La Prima Guerra Mondiale fu il conflitto in cui vennero sperimentate moltissime tecnologie, all’epoca quasi sconosciute, e fu mezzo di diffusione di queste, inprimis degli aerei.

Aerei

Gli albori dei mezzi volanti “più pesanti dell’aria” si trovano già nelle idee di Swedenborg, un filosofo svedese del XVIII secolo, ma si dovrà attendere fino al 1903 con il primo volo di un esemplare creato dagli americani Wilbur e Orville Wright. 

Nella foto il “Flyer” dei fratelli Wright durante un decollo di prova.
Il telaio di legno e le ali di tela lo fanno sembrare più simile a un aliante piuttosto che a un aereo.
In Italia il primo a studiare tali apparecchiature fu nel 1908 Giovanni Battista Caproni, un ingegnere trentino, i cui velivoli erano siglati Ca. seguito da un numero.
Nel gennaio del 1915, in preparazione dell’entrata nella Grande Guerra, venne emanato un Regio decreto che istituì il “Corpo Aeronautico Militare”, articolato su Comando Aviatori, Comando Dirigibilisti, quattro battaglioni, lo Stabilimento costruzioni aeronautiche, la Direzione Generale e l’Istituto Centrale Aeronautico, dipendente dal Ministero della Guerra.
Il Corpo Aeronautico disponeva inizialmente di monoplani Nieuport e Bleriot e biplani Farman MF1912 (Fig.1,2 e 3), tutti importati dalla Francia.

    

Solo dopo l’entrata in guerra dell’Italia il Regio Esercito diede il via alla produzione di un biplano trimotore da bombardamento, il Ca.31 (Fig.4), che rese, assieme agli esemplari delle diverse serie (Ca.33, Ca.36 e Ca.44), i biplani Caproni i più utilizzati dagli Alleati,

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Il Ca.31 era sostanzialmente una versione semplificata del Ca. 30, in cui le eliche traenti erano azionate direttamente dal motore, installato sull’ala, sull’innesto della trave di coda. Tale scelta consentì un risparmio di costi, peso e tempo nella realizzazione dell’aereo. Il piano di coda era monoplano, sopra lo stabilizzatore erano installate le tre derive verticali mobili.

Nel 1916, invece, i capitani Umberto Savoia e Rodolfo Verduzio, per ridurre la dipendenza italiana dai velivoli stranieri, iniziarono a progettare un nuovo aereo in collaborazione con la ditta genovese Ansaldo e assieme all’ingegnere Celestino Rosatelli. Il risultato di questo progetto fu chiamato SVA (acronimo di Savoia, Verduzio e Ansaldo) e il primo prototipo (Fig.5), collaudato nel marzo del 1917, raggiunse una velocità di 223 km/h; dallo stesso anno la Ansaldo ne produsse circa duemila esemplari. I modelli SVA, però, non ebbero successo come caccia bombardieri, ma vennero ritenuti i migliori velivoli da ricognizione per quell’epoca.
Resta celebre l’impiego di questi velivoli da parte dell’Ottantasettesima Squadriglia, detta Serenissima, nell’impresa del capitano Gabriele D’Annunzio di sorvolare Vienna lanciando manifestini tricolori inneggianti alla rivolta.

Un altro esemplare utilizzato soprattutto dall’esercito italiano fu l’Hanriot HD.1 (Fig.6) prodotto dalla Aermacchi.
L’aereo era costituito in gran parte di legno (con l’eccezione dell’impennaggio di coda in tubi d’acciaio) ed era rivestito in tela e duralluminio, utilizzato per il tronco anteriore della fusoliera. Il motore, un Le Rhone rotativo con 9 cilindri, non era tra i più evoluti e così l’Aviation Militaire gli preferì gli SPAD S.VII.

Dirigibili
N.1, così fu chiamato il primo dirigibile italiano, ideato e realizzato dai capitani Gaetano Arturo Crocco e Ottavio Ricaldoni, che lo inaugurarono con lo storico volo da Bracciano al Quirinale in 32 minuti.

Aeronavi come questa vedono il loro primo impiego bellico durante la Guerra in Libia e otterranno nel 1915 una sezione dedicata a loro nel Corpo Aeronautico Militare Italiano.
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale la flotta italiana, con dodici dirigibili, era la terza dopo quelle di Germania e Francia, ma i generali del Regio Esercito mostrarono molte perplessità di fronte a tali apparecchiature.
Nei primi anni del conflitto le aeronavi furono utilizzate per la ricognizione e il bombardamento, ma i modelli disponibili erano troppo sensibili alle condizioni atmosferiche e, in battaglia, fungevano
solo da supporto delle truppe a terra, riuscendo raramente a condurre un’offensiva contro il campo avversario.
Dal 1917 l’azione dei dirigibili avveniva nelle notti senza luna, per integrare quella delle squadriglie di caccia, attive solo di giorno, e nel 1918, grazie a perfezionamenti tecnici, fu incrementato notevolmente il numero delle missioni di bombardamento portate a termine.
A causa della sua dipendenza dalle condizioni atmosferiche il dirigibile conobbe alla fine del primo conflitto mondiale un continuo declino, rafforzato dalla evidente superiorità degli aeroplani.
Tra le persone legate alle aeronavi spicca la figura di Enrico Forlani, ingegnere milanese, che produsse i principali dirigibili italiani e che contribuì a perfezionare i modelli già esistenti.
Aerostati
Tutte le fazioni in lotta nella Grande Guerra, una volta raggiunto lo stallo della guerra di trincea, fecero abbondante uso dei palloni-aerostati da osservazione:infatti, era necessario avere un mezzo con cui spiare i movimenti dei nemici e che fosse anche in grado di intercettare le squadriglie di caccia avversari.
Tra gli aerostati a disposizione dell’esercito italiano il più diffuso era senz’altro il Pallone-Drago o Drakken (Fig.8), dalla peculiare forma allungata, simile a un salsicciotto, con una manica a vento cieca applicata nella parte posteriore.

Per via della sua struttura caratteristica il Drago poteva attutire l’effetto dei venti e restare un saldo punto di osservazione, mentre la manica a vento eliminava l’inconveniente di un moto rotativo. Gli osservatori restavano appesi in una navicella di vimini con un equilibrato sistema di funi. L’equipaggio era scelto in base alla prestanza fisica; erano, infatti, indispensabili nervi saldi e muscoli forti per controllare le bizzarie del pallone. Per il trasporto del Drago veniva adottato uno speciale autocarro, attrezzato con dispositivi per la manovra del pallone.
Il difetto principale degli aerostati era la loro elevata visibilità ed essi risultavano spesso una facile preda dell’artiglieria nemica, ma molti modelli vennero in seguito potenziati (su alcuni vennero addirittura montate delle “ragnatele” di cavi d’acciaio, atte a imprigionare e distruggere i caccia nemici) per realizzare l’esigenza di “poter vedere di più per poter vincere”.

Le Grandi Personalità
Il Regno d’Italia entrò in guerra disponendo di velivoli inefficaci e inadeguati, ma che vennero costantemente migliorati grazie all’azione di esperti progettisti, come il già citato Giovanni Battista Caproni, i cui caccia furono ritenuti i migliori esistenti.
Nessun perfezionamento avrebbe, però, portato a grandi vittorie senza la presenza dei primi abili piloti, i cosiddetti “Assi dell’aviazione”. Tra loro ricordiamo Francesco Baracca (Fig.9), medaglia d’oro al valore militare, che abbatè ben 34 aerei nemici, Luigi Gori, Massimo Pagliano, Fulco Ruffo di Calabria e i componenti della Squadriglia Serenissima, tra cui il tenente Natale Palli e Girolamo “Gino” Allegri, che assieme a Gabriele D’Annunzio compirono lo storico volo su Vienna il 9 agosto 1918.
Altri celebri “Assi” furono il tedesco Manfred von Richtofen (Fig.10), soprannominato il “Barone Rosso”,

suo fratello Lothar, l’inglese Albert Ball, il francese Raoul Lufbery e l’austro-ungarico Odwin Brumowsky.
Infine, è opportuno ricordare il primo che intuì l’importanza degli aerei in guerra, con la pubblicazione del libro Il Dominio dell’Aria, Giulio Douhet, che fondò il primo Museo dell’Aeronautica nel 1913 e che diede vita all’Aeronautica Militare Italiana.