La Piccola Italiana

Un esempio di storia emotiva

di Massimiliano Franco

Da alcuni anni la storiografia più avvertita, facendo finalmente un utilizzo vasto e sistematico soprattuttodelle carte di polizia, ha decostruito il mito del consenso al regime fascista, mai così esteso neppure nel corso degli anni Trenta e rapidamente crollato nel corso dei due primi anni di guerra, quando l’avventura militare italiana non si è ancora mutata in tragedia nazionale ma già si intuiscono i segnali di un imminente, forte cedimento, col governo che comincia per la prima volta dopo tempo ad essere fatto oggetto di critichemanifeste. L’inverno del 1940-41, e ancor di più la prospettiva d’un secondo inverno di guerra nella metà del 1941, hanno l’effetto di segnare una profonda svolta nello spirito e nella fiducia degli italiani, diffondendo ondate di pessimismo. «Le strutture repressive tentarono di arginare questo fenomeno operando arresti e indagini ad ampio raggio, finché da un lato [questo] assunse dimensioni tali da render inefficace qualsiasi intervento […], dall’altro l’andamento negativo della guerra diede ben altri grattacapi ai dirigenti della polizia, convinti pure loro della china rovinosa sulla quale il duce aveva collocato la patria». D’altra parte, l’esame di migliaia fra lettere e diari personali ha altresì documentato la tenuta della fede, soprattutto in certe fasce sociali e d’età, nella figura di Mussolini, che non per forza si trova in aperta contraddizione con gli opposti malumori per la situazione generale.

Nonostante la problematicità di queste fonti scritte, è possibile ricavarne elementi in funzione di una storia emotiva della popolazione. Esempi di questo genere si possono trovare, ovviamente, anche nel Biellese, sebbene sia un filone di studi ancora poco battuto. Un caso che può apparire interessante è quello di Edna B*, una bambina di dieci anni che vive a Curino, nel Biellese orientale, e che tiene un diario in cui annota eventi e impressioni proprio durante il periodo di progressiva disillusione nei confronti del regime, tra l’ottobre 1940 e l’aprile 1942, ma che di questa disillusione, nondimeno, lascia trasparire poche tracce, esibendo viceversa un atteggiamento prono alla retorica ciecamente ottimista che le viene inculcata da chi le sta intorno, in primo luogo insegnanti e afferenti alle organizzazioni del partito, e poi genitori e amici.

Edna, dunque, inizia col dirci orgogliosamente di essere una piccola italiana, anche se la tessera ai suoi è costata sei lire. Appena iniziata la scuola il maestro tiene alla scolaresca una lezione sulla guerra in corso: «Mi fece un’idea chiara della guerra. […] Ci spiegò che noi italiani siamo in guerra contro l’Inghilterra […], ma non combattiamo sull’isola inglese, ma in mare, e tutti i giorni la nostra flotta affonda qualche nave nemica». La routine giornaliera è presto scandita dalla ginnastica, dai riassunti di storia (la marcia su Roma fatta «contro chi portava uno straccio rosso per le strade e gridava abbasso il Tricolore»), dai momenti in comune, in un modo che non può che richiamare alla mente certe sequenze felliniane di Amarcord, con «quella povera scuola ignorante e manesca, quell’obbligo di stare insieme greve e stolido, nei cortei, nelle parate, in chiesa, al cinema, alle adunate a cantare inni e a far pernacchie». Alla XIV leva fascista Edna apprende felice dal segretario della sezione locale del PNF che la guerra si concluderà presto, e in modo favorevole all’Italia. La vittoria sarà certa ed immancabile: in cielo, in terra e per mare. In classe ne sono giàtutti convinti, e, del resto, nel tentativo di «disciplinare la società secondo ordini professionali, generi e generazioni, quello nei confronti della gioventù fu senza dubbio il programma più capillare, articolato, diffuso, e, a conti fatti, il più riuscito». Il 4 novembre si celebra l’anniversario della vittoria nella Grande Guerra; fra i caduti del piccolo comune biellese c’è anche uno zio di Edna, che però in quei giorni pare più interessata alla lotta contro un virus che ha colpito il pollame; oltretutto è stanca, perché al mattino le lezioni iniziano prima, quando è ancora buio, per via dell’ora legale. La colpa di tutto seguita ad essere degli inglesi: «L’Inghilterra è la causa di tutti i mali»; per fortuna «l’Italia, forte, potenta e coraggiosa, ha resistito alle sanzioni» comminatele dopo l’invasione dell’Etiopia. Il duce, intanto, ha fatto sapere che quella in Grecia è una guerra parallela ma non sarà una guerra-lampo, ed Edna si stupisce un po’ del fatto che «i greci odiano gli italiani». Il conflitto sta già andando male, ma la propaganda ha buon agio a rovesciare la prospettiva: sono gli inglesi che «fanno la guerra colle parole e colle menzogne, […] e con delle belle sconfitte». L’inverno 1940-41 è molto rigido in tutto il Biellese. Edna si lamenta per il freddo, ma quando il maestro le racconta dei rigori dei paesi nordici, finisce per dichiararsi «ancora delle più fortunate». «Io penso ai nostri soldati che sono in mezzo al freddo, e che dormono sotto le baracche di legno, e mi pare di non sentire più freddo. Mio papà non lascia mai mancare legna». Intanto seguita a nevicare, e gli alunni spesso rimangono a casa. Si segnala anche qualche caso di difterite e poi di varicella, ma, soprattutto, a Curino sono in aumento i furti: «Che brutto mestiere fare il ladro», annota Edna. L’inizio dell’anno nuovo porta una ennesima raccolta diferro per la patria: sotto lo sguardo benevolo dei genitori Edna ammucchia una falce arrugginita, un piccone rotto ed anche una casseruola senza fondo. Intanto, a febbraio, va al funerale del primo, giovane compaesano caduto in Grecia (ce ne saranno altri due). Giunge notizia che «i valorosi soldati italiani difendono con eroica resistenza» l’oasi di Giarabub, che poi cadrà. Scompare nel nulla anche l’AOI, l’impero africano, sebbene con i compagni Edna continui a scrivere lunghe cartoline per i soldati al fronte, «che combattono per la grandezza della nostra Patria». Ormai è primavera, e l’anno è quasi finito. Edna ogni giorno accudisce la sorellina, prepara la pappa e sorveglia i suoi giochi. Il fratello maggiore è in collegio a Vercelli, ma lei preferisce stare senz’altro «a casa con i genitori». La campagna di Grecia è terminata, ma Edna non ne dà notizia, come, ovviamente, dei disastri di Taranto e Capo Mapatan. Durante quell’estate il diario, che certamente è un lavoro domestico voluto dal maestro, rimane bianco; ma intanto s’è aperta la campagna diRussia. A ottobre ricomincia l’anno scolastico con tanti buoni propositi, in primis quello di «ubbidire sempre ai superiori» e «fare il proprio dovere di buona italiana». Ci sono ancora parecchi furti, segno che le cose stanno peggiorando, ma Edna è piuttosto tranquilla: in casa, che intuiamo più agiata della media, i ladri «non potrebbero entrare tanto facilmente perché abbiamo tutte serrature americane». Il 24 ottobre 1941 compie undici anni e riceve due regali. Inizia anche lo studio del latino, e si sente più grande: «Pensando alla fugacità del tempo mi accorgo che divento ragazza e che nella vita non ho soltanto dei diritti ma anche dei doveri». Del resto nel Decalogo per le piccole italiane si rammenta che «la Patria si serve spazzando la propria casa», e che se pure «la donna è la prima responsabile dei destini di un popolo», tale destino deve compiersi nella famiglia, «ricca di figli, parca nei bisogni, tenace nella fatica, ardente nella fede fascista e cristiana». Arriva un altro 4 novembre, si tutti va al parco della Rimembranza, in mezzo ai membri della GIL,e gli alunni della scuola di Edna ricevono in dono una spilla con su scritto “Vincere”. Lei aggiunge: «Così pure le nostre mamme sanno vincere ogni mancanza del occorrente, purché di assicurarci il vitto giornaliero e non si abbia a soffrire la fame». Benché in modo confuso, Edna ha colto il problema: il Paese da dieci anni vive al limite del proprio fabbisogno e gli italiani, pure abituati a consumi limitati e ad impennate cicliche dei prezzi, non si aspettano l’aumento del costo della vita che si verifica tra il 1940 ed il 1942, coi valori delle derrate alimentari che crescono del 67 per cento. Intanto, le piccole alunne curinesi aiutano il personale nella mensa della locale scuola rurale. Ai bambini viene distribuita una scodella di minestra e un pezzo di pane; il vicesegretario del PNF spiega che è solo per volere «del Duce, perché quando esso vuole una cosa noi da bravi italiani dobbiamo ubbidirlo». In questo modo l’esaltazione della figura del capo resiste ancora per un poai rovesci militari. A dicembre, in vista della novena natalizia, Edna si ripromette di essere buona, studiosa e ubbidiente, e di pregare Gesù Bambino per i genitori e «per la pace e la vittoria dell’Asse». L’ultimo giorno del 1941 annota con una certa inquietudine l’ingresso nel conflitto anche degli Stati Unitid’America, ma è ancora convinta che si stia combattendo una guerra santa: «Il mondo aspetta con ansia la tanto desiderata pace, che dovrà finire distruggendo per sempre i popoli avversari alla civiltà, avversari alla religione, ai buoni principi della famiglia». Pensa anche «ai nostri valorosi soldati» in Russia, e «chissà quanto freddo avranno a soffrire», ai sacrifici che sopportano con «fede» e speranza (non può saperlo, ma,nei mesi in cui tiene il suo diario, il corpo di spedizione italiano in Russia conta quasi 8.000 soldati feriti e congelati, più 1.792 morti o dispersi). In primavera Edna ascolta spesso della musica e delle trasmissioni radiofoniche (Pinocchio). Si lascia andare a lunghe digressioni agresti sul rigoglio delle sue colline. Partecipa alla Festa degli alberi e all’inaugurazione di una nuova strada, la “Curino-Pray”. Proprio dalla radio, però,apprende, con dispiacere, la notizia della morte in prigionia del «grande Duca» Amedeo di Aosta. A marzo vaalla fiera di San Giuseppe, a Brusnengo. Però i banchi sono pochissimi e la merce scarseggia. Edna può comperare appena delle caramelle, poi va a trovare un’amica, che abita in una villetta «frivola». Ha tanticompiti da svolgere, ma a scuola il suo profitto è buono. Un altro anno sta terminando. Il diario s’arresta alla«seconda Pasqua di dura e violenta guerra, che sconvolge ormai il mondo intero, per diverse idee aristocratiche di nazioni vecchie che bramano, non la libertà, ma l’oro e la schiavitù». È possibile che ora Edna, magari senza rendersene conto, cominci a essere meno fiduciosa: fra l’altro non parla più dell’immancabile vittoria italiana, e nemmeno delle forze dell’Asse. Anche lei, oramai, si illude, affidandosi alle fantomatiche «armi del Tripartito». Tra ottobre e novembre arriveranno la sconfitta di El Alamein e la perdita definitiva della Cirenaica e di tutto il Nord Africa, e molti italiani dovranno iniziare ad aprire gli occhi. Nel marasma che seguirà l’8 settembre 1943 Edna e la sua famiglia fuggiranno in America.

 

 

[Articolo pubblicato (titolo: Il diario di una Piccola Italiana) in «Rivista Biellese», XXI, 1, 2017, pp. 73-77]