Composizione e Debutto
Il testo de Il Canto degli Italiani (noto anche come Inno di Mameli o Fratelli d’Italia) fu composto il 10 settembre (per Giosuè Carducci l’8 settembre) 1847 dal patriota genovese Goffredo Mameli e, secondo la tesi di Aldo Alessandro Mola, da Anastasio Canata, insegnante di Mameli, che avrebbe scritto l’intera terza strofa.
Mameli, di idee repubblicane e giacobine, per la stesura del brano si ispirò senz’altro a La Marsigliese, inno della Nazione francese, ma anche all’ Inno alla Libertà, inno nazionale greco composto nel 1823, in cui viene citata l’Italia oppressa dal dominio austriaco, e persino al Mazurka di Dąbrowski, canto nazionale della Polonia del 1797.
Nei mesi successivi Mameli mandò la sua composizione a Torino al maestro Michele Novaro, che, colpito profondamente dal testo, decise di musicarlo e di modificare alcune parti: infatti, a Novaro si deve l’aggiunta del “Sì” alla fine della prima strofa e la modifica di “Evviva l’Italia” in “Fratelli d’Italia”. La prima esecuzione pubblica de Il Canto degli Italiani fu a Genova il 10 dicembre 1847, in occasione della rivolta della Repubblica di Genova contro le truppe austro-piemontesi nel 1747, durante la guerra di successione austriaca. Per via della fede negli ideali di Mazzini del suo compositore, l’esecuzione del brano fu immediatamente vietata dalla polizia sabauda (fino al 1848), nonché da quella austriaca; per l’Austria l’esecuzione de Il Canto rimase reato fino al termine del primo conflitto mondiale.
Storia de Il Canto degli Italiani
Benché criticato da Mazzini, Il Canto degli Italiani divenne il canto più diffuso tra i patrioti italiani, diventando un simbolo cardine del Risorgimento Italiano. Infatti, il brano fu più volte cantato durante le cinque giornate di Milano (1848), durante la prima guerra d’indipendenza dai soldati piemontesi, tanto che re Carlo Alberto fu costretto a ritirarne la censura, durante la breve esperienza della Repubblica Romana, dove fu spesso intonato o fischiettato dallo stesso Giuseppe Garibaldi, che lo rese, assieme all’ Inno di Garibaldi, il canto principale della spedizione dei Mille, e persino durante la seconda e la terza guerra d’indipendenza (1859-61 e 1866).
Nonostante l’enorme successo acquisito durante il Risorgimento, a Il Canto fu preferita la Marcia Reale Sabauda come inno del Regno d’Italia: infatti, il brano di Mameli era ritenuto dai conservatori eccessivamente repubblicano e giacobino, mentre dai socialisti e anarchici, al contrario, troppo poco rivoluzionario.
Il Canto riacquistò fama prima durante la guerra italo-turca (1911-12) e poi durante la prima guerra mondiale, di cui fu il canto più eseguito dai soldati dopo La Leggenda del Piave. Durante il ventennio fascista gran parte dei canti risorgimentali subirono una forte censura, che spettò anche a Il Canto degli Italiani, cui fu comunque concessa una certa accondiscendenza in cerimonie particolari.
Durante la seconda guerra mondiale Il Canto tornò, dopo l’armistizio dell’ 8 settembre, ad avere successo sia negli ambienti antifascisti, assieme a canti partigiani, sia tra i repubblichini, tanto che fu erroneamente considerato, assieme a Giovinezza, inno della Repubblica Sociale Italiana.
A conflitto concluso e dopo la nascita della Repubblica Italiana, La Leggenda del Piave fu adottato come inno nazionale provvisorio, mentre i candidati a diventare inno ufficiale erano Il Canto degli Italiani, Va’ Pensiero, Inno di Garibaldi e la stessa Leggenda del Piave.
Cipriano Facchinetti, Ministro della Guerra nel 1946, propose di adottare come inno ufficiale Il Canto degli Italiani, ma fu osteggiato dalla sinistra italiana, che preferiva l’Inno di Garibaldi; e pertanto Il Canto divenne soltanto inno provvisorio, status che mantiene ancora oggi. Il Canto degli Italiani ricominciò ad acquisire importanza durante la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), il quale diede vita ad un’azione di ripristino e valorizzazione dei simboli patri italiani.
Il Testo
Il brano è in tonalità di si bemolle maggiore, ed è composto da cinque strofe, che abbondano di riferimenti all’epoca della Roma Repubblicana e della storia d’Italia, più un ritornello ripetuto alla fine di ogni strofa.
Nella prima strofa viene descritta l’Italia personificata, risvegliatasi dopo secoli e pronta a indossare l’elmo del generale romano Publio Cornelio Scipione l’Africano (cioè combattere contro lo straniero invasore) e la dea latina Vittoria, che per volontà di Dio fu “schiava” di Roma, cioè portò più e più volte lo Stato romano a grandi trionfi. “Le porga la chioma” è un’espressione che fa riferimento all’ usanza delle schiave dei Romani di porgere la loro chioma di capelli al loro padrone perché venisse tagliata; nel testo Mameli invita la dea a essere “schiava” d’Italia così come lo è stata di Roma.
Nella seconda strofa l’autore descrive la debolezza della penisola italiana, ossia la divisione in molti Stati, e auspica l’unione di essi sotto un’unica bandiera.
La terza strofa abbonda di riferimenti agli ideali mazziniani: infatti, in essa Mameli, ispirandosi ai motti di Mazzini “Dio e popolo” e “Unione, forza e libertà”, esorta gli Italiani ad essere uniti e a combattere per la libertà, obbedendo alla volontà divina.
Nella quarta strofa vengono citati diversi momenti della secolare lotta degli Italiani contro il dominatore straniero: dapprima si parla della battaglia di Legnago (1176), in cui la Lega Lombarda trionfò sull’imperatore Federico I Barbarossa; poi il soggetto diventa Francesco Ferruccio, condottiero che difese la Repubblica di Firenze da Carlo V d’Asburgo, ma che venne sconfitto dalle truppe imperiali nella battaglia di Gavinana (1530) e in seguito giustiziato; viene anche citato Balilla, il fanciullo che al grido di “Che l’inse?” diede inizio alla rivolta genovese contro le truppe austro-piemontesi durante la guerra di successione austriaca (1747); infine, si fa anche accenno ai Vespri Siciliani insurrezione di Palermo del 1282, che portò alla cacciata degli angioini dalla Sicilia.
Nella quinta strofa viene attaccato direttamente l’Impero Austriaco, nemesi d’Italia, che assieme alla Russia è anche colpevole di aver sottomesso la Polonia e represso ogni sua aspirazione alla libertà.
Giovanni Ploner – 4A
Fratelli d’Italia,
l’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
s’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò!
Noi fummo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo,
perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò!
Uniamoci, amiamoci,
l’unione e l’amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio:
uniti, per Dio,
chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò!
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò!
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò!
Sì
Il vero titolo dell’Inno di Mameli, conosciuto anche come l’Inno d’Italia, è in realtàCanto degl’Italiani. Questo testo musicato è l’inno nazionale d’Italia dall’ottobre 1946. L’Inno d’Italia però è stato scritto nel 1847, un secolo prima, dallo studente e patriota genoveseGoffredo Mameli e musicato nello stesso anno a Torino daMichele Navarro, genovese anche lui. IlCanto degl’Italianiè stato composto a Genova in occasione dei moti popolari, in un clima di fervore patriottico. Scopriamo insieme l’Inno di Mameli, il testo e il significato dell’Inno d’Italia.
L’Inno di Mameli è caratterizzato da un linguaggio arcaico ed è ricco di richiami al nostro passato, dall’Impero Romano ai Vespri Siciliani. Queste sei strofe di otto senari piani e sdruccioli hanno un ritmo davvero incalzante. Vi troviamo un ritornello di due settenari rimati e un senario tronco che rima con l’ultimo verso di ciascuna strofa. L’impeto magniloquente del testo va ricondotto all’intenso fervore patriottico del tempo e all’entusiasmo del giovane ventenne, animato da spirito
rivoluzionario di libertà dall’oppressore straniero.
Il testo dell’Inno di Mameli
Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta, Dell’elmo di Scipio S’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma, Ché schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Noi siamo da secoli Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo, Perché siam divisi. Raccolgaci un’unica Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme Già l’ora suonò. Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte L’Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore Rivelano ai Popoli Le vie del Signore; Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può? Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte L’Italia chiamò.
Dall’Alpi a Sicilia Dovunque è Legnano, Ogn’uom di Ferruccio Ha il core, ha la mano, I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò. Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte L’Italia chiamò.
Son giunchi che piegano Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco, Bevé, col cosacco, Ma il cor le bruciò. Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Parafrasi dell’Inno d’Italia
Fratelli italiani, compatrioti, l’Italia si è svegliata; si è posta sul capo l’elmo di
Scipione l’Africano. Dov’è la Vittoria? Ceda all’Italia la sua chioma (i Romani usavano tagliare i capelli agli schiavi), giacché Dio l’ha fatta schiava di Roma. Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Da secoli noi veniamo calpestati e derisi, perché non siamo uniti in un solo popolo, perché siamo divisi. Ci raccolga un’unica bandiera, una sola speranza: è giunto il tempo che ci fondiamo in un’unità. Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Uniamoci, amiamoci; l’unione e l’amore rivelano ai popoli le strade del
Signore. Giuriamo di liberare la terra in cui siamo nati: uniti, grazie a Dio, chi potrà sconfiggerci? Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Dalle Alpi alla Sicilia, su tutto il territorio da nord a sud, ogni luogo è Legnano (dove nel 1176 i comuni lombardi sconfissero Federico I Barbarossa); ognuno di noi ha il coraggio e il valore di Francesco Ferrucci (un eroico difensore della Repubblica di Firenze); i bambini italiani si chiamano Balilla (soprannome di Giovan Battista Perasso, il giovane che a Genova diede l’inizio alla sollevazione contro gli Austriaci); tutte le campane suonarono i Vespri (1282, i Vespri Siciliani, il movimento popolare che scoppiò a Palermo contro il dominio francese). Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana), siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati.
Le spade dei mercenari diventano fragili come giunchi che si piegano; già l’Aquila (simbolo araldico dell’Austria imperiale) ha perso le sue penne, è indebolita. Ha bevuto, con i suoi alleati cosacchi, il sangue italiano (guerre di successione tra il 1700 e il 1748) e quello polacco (si riferisce allo smembramento della Polonia tra il 1772 e il 1795), ma le hanno bruciato il cuore, la situazione le si è rivoltata contro. Teniamoci stretti e vicini (la coorte era la decima parte della legione romana),
siamo pronti a morire, l’Italia ci ha chiamati. Inno di Mameli, significato
L’Inno di Mameli ripercorre alcuni degli episodi salienti della storia del nostro paese. Grande attenzione viene posta sul passato dell’Impero Romano, esempio di onore e grandezza. Tanti i richiami metaforici alle gesta eroiche e valorose degli antichi romani, e anche il linguaggio richiama alla guerra, all’esercito, alle unità di combattimento tipiche delle legioni romane.
Il tema principale è il forte desiderio di ribellarsi all’oppressore straniero e raccogliersi sotto un’unica bandiera, creare uno stato unico: nel 1848 l’Italia era ancora divisa in sette Stati (Regno delle due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma,
Ducato di Modena).
E ancora tanti i riferimenti alle lotte e le battaglie per la libertà: la battaglia di Legnano, del 1176, durante la quale la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse l’imperatore Federico I di Svevia, il Barbarossa; l’eroica difesa della Repubblica di Firenze che tra il 12 ottobre del 1529 e il 12 agosto del 1530 venne assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo; la rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese guidata nel 1746 dal leggendario Giambattista Perasso, detto Balilla; l’insurrezione della Sicilia contro il dominio angioino in quelli che furono i Vespri Siciliani.
Goffredo Mameli era repubblicano, mazziniano, giacobino, e sostenitore del motto nato dalla Rivoluzione francese Liberté, Égalité, Fraternité. Forte l’ispirazione, nella composizione del testo, all’inno nazionale francese, La Marsigliese: ad esempio, «Stringiamci a coorte» richiama il verso della Marsigliese, «Formez vos bataillon»
(“Formate i vostri battaglioni”). L’Inno di Mameli è ufficiale?
Gli inni patriottici come l’Inno di Mameliebbero un ruolo fondamentale nella propaganda degli ideali del Risorgimento, perincitare la popolazione all’insurrezione.
L’Inno di Mamelifu ampiamente diffuso nei moti del 1848 e anche durante
la spedizione dei Mille nel 1860, ma dopo l’unità d’Italia nel 1861 come inno nazionale fu scelta la Marcia Reale (1831): il Canto degli Italiani era caratterizzato da una decisa impronta repubblicana e giacobina e non si combinava con l’epilogo del Risorgimento, di matrice monarchica.
L’Inno di Mameli divenne l’Inno d’Italia soltanto nel 1946 su proposta del ministro della Guerra Cipriano Facchinetti, che lo suggerì come inno provvisorio. Ebbene, sembra che l’inno sia rimasto provvisorio fino ai giorni nostri. Sono recentissimi infatti gli eventi che lo vedono di nuovo protagonista: il 29 giugno 2016 è stata presentata alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati una proposta di legge per rendere il Canto degli Italiani inno ufficiale della Repubblica Italiana.
La proposta è stata approvata il 25 ottobre 2017, e il 27 ottobre, il disegno di
legge è passato all’omologa commissione del Senato della Repubblica. Il 15 novembre 2017 il disegno di legge che riconosce il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e di Michele Novaro quale inno nazionale della Repubblica Italiana è stato approvato in via definita dalla Commissione Affari costituzionali del Senato. L’iter si è concluso definitivamente il 15 dicembre 2017.
Per approfondire l’argomento potete leggere L’ Italia s’è desta. La vera storia dell’inno di Mameli e del tricolore, AA.VV., Cairo Publishing.
Inno d’Italia: due curiosità
In origine, nella prima versione dell’inno, era presente un’ulteriore strofa interamente dedicata alle donne italiane: “Tessete o fanciulle / bandiere e coccarde / fan l’alme gagliarde / l’invito d’amor”. Venne eliminata dallo stesso
Mameli.
Nella versione originaria dell’inno, il primo verso della prima strofa recitava «Evviva l’Italia», ma Michele Novaro lo modificò in «Fratelli d’Italia».
Inno di Mameli, testo e significato
Veniamo ora al significato del testo dell’Inno di Mameli. Per la spiegazione ci siamo fatti aiutare dal sito del Quirinale, sede del presidente della Repubblica che attualmente è
Sergio Mattarella.
“Fratelli d’Italia L’Italia s’è desta, Dell’elmo di Scipio S’è cinta la testa” Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma, Ché schiava di Roma Iddio la creò”
–> “L’elmo di Scipio”
Di cultura classica, Mameli ricorda Scipione l’Africano, il generale romano che nel 202 avanti Cristo sconfisse a Zama (l’attuale Algeria) il cartaginese Annibale.
–> “Le porga la chioma”
La Vittoria sarà di Roma, cioè dell’Italia. Nell’antica Roma, alle schiave venivano tagliati i capelli, e così la Vittoria (“schiava”) dovrà porgere la sua chioma perché sia tagliata.
(RITORNELLO)
“Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò”
–> “Coorte”
Si tratta di un richiamo alle armi, all’essere pronti a morire per un ideale (come Mameli, del resto): la coorte, infatti, era la decima parte della legione romana.
“Noi siamo da secoli Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo, Perché siam divisi. Raccolgaci un’unica Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò”
(RIT)
–> “Raccolgaci”
Nella lingua di Mameli, ottocentesca, significa “ci tenga uniti”.
–> “Bandiera, una speme”
Un’unica bandiera, una speranza per l’Italia, all’epoca ancora divisa in sette Stati.
–> “Fonderci insieme”
Anche questo è un richiamo all’unità nazionale
“Uniamoci, amiamoci, l’unione, e l’amore Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?”
(RIT)
–> “Per Dio”
Un francesismo, non un’imprecazione, che significa “attraverso Dio”.
“Dall’Alpi a Sicilia Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio Ha il core, ha la mano, I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla I Vespri suonò” (RIT)
–> “Legnano”
Ogni città italiana è come Legnano, dove nel 1176 i comuni lombardi sconfissero l’imperatore Federico Barbarossa.
–> “Ferruccio”
Ancora un riferimento al dominio straniero: l’uomo citato è Francesco Ferrucci, che nel
1530 difese Firenze dall’imperatore Carlo V.
–> “Balilla”
Figura che rappresenta il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese.
–> “Ogni squilla”
Ogni campana, che chiamò i siciliani alla rivolta (vedi sotto).
–> “I Vespri”
Nel 1282 i siciliani si ribellano ai francesi invasori: una rivolta ribattezzata Vespri siciliani.
“Son giunchi che piegano Le spade vendute:
Già l’aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia, Il sangue polacco, Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò” (RIT)
–> “L’Aquila d’Austria”
L’Austria era in declino (le “spade vendute” sono le truppe di mercenari, deboli
come “giunchi”) e Mameli lo sottolinea dicendo che l’aquila, simbolo austriaco, perde “le penne”.
–> “Il sangue polacco”
Altro riferimento all’Austria che, alleata con la Russia (il “cosacco”), ha diviso e smembrato la Polonia, ma il sangue bevuto avvelenerà il loro cuore.
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