La battaglia di Tsushima 

Corazzata Fuji

Incrociatore giapponese Mikasa

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TUTTOSTORIA

http://www.tuttostoria.net/storia-contemporanea.aspx?code=1271


http://Battle of the Japan Sea (1969) – IMDb https://www.imdb.com/title/tt0064733/


https://www.youtube.com/watch?v=tmSWyZ4BXWs


A seguito degli avvenimenti di assestamento politico e geografico di fine 800 e inizio 900 è evidente che l’oriente sia nella tenaglia di tre fondamentali egemoni che si prefigurano quali prossime guide del corso storico e sociale del continente. da una parte vediamo l’ormai decadente e morituro impero russo di stampo occidentale ed occidentalizzante, dall’altro le due potenze di spanto asiatico: il riemergente modernizzantesi impero nipponico, che a seguito della defeudalizzazione, si affaccia sulla panoramica delle dinamiche mondiali con un nuovo volto industrializzato e l’impero cinese che a seguito della rivolta dei boxer non è che un fittizio impero cartaceo da cartina.

La causa scatenante del conflitto che portò a fronteggiarsi l’impero russo e quello giapponese fu la possibilità di ottenere per il primo uno sbocco sull’acqua sempre utilizzabile e per il secondo quello di ottenere le proprie zone di influenza(nella fattispecie la corea), non riconosciuti dalla potenza zarista occidentale . La Russia non volendo scendere a patti col Giappone, e ormai fin dalla conclusione del conflitto sino-giapponese erano inutili le trattative e la diplomazia, decise di fare un ” atto di aggressione in Asia”.

Il conflitto a causa del suo genere tipicamente e quasi esclusivamente marittimo e navale portò le due flotte a scontrarsi in episodi bellici che furono gravidi di conseguenze epocali. infatti in primo luogo la flotta Russa, all’epoca accreditata come quinta potenza navale mondiale, fu sbaragliata, umiliata e surclassata da quella nipponica, all’epoca sesta potenza marittima, cosa che comportò la nascita dell’identità della flotta giapponese e al delineamento del Giappone come nuova e confermata potenza marittima.

I motivi dello smacco russo sono facilmente intravedibili nella mal-organizzazione della forza navale zarista, infatti la loro flotta non era divisa in formazioni o anche ci fossero state rispondevano ad un aggregazione arbitraria ed imprecisa, alla disomogeneità degli armamenti e all’ardua manovrabilità delle navi russe.  A tutto ciò, a livello tecnico si  aggiungeva un sostrato sociale-economico di corruzione nei vertici imprenditoriali, che motiva e spiega la carenza di approvvigionamento a 360 gradi della flotta russa, e impreparazione tecnico-militare di ciurme ed ufficiali. Inoltre a coronare le già tragiche credenziali russe vi erano i dissidi di classe ufficiale-marinai, inquanto questi ultimi erano mugik.

Tsushima

Classe Borodino

La flotta russa , comandata da Rozestvenski, composta di 7 corazzate (4 delle quali neppure collaudate), 2 incrociatori corazzati, 6 leggeri e 9 caccia,  partiva per la più imponente operazione navale della storia senza alcuna probabilità di successo, neppure sulla carta, poiché fin dall’inizio era evidente che, dopo una navigazione di sette mesi, uomini e macchinari sarebbero stati esausti: le caldaie avrebbero fornito una potenza ridotta e le incrostazioni sotto gli scafi avrebbero diminuito la velocità potenziale della flotta. Inoltre il fattore sorpresa sarebbe mancato del tutto: per conoscere ogni mossa del nemico, e attenderlo dove e quando avesse fatto loro più comodo, ai Giapponesi sarebbe bastato semplicemente leggere i giornali. A causa della distanza, poi, la spedizione avrebbe richiesto un’organizzazione logistica molto onerosa per i Russi (rifornimento di carbone per le navi a vapore, ognuna delle quali aveva un’autonomia massima di 10 giorni, scorte di viveri e acqua), nonché quasi impossibile e i motivi sopra detti, mentre i Giapponesi combattevano a poche miglia dai loro porti. Gli armamenti superati, la scarsità dei pezzi di ricambio e l’inadeguatezza del servizio sanitario di bordo, impotente di fronte a tifo e ad enterite che i climi caldi avrebbero scatenato fra gli equipaggi, avrebbero ridotto ancora di molto la potenzialità bellica dei Russi.
Infine occorre ricordare la quasi totale assenza di efficienti apparati radiotelegrafici sulla flotta russa, al contrario della nemica.

La flotta di Rozestvenski era totalmente priva di compattezza, velocità e potenza che in guerra sono indispensabili nonché prevalenti sul puro numero quantitativo. Rozestvenski aveva invece solo avuto la possibilità di condurre navi vecchie e lente, talmente prive di valore in guerra da guadagnarsi l’appellativo di ferri da stiro.

Ammiraglio Rozestvenski

Riuniti nella squadra di Nebogatov e accorporati a quella di Folkersham, il quale morì pochi giorni prima della battaglia, i “ferri da stiro”, seguendo una rotta diversa da quella di Rozestvenskij, sarebero entrati nel Mediterraneo per attraversare il canale di Suez, evitando di circumnavigare l’Africa. Comprese queste “vecchie bagnarole”, la flotta di Rozestvenskij contava 37 unità. All’altezza di Gibilterra i due ammiragli si divisero per poi ricongiungersi alla baia di Diego Suarez( attuale Antsiranana) per attedendere i rifornimenti di carbone e per fare la manutenzione alle imbarcazioni. Ma le autorità gestionali francesi non concessero il permesso di approdo e stazionamento portuario, facendo piuttosto riconvergere la flotta riunita russa su Nosey Be, baia senz’altro meno predisposta ad accogliere una flotta militare. Secondo la prima legge di Murphy e per ironia della sorte tragicamente presagistica della malasorte russa, a causa di problemi diplomatici con la compagnia privata di trasporto tedesca Hamburg-Amerika Linie i rifornimenti di carbone non arrivarono e la flotta fu costretta a una sosta forzata ben più lunga, quanto basta perché non fossero più in grado di giungere in soccorso di Port Arthur, preso d’assedio, in tempo. Perso Port Arthur i 2 ammiragli si ricongiunsero con il loro collega più lento Negobatov per ritirarsi a Vladivostok, ultimo porto russo nel Pacifico rimasto. I mesi di ritardo risulteranno fatali per la riuscita della missione, infatti i Giapponesi ebbero il tempo di riportare in piena efficienza le loro navi. Il primo obiettivo della flotta russa era non farsi scoprire dai giapponesi fino a Vladivostok. Per alcuni giorni i Giapponesi, che la pedinavano da lontano, persero di vista la flotta russa, ma alle 2 del mattino del 27 maggio, il mercantile armato Shinano Maru, avvistata la flotta in rotta verso Vladivostok, avvertì l’Ammiraglio Togo.

La battaglia volgeva a principio, Togo, imbarcato sulla Mikasa infatti, dando inizio alle danze, manovrò per intercettare la flotta russa non appena si fosse inoltrata nel canale di Corea, tra le isole Tsushima e Okishima. Il suo piano prevedeva di bloccare la testa della linea russa con la sua squadra e quella di Kamimura, mentre altre due divisioni navali, provenienti dal Giappone, avrebbero bloccato la coda. La scelta tattica di Togo fu il taglio della “T”, operazione contemplata dai manuali di qualunque Accademia navale, che consiste nello sbarrare la via ad una flotta che procede in linea di fila con uno schieramento ad essa perpendicolare proprio come il tratto superiore della T.
In questa posizione, mantenendosi ad una opportuna distanza media per evitare lo speronamento, si può sparare con tutte le artiglierie, mentre chi avanza può fare fuoco soltanto con le torri prodiere delle prime navi. Con il taglio della “T”, quindi, i Russi sarebbero stati privati del loro unico vantaggio: il maggior numero di cannoni da 305 mm. I sommergibili giapponesi e gli incrociatori ausiliari (in sostanza mercantili poco o per nulla armati) delle due parti non intervennero nella battaglia e alle torpediniere nipponiche furono affidate l’esplorazione e il colpo di grazia ad unità già agonizzanti.

Intanto la flotta russa procedeva per Vladivostok in tre divisioni suddivise in 2 parallele, in testa vi era Rozestvenskij sulla Suvorov con altre 3 corazzate a seguire altre tre lente corazzate obsolete ed un incrociatore, poi la squadra di Folkersham, la cui morte era stata tenuta nascosta agli equipaggi; in coda Negobatov sulla vetusta corazzata Nicolaj I con tre antidiluviani “guardiacoste” corazzati, aggiuntisi alla flotta in un secondo momento. Più arretratamente erano disposti gli incrociatori con le navi ausiliarie e logistiche.

Alle 11 e 30 dopo che i marinai di ambo le flotte ebbero cambiato abiti e biancheria con altre più pulite, per non infettare le ferite, partì diretto sugli incrociatori nipponici la prima salva russa. Poco dopo il rancio riapparvero all’orizzonte gli incrociatori di Dewa, seguiti dalle cacciatorpediere, diretti sulle navi russe. Rozestvenskij accostò, ma l’Alexander mal-interpretando la manovra fece scompaginare la fila russa su tre colonne. Togo capendo che era in netto anticipo per la manovra a T e constatando che le navi russe, scompaginate, non sarebbero state in grado di effettuare per tempo una contromanovra a T, fece accostare le proprie navi ad alfa. La Suvorov aprì il fuoco senza risultati, mentre le corazzate Mikasa, Shikishima e Fuji si disponevano per dar battaglia alla flotta russa ancora non-allineata. La Mikasa dopo aver aspettato che la Suvorov si avvicinasse rispose al fuoco, la nave giapponese incasso ben 10 colpi da 305 senza danno. Ora i russi che tentavano di ribaltare la T erano ben-consci del fatto che le navi giapponesi erano superiori per velocità e potenza di fuoco, questo perché  l’obice nipponico imprimeva il doppio della forza al proiettile da 305. Il duello si protrae fino alle 14 e 50, ora in cui la Suvorov bersagliata da 4 corazzata e incapace di manovrare tenterà di accodarsi alla Aleksandr, diretta verso la coda della flotta nipponica con le altre navi superstiti.

Corazzata Suvorov

Le navi da battaglia russe navigano, dunque, di nuovo verso Vladivostok, e Togo è costretto a invertire la rotta, perdendo prima il contatto balistico e quindi quello visivo con la flotta russa.

Ma fu tutto inutile, festinamente gli incrociatori giapponesi raggiunsero le navi russe dando inizio ad una mattanza di sovrane dei mari. Silurarono la Suvorov, catturando Rozestvenski, affondarono di poppa la Aleksandr III, muorì anche il comandante Buchvostov, che prima della battaglia aveva brindato alla morte, la Orel bruciava tra le fiamme e l’equipaggio gettava in mare i feriti affinché non muorissero arsi vivi. Ogni singola nave russa miseramente affondava, da ultima la Borodino che scoppiando si trasformava in fuochi artificiali a coronare una disfatta.

Intanto più a sud gli incrociatori giapponesi infierivano sulle navi onerarie lente e disarmante, ma con scarso successo, infatti col sopraggiungere della divisione di Nebogatov le navi giapponesi vennero messe in fuga, con perdite. Per capriccio della sorte al’imbrunire l’unica squadra russa rimasta era quella dei ferri da stiro che ora riuniva attorno a sè i cacciatorpedinieri  e gli incrociatori superstiti.

Comandante Nebogatov

Con gli ultimi raggi radenti del sole le forze di Togo sembrarono ritirarsi e l’ultimo ammiraglio russo innalzò il segnale “seguitemi”. Nebogatov aveva adesso la responsabilità di tutta la flotta, ma con la notte giunsero gli attacchi delle torpediniere giapponesi, che silurarono altre sei unità. Il mattino seguente Nebogatov si rese conto di essere rimasto con sette navi malmesse mentre all’orizzonte  si stagliavo schierate le navi da battaglia giapponesi di Togo. Vedendo ciò Nebogatov fece alzare sulla Nikolaj I il segnale internazionale di resa XHG, pur sapendo di andare in contro alla morte per viltà bellica. Ma non in modo sprovveduto o egoistico comprendeva bene di poter salvare col suo sacrificio gli uomini della ciurma. Togo diffidente continuò a far sparare contro, allora i russi decisero di inalzare il Sol Levante, ma non bastò a fermare l’ammiraglio nipponico in preda ad uno stato di traviamento mentale, finché il capo del suo Stato Maggiore on lo richiamò alla salute mentale rammendadogli il codice del Bushido. Ad arrendersi con Nebogatov furono in tre, invece altri quattro  comandanti tentarono di fuggire finendo affondati. I giapponesi avevano impiegato 31 ore per sbaragliare in modo totale la flotta zarista.

Delle 37 navi russe 22 erano state affondate, 6 si erano fatte internare in porti neutrali, altre 6 si erano arrese e soltanto 3 avevano raggiunto Vladivostok. I morti nella sola battaglia furono 4.505. I Giapponesi, oltre alle navi danneggiate, persero tre torpediniere ed accusarono la perdita di 177 morti e 282 feriti. Togo in visita a Rozestvenskij, ricoverato all’ospedale di Tokyo, ascoltò da lui queste parole: «Dio non mi ha concesso di morire in battaglia» e gli mormorò all’orecchio: «Capisco la vostra amarezza».

Ammiraglio Togo, vincitore della battaglia

Conclusione

É indubbio alla luce dei fatti e a seguito degli avvenimenti futuri che la guerra nippo-russa portò a un cambiamento radicale nel contesto delle potenze mondiali. L’occidedente con la sconfitta russa era stato virtualmente surclassato dall’oriente. E mentre il Giappone del Sol Levante sorgeva la Russia degli zar volgeva al tramonto, a testimoniare ciò fu l’ammutinamento della corazzata Potemkin, i cui membri della ciurma sconvolti anche per il “tradimento” di Tsushima, si unirono alle dimostrazioni degli operai di Odessa e presto ne condivisero motivi e parola d’ordine. Infatti la goccia che fece traboccare il vaso fu il rancio verminoso e la fucilazione dei rimostranti, ciò portò a issare la bandiera rossa e fare rotta su Odessa. La Potemkin (dispregiativamente ribattezzata Panteleimon, ovvero zotico) fu in realtà l’unica nave ad ammutinarsi, infatti essa senza ausilio alcuno sarà costretta a recarsi  sulle coste romene per autoaffondarsi. I 600 uomini dell’equipaggio si dispersero in Romania. I pochi che tornarono in patria per arrendersi vennero trattati con clemenza. Tempo dopo altre rivolte di marinai vi furono a Sebastopoli e a Kronstandt, ma tutto fu soffocato nel sangue.

Gli Stati Uniti e l’Inghilterra intanto per placare gli ardori nipponici e dare una sorta di aiuto ai russi al fine di non creare un crollo a domino delle egemonie europee, costituirono un castello di azioni diplomatiche e propagandarono il concetto che nessuno dovesse calpestare i diritti della Cina, mentre lo Zar, offeso dalle richieste nipponiche, ordinò la mobilitazione in tredici province del suo sterminato impero. Si giunse così a imporre una pace che al Giappone suonò come una grottesca truffa. Quando il popolo insorse, l’Imperatore rivelò con un proclama pubblico, la verità sulla situazione dell’Impero: il Giappone aveva perso 500.000 uomini, la sua economia era in rovina ed il suo debito alle stelle. Il popolo allora capì, tacque, lavorò, attese. Ma non avrebbe mai dimenticato quella pace: Pearl Harbour e Singapore sarebbero stati gli amari frutti raccolti da Stati Uniti e Gran Bretagna.

Chicca storica

Tra le navi giapponesi in azione a Tsushima ve ne erano alcune frutto del genio cantieristico italiano che proprio in quegli anni aveva iniziato a “farsi un nome”. La Kasuga e la Nisshin, due incrociatori corazzati, erano infatti della classe “Garibaldi”, progettata e costruita in Italia dalla Ansaldo di Genova-Sestri a partire dal 1898. Queste navi disponevano di una buona protezione, dislocamento di 7750/7822 t, due torrette con un cannone da 254 mm o due da 203 mm, quattordici cannoni da 152 mm, dieci da 76 mm, sei da 47 mm, due mitragliere Maxim MG e quattro tubi lanciasiluri da 450mm. Gli incrociatori corazzati vennero sviluppati dalla Russia, intorno agli anni Settanta-Ottanta. Ebbero subito un successo travolgente. Concepiti per lunghe crociere corsare, a questo tipo di navi si richiedeva una velocità sufficiente a sfuggire alle corazzate, ma corazzatura ed armamento superiori rispetto a qualsiasi altra nave militare dell’epoca.

 

 

ARTICOLO REDATTO DALL’ALLIEVO CHIARLE EMANUELE DELLA CLASSE V A DEL LICEO CLASSICO