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Il popolo basco vive sul territorio di Euskal Herria da almeno 18.000 anni. Il primi avversari che dovettero combattere furono i celti, 2.500 anni avanti Cristo. I romani si installarono sul loro territorio per quasi quattro secoli. Da allora, in molti hanno cercato di assoggettare il popolo basco senza mai riuscire a integrarlo completamente.
I Paesi Baschi sono un’entità culturale e geografica ben definita territorialmente: una parte di questo territorio si trova in Francia, a nord dei Pirenei, e l’altra in Spagna, a sud dei Pirenei. Le province orientali sono quelle francesi del Labourd (Lapurdi, in basco), della Bassa Navarra (Beche Nafarroa, in basco), e di Soule (Zuberoa, in basco); esse sono parte del più ampio Dipartimento francese dei Pirenei Atlantici. Per i baschi queste province sono chiamate Ipar Euskal Herria o più brevemente Iparralde. Le province basche spagnole comprendono Biscaglia (Bizkaia, in basco), Guipuzcoa (Guipuzkoa, in basco) e Araba (Alava, in basco); queste costituiscono in Spagna la Comunità Autonoma Basca (Cav). I baschi chiamano queste province Hego Euskal Herria o più brevemente Hegoalde. I nazionalisti baschi considerano, inoltre, la Navarra (Nafarroa, in basco) parte integrante dei Paesi Baschi, rivendicando come loro capitale politica Pamplona (Iruña, in basco).
In spagnolo la regione basca è denominata “País Vasco”, che tradotto letteralmente in italiano è Paese Basco, anche se nella nostra lingua preferiamo utilizzare il plurale, ovvero “Paesi Baschi”. I baschi preferiscono utilizzare due differenti espressioni per designare la loro terra: Euskal Herria, che etimologicamente vuol dire “popolo della lingua basca”, ed Euskadi, un neologismo con un significato politico coniato nel 1900 da quello che è ritenuto il padre del nazionalismo basco e fondatore del “Partito Nazionalista Basco” (Pnv), Sabino de Arana Goiri (1865-1903). Euskadi, che inizialmente si scriveva Euzkadi, è composta dalla radice “euzko” (basco) e dal suffisso “di” (insieme), quindi il termine indica l’unità politica delle sette province basche.
La Comunità Autonoma Basca (Cav), per intenderci la regione basca che si trova in Spagna, ha come capitale Vitoria (Gasteiz, in basco), che è anche il capoluogo della provincia Alava. Altri capoluoghi sono San Sebastian (Donosti, in basco), per la regione Guipuzcoa, e Bilbao (Bilbo, in basco), per la regione Vizcaya.
La lingua parlata dai baschi è l’euskera, che è simbolo fondamentale d’identità di questo popolo. Essa è ritenuta l’unica lingua che preesisteva agli idiomi indo-europei (latine, slave, germaniche, celtiche, ma anche greco e albanese). L’euskera, quindi, è la più antica lingua parlata in Europa, sopravvissuta all’arrivo degli indoeuropei circa quattromila anni fa. Tra gli usi e costumi tradizionali, vi è il tipico copricapo portato inclinato sull’orecchio, che ha preso appunto il nome di “basco”. I baschi hanno anche un inno, Guernikako arbola (l’Albero di Guernika), scritto dal poeta errante José Maria Iparraguirre.
Sottoposti a diversi domini, tra cui quello romano e quello spagnolo, i baschi non si sono mai assimilati e hanno conservato una forte specificità culturale e linguistica, anche grazie all’autonomia di cui hanno goduto fino al XIX secolo. Tra il V e il VII secolo i baschi si opposero tenacemente alle invasioni germaniche e arabe, riuscendo a conservare il controllo del loro territorio. Una parte di questa popolazione emigrò e, oltrepassando i Pirenei, si stabilì nella Francia sud-orientale, dove diede vita a una comunità basca autonoma.
Dal VII secolo i baschi ricaddero sotto altre autorità statali, pur continuando a usufruire di una notevole autonomia e di cospicui privilegi fiscali, i cosiddetti fueros,ossia statuti concessi dai re agli abitanti di un villaggio, di una città o di una comunità particolare stanziata in un preciso territorio, che regolavano la vita economica, giuridica, amministrativa, sociale e fiscale.
Il “sistema forale” significava l’accettazione di un signore, politicamente potente, al quale rendere una forma di vassallaggio attraverso tributi e donazioni volontarie, ottenendo così protezione militare. I sovrani dovevano giurare di rispettare i fueros per essere ammessi come “signori” con potere politico sui cittadini baschi.
Più tardi, il padre del nazionalismo basco, Sabino de Arana, intese i fueros come una legislazione sovrana elaborata durante i secoli dagli abitanti del territorio basco, senza ingerenze esterne né concessioni da parte di altri poteri. Con Arana, che denominò i fueros come Lagi Zarrak – ossia “Vecchie leggi” – il “fuerismo” non è più interpretato in chiave regionalista, ma nazionalista radicale. In definitiva Arana vedeva nell’istituzione del fuero un fattore d’identità della Nazione Basca.
Nel 1016 fu fondato il ducato di Vasconia, che comprendeva le tre province odierne e la Navarra. Alla fine del XIV secolo, nel 1379 per la precisione, questi territori passarono in maniera definitiva sotto il dominio della Castiglia.
Nel 1876 il re Alfonso XII, per ritorsione al sostegno dato ai carlisti, revocò l’autonomia già concessa al popolo basco, mentre il governo spagnolo di Canovas procedette a un’occupazione militare del territorio. Questo causò ovviamente in terra basca l’insorgere di un forte movimento di protesta nazionalista, nel cui ambito nacque nel 1894 l’organizzazione nazionalista basca, poi “Euzko Alderdi Jeltzalea”, in lingua spagnola “Partido Nacionalista Vasco” (Pnv).
Alla fine della dittatura del generale Primo de Rivera nel 1931, una scissione del Pnv determinò la nascita di “Accion Nacionalista Vasca” che, censurando il destrismo e il confessionalismo cattolico, fu la prima manifestazione di un nazionalismo basco di sinistra.
Il 15 giugno 1931 i sindaci baschi approvarono a larga maggioranza (427 voti su 528) un progetto denominato “Statuto di Lizarra”, che avrebbe inglobato i quattro territori di Hego Euskal Herria (la regione basca del territorio spagnolo).
Nel 1936 la regione basca riconquistò uno statuto d’autonomia. Durante la guerra civile (1936-1939) gran parte dei popoli minoritari combatterono contro le truppe franchiste. L’instaurazione della dittatura segnò l’inizio di una dura repressione nei confronti delle minoranze etniche, non solo perché queste aderirono al fronte popolare, ma soprattutto perché il centralismo franchista non poteva tollerare alcuna rivendicazione autonomista, seppur linguistica o culturale.
Nell’aprile del 1937 l’aviazione tedesca, corsa in aiuto al generale Franco, bombardò la città basca di Guernica. Una carneficina che ispirò al famoso pittore Pablo Picasso uno dei suoi quadri più famosi, che rappresentò la denuncia più sconcertante di quella nuova forma di terrore proveniente dal cielo. Nello stesso 1937 il regime abolì lo statuto d’autonomia delle regioni basche del 1936.
La riorganizzazione dello Stato, avviata dal regime dittatoriale di Francisco Franco, favorì la crescita delle aspirazioni indipendentiste dei baschi e l’insorgere dei primi gruppi armati in difesa della “Terra Basca e libertà”.
La nuova Costituzione spagnola del 1978, adottata dopo la caduta del regime franchista, diede vita alla “Comunità Autonoma delle Province Basche”. I baschi ottennero così uno statuto di grande autonomia, comprendente tra l’altro l’istituzione di un Parlamento e di un governo “regionale”, il riconoscimento ufficiale dell’euskera e il suo insegnamento nelle scuole. Questa autonomia accontentò solo in parte le aspirazioni del nazionalismo più radicale basco. In tal modo una parte del popolo si riorganizzò per la lotta politica, mentre un’altra fece ricorso alla violenza, intensificando le azioni armate.
Come già riferito, durante la dittatura di Francisco Franco (1939-1976), qualsiasi tipo di dissidenza e qualunque velleità d’autonomia furono duramente represse dall’esercito. Il nazionalismo franchista perseguitò i baschi impedendo l’uso dell’euskera e vietando l’esposizione della bandiera basca bianco-rosso-verde (l’ikurriña). In questo periodo alcuni giovani nazionalisti baschi delle province di Bizkaia e Guipuzkoa, crearono un movimento, Ekin (Fare), il quale impersonò le istanze più radicali della causa basca. Nel 1958, Ekin divenne Euskadi ta Askatasuna, ossia “Patria Basca e Libertà”. Contemporaneamente, nella regione basca francese si formava il gruppo Enbata.
Il gruppo spagnolo Euskadi ta Askatasuna, meglio conosciuto con il suo acronimo ETA, nacque come movimento radicale determinato a rispondere al duro centralismo della dittatura di Franco, facendo anche ricorso alla lotta armata. A partire dal 1966, quando la direzione fu monopolizzata dalla sua ala militare e più radicale, il gruppo assunse connotati decisamente terroristici. Durante il regime di Francisco Franco, ETA fu parte integrante della resistenza antifascista, compiendo continue azioni contro gli esponenti della dittatura e contribuendo, in qualche modo, alla caduta del regime. Le prime azioni armate di Eta risalgono al 1959, quando il gruppo collocò ordigni esplosivi a Bilbao, Santander e Vitoria.
Nel 1961 ETA progettò un’azione militare dagli effetti eclatanti. ETA, infatti, tentò di far deragliare un treno carico di veterani della guerra civile, che si recava a San Sebastian per celebrare il XXV anniversario della guerra stessa e la vittoria franchista. L’attentato, che non ebbe un buon esito, provocò una durissima repressione da parte del regime.
La prima assemblea di ETA si svolse in Francia nella primavera del 1962. Frutto di questo congresso fu un documento, “Princìpi”, che evidenziò le diversità ideologiche interne a ETA, nella quale l’unico elemento di aggregazione era esclusivamente l’aranismo. L’assemblea definì ETA un “movimento nel quale, come in ogni progetto popolare, ricadono tutte le classi sociali”. In quello stesso anno nei territori baschi francesi nacque il gruppo rivoluzionario e nazionalista “Embata”, con il relativo giornale di propaganda.
In questo periodo fece la sua apparizione il libro Vasconia, Estudio dialéctico de una nacionalidad, di Federigo Krutwig, ex direttore dell’Accademia della Lingua Basca. Vasconia, pubblicato in Argentina con lo pseudonimo di Fernando Sarrailh, è senza dubbio ancora oggi un riferimento obbligato per i militanti del nazionalismo basco radicale. Il libro collega il nazionalismo di Sabino de Arana Goiri, filtrato delle sue tesi razziste, ai principi di liberazione nazionale basati sui modelli anticolonialisti tipici di molti Paesi latinoamericani.
Altre assemblee ETA si svolsero nei successivi anni. La terza (1964) approvò i principi e i metodi per l’attuazione di una guerra rivoluzionaria di liberazione delle province basche. Con la quarta assemblea (1965) ci fu, da parte degli etarras,la definitiva adesione al marxismo. Legando la causa nazionale basca a quella sociale, nel quarto congresso ETA si giunse a un compromesso fra le due tendenze interne, quella operaista e quella nazionalista, parlando di “liberazione nazionale basca e di liberazione sociale dei baschi”, come di due aspetti dello stesso problema. La quinta assemblea è la più importante dell’organizzazione poiché, a seguito di scissioni ed espulsioni, si definì la strategia che contraddistinguerà il gruppo negli anni a venire. Il congresso si svolse in due parti. La prima, nel dicembre 1966, si concluse con l’espulsione della maggioranza della frangia operaista e dei militanti provenienti dall’Unione dei Socialisti Baschi (Esba). L’ala operaista sviluppò una nuova organizzazione alla quale fu dato il nome di ETA Berri (ETA Nuova). Nella seconda parte della quinta assemblea, che si tenne nel marzo 1967, fu favorito il consolidamento del concetto di ETA come “movimento socialista basco di liberazione nazionale” e alla rivendicazione del “Fronte Nazionale Basco” come asse portante di tutto il progetto politico. Anche la sesta assemblea, tenutasi nel 1970, fu all’insegna della scissione: le “Cellule Rosse”, favorevoli a un’azione politica più proletaria e meno nazionalista e ancor più attivista militarmente, si staccò dal gruppo. Ancora una volta le tendenze dei “milis”, i partigiani dell’azione armata in senso nazionalista, prevalsero su tutte. La frangia scissionista continuò la sua lotta col nome di ETA VI; mentre il restante gruppo, il più numeroso, si chiamò ETA V.
La prima vittima ETA si registrò quasi dieci anni dopo la nascita del gruppo: a cadere in un agguato, il 7 giugno 1967, fu la guardia civile José Pardines Arcay. Nello stesso anno, il 2 agosto, toccò al commissario della “Brigata Social” (la polizia politica) di Guipuzcoa, Melitòn Manzanas, conosciuto come il “torturatore di Irun”. Nel 1970, a Burgos, i terroristi che uccisero il commissario furono condannati alla pena capitale e giustiziati mediante garrotamento. Gli etarras per rivalsa alzarono il loro livello militare, sino a programmare la loro azione più eclatante: l’omicidio dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco, numero due del regime fascista e “delfino” di Franco. Il 20 dicembre 1973, la “Operación Ogro” (il “piano Orco”) fu messa in atto in via Claudio Coello, nel cuore di Madrid: una potentissima carica esplosiva fece compiere un volo di oltre quaranta metri all’automobile di Carrero Blanco.
Contemporaneamente alle azioni ETA in Spagna comparirono gruppi clandestini che, oltre ad combattere il dissenso politico, estesero il loro campo d’azione contro i nazionalisti baschi. Fra queste bande si distinguevano per spietatezza la cosiddetta “Triple A” (Alianza Apostólica Anticomunista de España) e i “Guerrieri di Cristo Re”. La “Triple A” fu attiva anche dopo la caduta della dittatura e sino al 1981. Questa banda rivendicò le proprie azioni con diverse sigle, tra cui: ATE (Antiterrorismo ETA), ANE (Acción Nazional Española), BVE (Batallón Vasco Español). Il fatto che queste bande estesero il loro raggio d’azione anche in territorio francese provocò, da parte del governo di Parigi, una denuncia ufficiale per violazione della sovranità territoriale. Nel 1979, a seguito di colloqui diplomatici fra i rappresentanti di Spagna e Francia, Madrid ottenne da Parigi la soppressione dello status di rifugiati politici per i militanti ETA spagnoli messisi al riparo in Francia, anche se il diritto d’asilo fu mantenuto. Per ritorsione gli etarras intrapresero una campagna militare contro gli interessi francesi in Spagna: diverse concessionarie d’auto francesi furono date alle fiamme, in diversi istituti bancari francesi deflagrarono ordigni, i mezzi dei turisti e dei camionisti francesi bruciati.
Il 1974 fu l’anno delle frammentazioni. Nel corso della settima assemblea, tenutasi a settembre, il fronte dei lavoratori Eta fondò un proprio partito politico: “Vangile Abertzale Iraultzaileen Alderdia” (Laia), ovvero “Partito dei Lavoratori Rivoluzionari e Nazionalisti Baschi”. Un’altra scissione riguardò altre due fazioni: ETA Militare, che avrebbe voluto continuare con la lotta armata, ed ETA Politico-Militare, che avrebbe voluto abbinare la lotta politica con quelle operaie. Ancora una volta prevalse la linea classica ETA essenzialmente nazionalista.
La fazione ETA Politico-Militare compì diverse azioni militari, tra cui il sequestro e l’uccisione dell’industriale e nazionalista Angel Berazadi. Alcuni mesi più tardi, siamo nel 1976, il principale dirigente di ETA PM, Eduardo Moreno Bergareche (in battaglia, Pertur) sparì misteriosamente senza lasciare traccia. ETA Politico-Militare, a seguito di altre scissioni interne, nel 1982 si dissolse. ETA Militare, nel frattempo, continuò per la sua strada.
Nel 1975 il dittatore Franco morì e la guida della Spagna passò nelle mani del re Juan Carlos che, legalizzando il Partito Comunista Spagnolo, se ne garantì se non l’appoggio almeno la non opposizione. Instaurata la monarchia democratica, il re legalizzò alcune lingue regionali (catalano, basco e galiziano), mentre con il nuovo premier, il democristiano Adolfo Suàrez, presentò al popolo una nuova Costituzione, liberale e fortemente rispettosa delle minoranze presenti nel Paese (nella regione basca, in Galizia e nella Catalogna). Il referendum per l’approvazione della nuova Carta costituzionale fece registrare la vittoria dei “si”, tuttavia l’astensione fu altissima arrivando a superare anche il 50% nelle regioni basche Bizkaia (Bisaglia) e Guipuzkoa (Guipuzcoa). Gli etarras sfruttarono questa astensione politica come una “mancata ratifica basca” per aizzare il nazionalismo basco nella regione.
Con l’amnistia per i prigionieri politici, prevista nella Costituzione, molti militanti Eta furono liberati. Nel frattempo, il 28 aprile 1978, si formò una coalizione politica, Herri Batasuna (Unità Popolare), che presentò un proprio progetto indipendentista per i Paesi Baschi.
Le aspirazioni basche salutarono con soddisfazione lo “Statuto di Autonomia” accordato nel 1979 dallo Stato ai Paesi Baschi (ma anche alla Galizia e alla Catalogna). Tuttavia per i più radicali questo non bastò, e la lotta armata per l’indipendenza continuò. Il 29 luglio dello stesso anno, una serie di esplosioni fece ricadere la Spagna nel terrore: obiettivi degli attacchi Eta furono l’aeroporto di Barajas, la stazione ferroviaria di Chamartin, nella periferia settentrionale di Madrid, e la stazione di Atocha nel centro della capitale. Si contarono sette morti e un centinaio di feriti.
Negli anni ’80 del XX secolo, il governo di Madrid decise di combattere la potente organizzazione armata, utilizzando anche speciali e ben preparati gruppi di fuoco, GAL (“Grupos Antiterroristas de Liberación”), reparti speciali antiterrorismo, veri e propri squadroni della morte, che intervenivano con licenza d’uccidere. Nel proprio documento fondativo i GAL annunciarono che a ogni azione ETA sarebbe seguito un attentato contro i suoi militanti o loro simpatizzanti. Sin dalla prima azione, il rapimento di Segundo Marey (1983), i GAL si sono distinti, oltre per la ferocia, soprattutto per l’imprecisione (Marey era totalmente estraneo all’ETA). La guerra sucia (la guerra sporca) portata avanti dai GAL determinò il rapimento e la tortura di molti ipotetici etarras, l’assassinio di ventinove persone (tra cui il dirigente del partito Herri Batasuna, Santi Brouard). Negli anni Novanta esplose lo scandalo dei “Grupos Antiterroristas de Liberación”, che avevano ucciso anche chi fosse stato solo sospettato di appartenere all’indipendentismo armato basco. Lo scandalo coinvolse anche José Luis Barrionuevo, ex ministro degli Interni nel governo Gonzales, che assieme a un ex segretario di Stato per la sicurezza e altri dieci persone (tra cui un ex leader politico, alti funzionari e comandanti della polizia spagnola), tutti coinvolti nel rapimento di Segundo Marey, fu arrestato e processato. Nel corso dell’inchiesta emersero presunti finanziamenti con fondi statali riservati al GAL. L’ex ministro José Luis Barrionuevo fu condannato a dieci anni di reclusione, anche se dopo poco usufruì di un indulto che gli ridusse la pena a tre anni, scarcerandolo.
Nel 1984 iniziò il trasferimento forzato degli etarras stanziati nel territorio francese verso Paesi latinoamericani e nordafricani. Questa politica garantì al governo di Mitterrand di concorrere alla vendita alla Spagna di una ricca commessa di carri armati e di un sistema di difesa a bassa quota (Roland). La repressione spagnola e la politica francese non riuscirono però a fiaccare la resistenza basca che, ricompattata, alzò il livello di fuoco. Con decine di attacchi e con cadenza settimanale, gli etarros hanno colpito illustri membri del governo, caserme della Guardia Civil e dell’Erzaintza (la polizia basca), coinvolgendo anche ignari civili.
Nell’aprile del 1995 ETA lanciò una proposta di pace, conosciuta come “Alternativa Democratica”. La proposta offriva un cessate il fuoco incondizionato in cambio del diritto all’autodeterminazione del Pais Vasco. Il rifiuto del governo spagnolo determinò altre azioni terroristiche, tra cui un attentato con un’autobomba imbottita di venti chili di dinamite che causò la morte del tenente colonnello Pedro Antonio Blanco García.
Il 15 settembre 1998, dopo accordi interni al fronte nazionalista basco, ETA dichiarò un “cessate il fuoco”. Nel maggio 1999 furono intavolate nuove trattative tra ETA e governo spagnolo, grazie anche alla mediazione del vescovo di Zamora, il basco monsignor Juan Maria Uriarte. Il 15 maggio Eta inviò le sue richieste scritte al capo del governo Aznar. Quest’ultimo formò una commissione di tre membri che, il 19 dello stesso mese, si incontrò con gli etarras Mikel Arbizu Iriarte (capo politico Eta) e Belen Gonzales Penalba (nome di battaglia Carmen). Alla riunione partecipò anche monsignor Uriarte. Eta richiedeva una “dichiarazione pubblica sulla libertà di autodeterminazione” del popolo basco e la liberazione di centinaia di militanti baschi detenuti nelle carceri spagnole. Eta offriva in cambio la deposizione delle armi a tempo indefinito. Il governo spagnolo si disse disposto a trattare con Eta a proposito della situazione degli etarras detenuti, pur non riconoscendoli come prigionieri politici. Tuttavia il governo rifiutò di mettere in gioco la questione dell’autodeterminazione. Il 3 dicembre 1999, un comunicato pubblicato dal giornale indipendentista “Gara”, annunciava: «è compito della direzione Eta far sapere ai commando operativi quando ricominciare le loro azioni». La tregua era stata sospesa.
All’inizio del 2000 ripresero le ostilità, con una serie di attentati e omicidi mirati. Le nuove azioni dell’ETA sono coincise con la sostituzione del gruppo dirigente guidato da Mikel Albizu (in battaglia Antza), con quello diretto da María Soledad “Marisol” Iparraguirre (alias Anboto), prima donna a entrare nella direzione ETA.
L’11 settembre 2001 l’Unione Europea dichiarò ETA un’organizzazione terroristica.
Il 20 ottobre del 2011 ETA ha annunciato la cessazione della lotta armata, ma senza sciogliersi: la politica armata del gruppo, che in quarant’anni si è reso responsabile della morte di 829 persone, sembra definitivamente interrotta.
Il 15 luglio 2014, attraverso un comunicato, ETA dichiara che ha iniziato lo «smantellamento delle strutture logistiche e operative derivanti dalla pratica della lotta armata» e di aver rafforzato «la struttura diretta a realizzare le questioni politiche, con l’obiettivo di agevolare le conversazioni tra i diversi agenti politici per avanzare nel processo di pace».
Sicuramente si è aperta una nuova e delicata fase che, tuttavia, non rappresenta comunque la fine della contesa che contrappone il nazionalismo basco allo stato spagnolo e, in minor intensità, alla Francia. Al momento le armi continuano a tacere.
di Renzo Paternoster
Bruni L., Storia dell’ETA – Giovanni Tranchida Editore, Milano, 1990.
Astrain L. N., La ragione basca – Edizioni Punto Rosso, Milano, 2000.
Laurenzano M., ETA. Il nazionalismo radicale basco 1973-1980 – Semar, Roma, 2000.
Botti A., La questione Basca. Dalle origini allo scioglimento di Batasuna – Mondadori, Milano, 2003.
Lagonegro G., Storia politica di Euskadi Ta Askatasuna e dei Paesi Baschi – Tranchida, Milano, 2005.
M. Laurenzano, Paese basco e libertà. Storia contemporanea di ETA – Red Star Press, Roma 2012.
A. Cirulli, L’ascia e il serpente. L’ETA e il nazionalismo basco dopo la lotta armata – Datanews, Roma 2012
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