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ALCOOLS

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Annoverato tra i più grandi poeti moderni, Guillaume Apollinaire, artista estremo, assetato di vita e sperimentazioni continue, riesce ad esprimere attraverso la poesia le contraddizioni che agitano la società europea degli inizi del Novecento, con la crisi del Simbolismo e la nascita di varie correnti avanguardiste volte alla creazione del verso libero e alla frantumazione della continuità discorsiva che conduce al ricorso del “calligramma” con componimenti in cui la disposizione dei versi raffigura un oggetto.

Uomo passionale e fantasioso, la sua vita disordinata, alla perenne ricerca di sensazioni forti e amori fugaci, si riflette nella sua poesia, ricca di immagini e raffigurazioni stravaganti accompagnate da un fervido sperimentalismo provocatorio e insolente il cui obiettivo è quello di scatenare tensioni imprevedibili per poter esprimere la molteplicità della rappresentazione attraverso una forma che anela ad una libertà assoluta. 


La posizione di Apollinaire oscilla tra tradizione e modernità. Desidera infatti dar vita ad un nuovo percorso d’ispirazione da elargire liberamente, senza costrizione alcuna. Ciò rende comprensibile
 la miriade di voci interiori espresse nella sua poesia il cui costante gioco tra continuo e discontinuo e associazione di immagini diverse rendono evidente il disordine dell’animo umano.


Il 9 novembre 1918 morì il poeta Guillaume Apollinaire. Era nato a Roma nel 1880, da un ufficiale del Cantone dei Grigioni che non lo riconobbe, e da una nobildonna polacca. Trasferitosi da piccolo a Parigi con la madre, conobbe numerosi artisti e scrittori, tra i quali Ungaretti e Picasso. Ebbe parte alle discussioni sul Cubismo e ci scrisse un libro. Per avere espresso la necessità di aprire i musei, venne accusato del furto de La Gioconda avvenuto al Louvre il 20 agosto 1911 (venne accusato del reato anche Picasso), arrestato, a lungo interrogato e incarcerato. Dichiarato estraneo ai fatti, dato che l’autore del rocambolesco furto fu Vincenzo Peruggia, sostenne il Futurismo di Marinetti e la pittura metafisica di De Chirico.

Nel 1913 diede alle stampe Alcools, raccolta di liriche scritte a partire dal 1898. Molte delle liriche della raccolta sono dedicate, una a Picasso. Il titolo rimanda all’inebriante del vivere, anche se non mancano note nostalgiche, malinconiche, anche rinunciatarie. Proprio come succede a chi beve: tanto può essere l’allegria, quanto il momento di ripiegamento in sé. Famosa la poesia Il ponte Mirabeau sotto il quale scorre la Senna e guardando il quale pensa che l’amore se ne va come l’acqua della corrente, la vita è lenta e la Speranza violenta: la voglia di agire e cambiare che urge, tanto quanto si può stare fermi a osservare qualcosa che accade e basta. Allo scoppio della Grande Guerra si arruolò volontario per partecipare al “grande spettacolo” in cui agì come sottotenente. Venne ferito alla testa nel 1916 e sottoposto a un delicato intervento di trapanazione cranica.

Accanto alla sua famosa opera Il poeta assassinato del 1916, in prosa, ricordiamo le novelle, il dramma Les mammelles de Tirésias rappresentata per la prima volta nel 1917 e i Calligrammi, carmi figurati che, oltre ad essere letti, sono componimenti poetici che possono essere contemplati perché scritti con forme interessanti, come dei disegni di lettere. La raccolta è del 1918, quando sposerà nel mese di luglio Jacqueline Kohl, e quando morirà di febbre spagnola, non essendosi mai realmente ripreso dall’operazione subita. Al capezzale presso l’ospedale italiano di Parigi dove era stato portato, accanto alla moglie, Ungaretti, che era andato a trovare l’amico nel suo attico in città per comunicargli la vittoria italiana della guerra, firmata solo pochi giorni prima.

Tra i suoi calligrammi, Cuore, corona e specchio: “Il mio cuore simile a una fiamma rovesciata/ I re che muoiono volta per volta rinascono nel cuore dei poeti/ In questo specchio io sono rinchiuso vivo e vero come si immaginano gli angeli e non come sono i riflessi”. La cravatta e l’orologio, spesso presente nelle antologie scolastiche: “Dolorosa che tu porti e che ti orna o civilizzato toglila se tu vuoi respirare bene” e che sottende un profondo significato, preciso commento sulla vita da parte dell’autore. Lo sperimentalismo grafico ma anche sintattico dei calligrammi, con uso del verso libero e mancanza di punteggiatura, permettono ad Apollinaire una più profonda riflessione sulla società, libera dai vincoli metrici della poesia classica.

Tour Eiffel esprime così la grandezza della Francia: “Ciao mondo di cui io sono la lingua eloquente che la tua bocca o Parigi tira e tirerà sempre ai tedeschi”. E ancora Piove, con riferimenti alle donne, spesso presenti nelle sue opere: “Piovono voci di donne come se fossero morte anche nel ricordo siete anche voi che piovete meravigliosi incontri della mia vita o goccioline […] ascolta cadere i legami che ti trattengono in alto e in basso”.


 


Nel 1914 il poeta polacco Wilhelm Albert Włodzimierz Apolinary de Wąż-Kostrowicki, ‎naturalizzato francese con il più semplice nome di Guillaume Apollinaire, cadde innamorato di ‎Madame Louise de Coligny-Châtillon, donna di nobile lignaggio ma “spirituelle, dégagée, frivole, ‎impétueuse, puérile, sensible, insaisissable, énervée”, ossia piuttosto libera per i suoi tempi ‎‎(all’epoca era già divorziata e si dilettava di aeroplani…).‎
La passione del poeta non fu completamente ricambiata e, per giunta, gli toccò di partire per il ‎fronte. Eppure anche in trincea l’amore era più forte della guerra e della morte – ed è per ‎questo che ho voluto contribuire questa poesia-canzone– e Apollinaire scrisse ogni giorno ‎alla sua amata “Lou”, fino alla primavera del 1915, quando anche a lui fu chiaro che quella ‎relazione era impossibile.‎
Poco dopo Apollinaire fu ferito gravemente dalle schegge di un colpo di obice che lo raggiunsero ‎alla testa mentre nella sua trincea era intento a leggere il “Mercure de France”. Sopravvisse ma, ‎assai indebolito, si arrese alla “spagnola” che nel 1918 uccise decine di milioni di persone in tutta ‎Europa.
Si je mourais là-bas sur le front de l’armée
Tu pleurerais un jour ô Lou ma bien-aimée
Et puis mon souvenir s’éteindrait comme meurt
Un obus éclatant sur le front de l’armée
Un bel obus semblable aux mimosas en fleur

Et puis ce souvenir éclate dans l’espace
Couvrirait de mon sang le monde tout entier
La mer les monts les vals et l’étoile qui passe
Les soleils merveilleux mûrissant dans l’espace
Comme font les fruits d’or autour de Baratier

Souvenir oublié vivant dans toutes choses
Je rougirais le bout de tes jolis seins roses
Je rougirais ta bouche et tes cheveux sanglants
Tu ne vieillirais point toutes ces belles choses
Rajeuniraient toujours pour leurs destins galants

Lou si je meurs là-bas souvenir qu’on oublie
Souviens-t’en quelquefois aux instants de folie
De jeunesse et d’amour et d’éclatante ardeur
Mon sang c’est la fontaine ardente du bonheur
Et sois la plus heureuse étant la plus jolie

O mon unique amour et ma grande folie


La fama di Guillaume Apollinaire, morto a soli trentotto anni, è legata principalmente alla sua attività di poeta e in particolare a due raccolte, Alcools del 1913 e Calligrammes, del 1918. Quest’ultima comprende 86 “poesie della pace e della guerra”, nelle quali lo sperimentalismo tecnico compositivo del poeta raggiunge l’acme. Da un’espressione greca che  significa “bella lettera, il calligramma designa un testo in cui la disposizione tipografica riproduce la forma dell’oggetto evocato: un getto d’acqua, una colomba, una cravatta, la pioggia, ecc. In realtà secondo il sottotitolo “Poemi della Pace e della Guerra”, i calligrammi – degli “ideogrammi lirici” secondo l’autore – non costituiscono che una parte della raccolta (19 poesie in tutto). Realizzando delle poesie-disegno, Apollinaire compie una scelta allo stesso tempo antica e moderna. Antica poiché si basa su una tradizione classica, ripresa dal Rinascimento; moderna poiché,  per la prima volta, ha evocato, attraverso la disposizione delle parole sulla pagina, non un oggetto statico ma un gesto dinamico. D’altronde, Calligrammes sottolinea un rapporto stretto con le arti figurative e in particolare con il Cubismo. L’influenza dei pittori è stata in questo caso essenziale.



Ossessionato dalla modernità, Apollinaire è il primo a parlare di “spirito nuovo” per indicare la vivacità del clima culturale in cui opera. Ha dato dignità artistica ad una realtà urbana profondamente trasformata, fatta di macchine, sirene, aerei e frammenti di conversazione raccolti qua e là. Lo spettacolo della guerra e i suoi orrori  continuamente  ritornano nella raccolta. ). Redatta tra il 1913 e il 1916, questa esprime appunto soprattutto lo sconforto del combattente di fronte alla quotidiana esperienza di morte.



Ad esempio nella poesia Et combien j’en ai vu il sentimento di morte e disperazione appare molto profondo e costante. L’immagine di fondo è la trincea che tiene a sé i soldati valorosi che anche se sono ormai morti sono ancora in piedi (poiché sono appoggiati al bordo della trincea) come torri di Pisa. Il significato donato da questa immagine esprime la volontà di non arrendersi e cercare di lottare fino all’ultimo in  nome della patria.



I soldati non devono arrendersi al fango e al freddo e anche se la loro carne soffre per queste condizioni disumane, devono sempre cercare di difendere ma anche di conquistare un nuovo territorio.

Il poeta si immedesima nei soldati e si fa interprete sensibile di aspirazioni e sentimenti, poiché anche lui ha realmente combattuto al fronte ed inoltre è stato ferito alla testa da un obice.



FLa guerra, rappresentata in maniera cruda, si sostituisce a quella che sarebbe la descrizione della natura: il proiettile tuba, i fiumi scorrono obici e la notte non è più illuminata dalle stelle e dalla luna bensì da obici che assomigliano a fiori mentre sbocciano e poi si richiudono in sé. La trincea diventa una casa dove i soldati imparano a convivere con l’agguato, la morte ed il prurito provocato dai vermi che cercano di mangiare la loro carne (l’agguato, la morte ed il prurito vengono scritti in maiuscolo in quanto vengono personificati per dare maggior enfasi alle condizioni vitali dei combattenti).

Infine il pensiero viene rivolto ai poeti futuri con la speranza che questi ultimi siano capaci di esaltare le gesta valorose di quei soldati morti per la patria.

Nella lirica La tranchée Apollinaire dà voce alla tragedia universale della morte in guerra attraverso l’uso sapiente della prosopopea. Qui la personificazione della trincea avviene con un discorso in prima persona in cui essa appare come una sposa gelosa, che offre il suo amore, un amore potente che accompagna i suoi soldati fino alla morte. Gelosa dei suoi uomini, li osserva dal suolo mentre si preparano alla guerra ed offre a loro il suo corpo che viene paragonato ad un amplesso mortale. Come nell’altra poesia, l’immagine della morte è molto forte e viene affiancata a quella della trincea che simboleggia nel migliore dei modi la prima Guerra Mondiale.

Anche se il poeta non ha combattuto sul fronte del Carso e dell’Isonzo, egli riesce ugualmente a interpretare gli stessi sentimenti di angoscia e dolore che accompagnarono i combattenti di tutti gli eserciti e su tutti i fronti.

 


ARTICOLO REDATTO DAGLI ALLIEVI CHIARA GIRODETTO, ALICE GIUPPONI, CATERINA BARBERA E ANDREA VALSECCHI DELLE CLASSI V I E V D SOTTO LA SUPERVISIONE DELLA PROFESSORESSA MAFFEIS E DEI PROFESSORI MASSIMILIANO FRANCO E MARCO CASTELLI.