy, futuro dittatore dell’Ungheria; prima che una squadra britannica mettesse in fuga il nemico, andarono perduti 14 pescherecci della barriera, una portarifornimenti e un cacciatorpediniere italiani.

Lo sviluppo dei M.A.S. e di altri mezzi d’assalto come la mignattapermise alla flotta di passare all’offensiva contro le basi navali austro-ungariche nell’Alto Adriatico. Trieste fu duramente colpita il 9 dicembre 1917, con l’affondamento della corazzata Wien ad opera di due M.A.S. guidati dal comandante Luigi Rizzo, da quel momento destinato a crescente fama. Seguirono il 10 febbraio 1918 quattro piroscafi, colati a picco nel vallone di Buccari dopo l’attacco di tre M.A.S. con a bordo Rizzo, Gabriele d’Annunzio e Costanzo Ciano. La più grande vittoria dei M.A.S. fu però l’impresa di Premuda, in cui il comandante Rizzo intercettò il 10 giugno 1918 con due unità una massiccia squadra austriaca diretta a Otranto, affondandone la corazzata Szent Istvan (Santo Stefano). Pochi giorni prima dell’armistizio, l’ultima grande vittoria della Marina Italiana fu conseguita il primo novembre 1918 da una mignatta nel porto di Pola, quando il maggiore Raffaele Rossetti e il tenente medico Raffaele Paolucci si introdussero grazie al loro mezzo d’assalto nel porto e vi minarono la corazzata Viribus Unitis affondandola. Nell’Adriatico come nel Mare del Nord la guerra non vide decisivi scontri tra flotte principali: decisivi furono, a livello tattico, naviglio minore e sommergibili, mentre a livello strategico il contributo più importante dato dalle flotte alleate alla vittoria fu l’embargo impo-sto agli austriaci. 

Eric Repetto – 5A