LORENZO SAPPINO E IL GLORIOSO 54° REGGIMENTO FANTERIA
Nella ricerca delle mie origini e delle storie di tutti coloro che hanno contribuito a formare il mio DNA, recentemente mi sono imbattuto in questo mio lontano prozio – per l’esattezza, lo zio materno della mia bisnonna Teresina Bussi – la cui figura e storia mi hanno colpito profondamente: forse perché porta il mio stesso nome – Lorenzo – forse per la sua storia commovente e tragica. Per cui, in questi giorni in cui il ricordo dei nostri cari, che hanno sacrificato la vita per la nostra amata Patria a causa dei soliti giochi di potere di chi regge le sorti degli Stati, è più vivo e si celebra il centenario dalla firma dell’armistizio di Villa Giusti – 3novembre 1918 – e dell’armistizio di Compiègne – 11 novembre 1918 –, ho sentito il bisogno di raccontare la storia di Lorenzo Sappino.
Nato il 29 ottobre 1893 a Mottalciata – piccolo paese situato tra l’altopiano della Baraggia di Candelo e le risaie del vercellese –, Lorenzo apparteneva a una famiglia di contadini piuttosto povera, una famiglia molto numerosa e indigena del luogo, tant’è che allora, come oggi, la maggior parte dei residenti porta il cognome Sappino. La sua vita era quella di ogni contadino di allora, semplice, fatta di sacrifici, fatiche e rinunce. Ed è nell’ordinarietà di questa vita che nella primavera del 1915, anche nella piccola casa della famiglia Sappino, giunse la lettera che chiamava il fiore della gioventù italiana alle armi per servire il proprio Paese. Lorenzo aveva solo ventidue anni, una vita davanti, e l’idea di dover lasciare la propria famiglia, il proprio focolare, di esser così lontano da casa e di non poter più aiutare i propri genitori e le proprie sorelle per il sostentamento lo sommergono di angosce. La mia trisnonna Malvina per tutta la vita ricorderà l’immagine – l’ultima – di suo fratello in procinto a partire, col volto rigato dalle lacrime.
Il destino di Lorenzo si intrecciò a quello dei suoi commilitoni e a quello del glorioso 54° Reggimento Fanteria (Ivrea) della Brigata Umbria, che era impegnato nella Val Popena (provincia di Belluno), ai piedi del Monte Cristallo, nei pressi di Misurina.L’obiettivo è quello di conquistare le posizioni austriache sul Monte Piana, ma per tutto il 1915-17 il 54° e il 53° Fanteria riusciranno solo a conquistare alcune postazioni sulle pendici, spesso poi perse, per essere poi nuovamente riconquistate, e così avanti in una guerra di posizione logorante e scoraggiante; tuttavia, non sono mancate azioni coraggiose e ardite che hanno portato alla Brigata Umbria – in particolare al 54° Fanteria – molte medaglie e riconoscimenti.
Il 15 ottobre 1917 arriva per Lorenzo la nomina a caporale, poco prima del disastro di Caporetto. Alcuni giorni prima della grande offensiva austro-germanica dell’ottobre, il nemico, nell’intento di distrarre la nostra attenzione e le nostre forze dal suo asse d’azione principale, esegue alcuni attacchi diversivi in alcuni punti della fronte. Uno fra questi, particolarmente violento e condotto in gran parte da truppe tedesche, viene sferrato sul Monte Piana, presidiato dal 54° fanteria. All’alba del 21 ottobre, le artiglierie nemiche, con improvvisa attività, tengono per qualche ora sotto fuoco violento le nostre linee sul Monte Piana e in Val Popena. Il giorno seguente il bombardamento è ripreso con maggiore intensità, specie sul Monte Piana. Dopo un’ora circa di fuoco, una ponderosa ondata d’assalto, sostenuta anche da numerosi lanciafiamme, avanzando velocemente, riesce a impadronirsi di alcuni elementi di una posizione trincerata chiamata “La Ghirlanda”; ma i nostri fanti non tardano alla riscossa e in breve riconquistano il terreno perduto. Per quest’azione valorosa la bandiera del 54° Reggimento fanteria viene decorata di medaglia d’argento.
24 ottobre 1917: le truppe imperiali sfondano il fronte italiano a Caporetto, nella valle del fiume Isonzo. Il panico dilaga sia tra i militari sia tra i civili. Nessuno sa cosa fare. Non ci sono ordini precisi da parte dello stato maggiore, quindi, molti decidono di ritirarsi. Si teme che l’esercito nemico possa arrivare fino a Venezia e che la guerra sia perduta definitivamente. Inizia anche l’esodo di molti civili veneti e friulani. Cadorna, dopo l’indecisione iniziale, ordina all’esercito regio di ritirarsi fino al fiume Piave e qui viene ricostituita una linea difensiva, su cui viene finalmente arrestato il nemico. Il 31 ottobre, in seguito alle notizie catastrofiche provenienti dalla zona della Carnia, anche alle truppe del Cadore viene dato l’ordine di ritirata. Da Misurina, la colonna della Brigata Umbria procede verso sud, fino a San Vito di Cadore; il piano è quello di raggiungere Montebelluna, riorganizzare la I° Divisione e attaccare il nemico a Nervesa, sul fiume Piave. Tuttavia, Lorenzo non giungerà mai a Montebelluna, perché durante la ritirata dal Calazo di Cadore, il 7 novembre, viene fatto prigioniero dal nemico.
Da allora di Lorenzo non si ebbero più notizie certe e dirette. I suoi genitori – i miei quadrisavoli Pietro e Carolina – non ebbero più alcuna sua notizia per mesi. Fu loro riferito che il figlio era morto durante la ritirata successiva alla disfatta di Caporetto, perché caduto da un carro in fuga, e che il corpo era stato recuperato dagli austriaci.
In realtà la storia non finisce qui. Lorenzo era sì caduto dal carro, ma non era morto ed era stato fatto prigioniero dagli Austriaci. La notizia di questa sorte giunse anche allo Stato italiano nel novembre del 1918, però, si è ben guardato dal riferirlo alla famiglia; e così, a distanza di un secolo, è toccato a me il compito di riferire questo particolare a una sua nipote. Torniamo al filo del discorso. Lorenzo, dopo essere stato fatto prigioniero dall’esercito austro-ungarico, fu condotto in una lunga marcia, in cui fame e freddo hanno fatto da padroni, in Ungheria, presso il campo di prigionia di Ostffyasszonyfa. La permanenza presso il campo fu breve, perché nel giro di un mese, Lorenzo, assieme ad altri prigionieri, fucostretto a rimettersi in viaggio per raggiungere l’Albania, dove i prigionieri di guerra venivano utilizzati come manodopera per costruire strade. Nel tardo pomeriggio del 18 marzo 1918,quattrocentotredici italiani provenienti dai campi di prigionia ungheresi, tra cui Lorenzo Sappino, nel porto di Zelenika (Montenegro) furono imbarcati sul piroscafo Linz, proveniente dalla città di Fiume. Poco dopo mezzanotte, al largo di Durazzo, un’esplosione squarciò il ventre della nave e nel giro di venticinque minuti affondò nelle acque gelide dell’Adriatico. Duecentottantaquattro soldati italiani morirono nell’incidente, assieme ad altri quasi quattrocento civili (senza contare i soldati austro-ungarici che si erano imbarcati illegalmente). La colpa fu data a un siluro italiano, tuttavia nel dicembre del 2000, esaminando il relitto della Linz, si è capito che l’affondamento è da imputare a una mina magnetica esplosa nel momento in cui il piroscafo è passato.
Il corpo di Lorenzo Sappino di Pietro, classe 1893, oggi riposa a quarantacinque metri di profondità, a sedici miglia al largo di Capo Rondoni (Durazzo) e a ricordarlo nel suo paese d’origine – Mottalciata – è l’iscrizione in una lapide commemorativa vicino al municipio.
Lorenzo Pitaccolo
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