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IL LINGUAGGIO DEL CORPO

http://www.linguaggiodelcorpo.it/linguaggio-del-corpo/


 

https://portalebambini.it/comunicazione-non-verbale/


http://www.archivio.formazione.unimib.it/DATA/Insegnamenti/2_423/materiale/5_comnonverbale_2p.pdf



 

C.N.V.

La comunicazione non verbale o gestuale comprende il linguaggio del tono muscolare, la mimica facciale e dello sguardo, l’insieme dei movimenti, delle posture e degli atteggiamenti sia del solo capo che di tutto il corpo, e l’uso dello spazio personale e del territorio nel rapporto interindividuale.

il gesto è una modalità di comunicazione he trasmette significati personali (sentimenti,emozioni e pensieri) come il linguaggio verbale, da cui differisce perché si rivela meno controllabile razionalmente ed è molto più influenzato dalla sfera dell’inconscio.

Tutti i nostri gesti,siano involontari, spontanei, oppure volontari, esprimono l’interiorità dell’individuo che li compie, anche se spesso egli non ne è del tutto consapevole.

Molti movimenti involontari, come i tic, e gli stessi atti mancati, tutti spesso difficili da interpretare, sono in realtà carichi di significatività. Noi compiamo molti gesti la cui intenzione ci sfugge, perché essi vengono compiuti senza un atto intenzionale.

 

I movimenti volontari manifestano l’energia e la voglia di vivere della persona(strette di mano vigorose, pacche sulla spalla), la sua sicurezza (andatura sostenuta ed eretta), i suoi timori (movimenti impacciati, andatura lenta), o la sua aggressività (invasione dello spazio personale altrui). Pertanto anche i movimenti volontari offrono una chiave di lettura della vitalità di chi li compie, perché con essi l’individuo può dimostrarsi debole od energico, indeciso o risoluto, dipendente dagli altri o autonomo.

Molti studiosi hanno compiuto un’attenta analisi del significato nascosto dei nostri gesti , In particolare Hall ha compiuto numerose ricerche sul “comportamento rossiccio”, ossia sul simbolismo dello spazio personale. Egli ha scoperto che le persone che mantengono a distanza gli altri, evitando accuratamente il contatto corporeo, dimostrano di rifiutarli inconsciamente e di essere spinti a difendersi da ogni intromissione di altre persone nella propria intimità. Le persone che si avvicinano spazialmente agli altri, annullando le barriere, denotano con tale comportamento il bisogno di ricercare appoggio e calore dagli altri e scarsa diffidenza.

Secondo Fast i leaders di un gruppo rispetto ai gregari, presentano raramente movimenti dispersivi del corpo, non tamburellano con le dita, non si grattano la testa, ma compiono soltanto movimenti essenziali. Per Hubert è possibile “leggere” e interpretare il movimento, in quanto linguaggio che si estrinseca graficamente nello spazio. I movimenti tendenti verso l’alto sarebbero motivati dal desiderio, dall’aspirazione al superamento; la proiezione all’indietro manifesterebbe angoscia, timore, autodifesa; le posizioni di ripiegamento su se stessi (la cosiddetta “posizione fetale” che alcuni assumono dormendo) dimostrerebbero un bisogno regressivo, un ritorno a fasi precedenti dello sviluppo; i movimenti ampi, dilatati sono invece determinati dall’esteriorizzazione, dalla gioia, dal bisogno di esprimersi e manifestarsi al mondo; i movimenti in avanti sono una forma di donazione, di altruismo.


La comunicazione non verbale C.N.V. – l’insieme dei segnali lanciati dal corpo – è da sempre oggetto di attenzione perché ritenuta un’inesauribile fonte di informazioni sul comportamento e sulle intenzioni altrui. Va precisato infatti che, rispetto alle semplici parole, la comunicazione non verbale è più rapida, meno consapevole e meno controllabile e regolabile, perché innata e non mediata dai filtri razionali del pensiero. Questi aspetti la rendono elemento di imprescindibile importanza nelle interazioni, dal momento che è stato dimostrato che essa interviene per la quasi totalità nel processo mediante il quale si formano le prime impressioni sugli altri.

Inoltre, dei famosi esperimenti operati da Albert Mehrabian nel 1972 presso l’UCLA dimostrano che, osservando il flusso delle interazioni quotidiane con gli altri, esse risultano composte da:

 

  • comunicazione non verbale, con un’incidenza del 55% sulla trasmissione del messaggio;
  • comunicazione paraverbale (es., tono, velocità, timbro, volume della voce), con un’incidenza del 38%;
  • comunicazione verbale, con un incidenza del solo 7%.

 


Tutti gli organismi viventi a noi noti comunicano esclusivamente con mezzi non verbali, fatta eccezione per alcuni membri della specie Homo sapiens, che sono in grado di comunicare, simultaneamente o a turno, con mezzi non verbali e con mezzi verbali.

L’espressione “con mezzi verbali” equivale a locuzioni come “per mezzo della parola”, o “per mezzo della scrittura”, o ancora “per mezzo di un linguaggio di segni” (come quello usato, ad es., da un gruppo di sordomuti). Ognuno di questi è una manifestazione particolare di un linguaggio naturale di base di cui è dotato ogni singolo essere umano. Tuttavia, non tutti gli umani sono alfabetizzati o sono in grado di parlare: nei bambini, di solito, la capacità di parlare si sviluppa solo progressivamente; alcuni adulti non acquisiscono mai la parola, e altri la perdono in seguito a un trauma (ad. es. un colpo apoplettico) o come conseguenza dell’invecchiamento. Nonostante queste limitazioni, gli umani privi della capacità di verbalizzazione -cioè incapaci di parlare, scrivere o esprimersi a gesti- possono, di norma, continuare a comunicare con mezzi non verbali.

Per cominciare, forse può giovare un’annotazione terminologica: a volte, nel parlare comune, la parola “linguaggio” è utilizzata in modo improprio per designare certe strategie comunicative non verbali. Quest’accezione potrebbe essere fonte di confusione nel presente testo, dove la parola “linguaggio”, semmai, dovrebbe essere impiegata solo nel suo senso tecnico, cioè in riferimento agli esseri umani. Gli usi metaforici come “linguaggio del corpo”, “linguaggio dei fiori”, “linguaggio delle api”, “linguaggio delle scimmie” e simili sono da evitare.

La comunicazione non verbale avviene all’interno di un organismo oppure fra due o più organismi. All’interno di un organismo, i partecipanti all’atto comunicativo -siano essi fonti del messaggio, destinatari o entrambi- possono comprendere, a livelli di integrazione sempre più alti, gli organelli subcellulari, le cellule, i tessuti, gli organi e gli apparati. Inoltre, a livello non verbale, nel milieu intérieur avvengono processi fondamentali per l’intera struttura biologica, come la sintesi proteica, il metabolismo, l’attività ormonale, la trasmissione degli impulsi nervosi, e via dicendo. La comunicazione, a questo livello, in genere viene studiata (fra le altre scienze) dalle branche della biosemiotica denominate protosemiotica, microsemiotica, citosemiotica, o, nella sua globalità, dall’endosemiotica.

La comunicazione interna ha luogo per mezzo di operazioni segniche, o semiosi, di natura chimica, termica, meccanica ed elettrica, che comportano un traffico incredibilmente intenso. Se prendiamo, ad esempio, un singolo corpo umano, che è composto approssimativamente da 25 milioni di miliardi di cellule, vale a dire circa duemila volte la popolazione terrestre, e consideriamo che tutte queste cellule sono, direttamente o indirettamente, collegate l’una all’altra tramite messaggi trasmessi da segni in modalità diverse, la densità di questi scambi è di per sé impressionante. Noi ne conosciamo solo una piccolissima parte, e riusciamo a comprenderne ancor meno. I messaggi interni contengono informazioni sul significato che uno schema somatico possiede in rapporto a tutti gli altri, in rapporto ad ogni griglia di controllo generale (ad es. il sistema immunitario), e in rapporto all’intero circuito integrato regolatore, in special modo al cervello.

Le forme più primitive di comunicazione interorganica nella biosfera si osservano nei procarioti, esseri per lo più unicellulari, prive di nucleo, comunemente noti come batteri. Negli ultimi vent’anni sono state individuate tre forme di associazione batterica: nuclei localizzati, un unico superorganismo, e in interazione con gli eucarioti (le forme di vita più familiari, costituite da cellule il cui nucleo è avvolto in una membrana; fra queste spiccano gli animali e le piante, ma ve ne sono anche molte altre). Nuclei localizzati molto complessi si trovano ovunque sulla terra: ci sono i batteri intestinali, i batteri della placca dentale, tappeti di batteri, ecc. Naturalmente la popolazione batterica è molto numerosa sia nei terreni sia nel limo sul fondo degli specchi d’acqua. Questi nuclei attingono continuamente informazioni relative a particolari circostanze, specie per quel che riguarda lo scambio di informazioni genetiche. Un eminente batteriologo ha osservato che, in questo modo, un nucleo batterico localizzato può sviluppare sofisticate strategie comunicative di sopravvivenza, che gli permettono, per un certo periodo di tempo, di funzionare come un unico organismo multicellulare.

Importante: tutti i batteri presenti sulla terra hanno il potere di agire di concerto, cioè come un’aggregazione planetaria illimitata, una sorta di enorme rete comunicativa biologica, un internet, se vogliamo. Questo insieme è stato definito come un superorganismo che possiede più informazioni di base del cervello di qualsiasi mammifero, e le cui innumerevoli parti sono in grado di trasferire e di condividere informazioni allo scopo di adeguarsi ad ogni possibile circostanza.

Il superorganismo batterico ha creato le condizioni ambientali favorevoli per lo sviluppo di una forma di vita completamente diversa: l’eucariote. I batteri sfruttavano gli eucarioti come loro habitat oltre ad usarli come veicoli atti a favorire la loro propria dispersione. Gli eucarioti, infatti, si sono evoluti in seguito a una successione di associazioni intracellulari molto strette fra procarioti. I biologi chiamano questo genere di associazioni “simbiosi”; tuttavia, in quanto dipendono da diversi processi comunicativi non verbali, possiamo definirle, più in generale, come forme di semiosi biologica. Le prime biosemiosi fra entità batteriche risalgono a più di un miliardo d’anni fa e sono pertanto l’origine di ogni forma di comunicazione.

Quanto a forma e varietà di scambi comunicativi, gli animali sono i più eterogenei fra gli esseri viventi: si ritiene che esistano da tre a trenta milioni di specie animali e, dato che il comportamento di ogni specie differisce da quello di tutte le altre -e la maggior parte è comunque scarsamente conosciuta- risulta evidente che è possibile fare solo qualche considerazione generale in merito.

Gli animali comunicano attraverso vari canali, o combinazioni di “media”. Infatti, ogni forma di propagazione dell’energia può essere sfruttata allo scopo di trasmettere messaggi. Ne risultano diramazioni complicate, che qui potremo solo sfiorare. Una serie di esempi può venirci dal campo degli eventi acustici: poiché l’emissione del suono e la sua ricezione sono onnipresenti nella comunicazione umana, potremmo sorprenderci di quanto il suono sia raro nel più ampio sistema dell’universo biologico. In realtà, la stragrande maggioranza degli animali è sorda e cieca; il vero e proprio udito, così come l’emissione funzionale di suoni, è prevalente -ma niente affatto universale- solo nei due phyla più evoluti: gli artropodi invertebrati e i cordati vertebrati (di cui facciamo parte anche noi). Fra i primi troviamo gli insetti, il cui numero supera di gran lunga il resto della popolazione animale. Negli insetti, il suono è diffuso soprattutto negli ortotteri, fra cui troviamo le cavallette, specialmente le cavallette verdi, le mantidi, le blatte e le cicale: appartenenti all’ordine degli omotteri, queste ultime possiedono il meccanismo di produzione sonora più complesso fra gli artropodi, e sono provviste, sulla parte anteriore dell’addome, di organi dell’udito molto sviluppati. Fra i coleotteri troviamo molti tipi di rumore: al contrario, l’uso del suono è piuttosto raro fra gli aracnidi, a cui appartengono le zecche, gli acari, gli scorpioni e i ragni.

Proseguendo con i vertebrati, diventa utile distinguere non solo fra comunicazione verbale e non verbale, ma anche fra comunicazione vocale e non vocale, e introdurre ulteriori discriminazioni con l’avvento degli utensili. Il meccanismo vocale funzionante per mezzo di una corrente d’aria che passa sulle corde vocali, ponendole in vibrazione, sembra appartenere esclusivamente a noi esseri umani e, pur con qualche differenza, ai nostri parenti più stretti, gli altri mammiferi, nonché agli uccelli (dotati di siringe), ai rettili e agli anfibi; sebbene anche alcuni pesci si servano di “strumenti a fiato”, questi sono privi dell’ “ancia” costituita dalle nostre corde vocali. Per quanto ne sappiamo, non si riscontrano autentiche manifestazioni vocali al di fuori dei vertebrati terrestri e dei loro discendenti marini (ad es. le balene).

Gli esseri umani comunicano attraverso molti canali, solo uno dei quali è quello acustico. Nella nostra specie, la comunicazione acustica può essere verbale e vocale, il che, ovviamente, avviene spesso quando parliamo. Tuttavia, i cosiddetti linguaggi di segni alternativi, elaborati da emittenti e riceventi per comunicare in circostanze particolari o in periodi in cui il parlare è proibito o ostacolato da determinate condizioni, sono in genere verbali, ma non vocali. In questa categoria vanno i linguaggi di segni degli Indiani del Nordamerica e del Sudamerica e quelli degli Aborigeni australiani, i sistemi di comunicazione monastici praticati dove vige la regola del silenzio, certi linguaggi di segni professionali o artistici come quelli del teatro di pantomima o di alcune varietà di balletto. I gesti non accompagnati dalla voce possono essere anche deliberatamente scelti e preferiti alla parola, quando c’è un’esigenza di segretezza: ad esempio nel baseball, quando un ricevitore vuole tenere il battitore all’oscuro sul tipo di lancio successivo; oppure se un criminale intende nascondere certi messaggi ai testimoni. Più complessi sono i linguaggi segreti di segni utilizzati dai culti religiosi o dalle società segrete, in cui determinati codici rituali hanno lo scopo di gestire relazioni sociali problematiche fra “insiders” da un parte, e “outsiders” dall’altra.

La comunicazione acustica, negli esseri umani, può essere inoltre somatica o “strumentale” [artifactual]. Un buon esempio è il confronto fra il cantare a bocca chiusa o il fischiettare, che si ottengono solo con il corpo, e il “tam-tam” -i segnali dati con i tamburi- che richiede invece un qualche strumento a percussione o almeno un tronco d’albero. A volte i messaggi acustici non verbali -con o senza parola- vengono trasmessi “a distanza”: da dietro una maschera, tramite figure inanimate come pupazzi o marionette, o altri oggetti usati negli spettacoli. Anche la comunicazione acustica somatica può essere vocale (un grido di paura) o non vocale (schioccare le dita per convocare un cameriere). Inoltre, in tutte le comunità di esseri umani a noi note, la comunicazione non verbale, nel canale acustico, è stata abilmente elaborata in un’ampia varietà di produzioni musicali, che possono essere accompagnate da un testo verbale (come nelle canzoni) o cantilenate senza parole, oppure realizzate da ogni sorta di strumento musicale, o ancora inserite in un prodotto artistico enormemente complesso e multidimensionale come l’opera. Così, mentre l’ouverture dal Don Giovanni di Mozart è un puro allegro di sonata, l’incantevole duetto fra Don Giovanni e Zerlina, “Là ci darem la mano” (Atto I, Scena 7), che viene immediatamente dopo un recitativo secco (cioè esclusivamente verbale), introduce una melodia a voce sola e poi due voci che s’intrecciano, per culminare in un gesto di contatto fisico e nell’uscita di scena saltellante, a ritmo di danza (tempo di 6/8). Essendo l’opera la forma d’arte sincretica per eccellenza, il codice musicale di Mozart, accompagnato dal libretto di Lorenzo da Ponte, in questa scena è rafforzato da una schiera di altri codici artistici non verbali, fra cui il mimo, la scenografia, la messa in scena, i costumi e le luci (ma anche, nella stessa opera, la danza, l’arte culinaria e persino la statuaria).

Una struttura artistica forse un po’ meno complicata, ma analogamente fusa, è quella del film sonoro. Quest’ultimo attinge almeno a quattro codici, uno visuale e tre auditivi: il linguaggio, la musica e gli effetti sonori. Un altro esempio di fusione artistica sono i numeri acrobatici del circo, che si realizzano attraverso almeno cinque codici: l’atteggiamento dinamico dell’artista, il suo comportamento sociale, i costumi e gli altri accessori, il commento verbale e l’accompagnamento musicale. Alla sbalorditiva complessità dei messaggi provenienti dalle rappresentazioni teatrali (la frase di Amleto: “.accordate l’azione alla parola, la parola all’azione” non è che un modesto inizio) qui possiamo solo accennare.

Un’altra interessante forma di comunicazione non verbale avviene durante la direzione d’orchestra, che possiamo definire come segue: ricavare da un’orchestra, con un minimo di gesti coreografici il più possibile appropriati, il massimo risultato acustico. In un contesto pubblico, il direttore è in contatto non solo con i membri dell’orchestra, ma anche con gli spettatori che assistono al concerto. I gesti modellati da tutti gli apparati superiori del corpo -le mani, le braccia, le spalle, la testa, gli occhi- vengono decodificati dagli spettatori attraverso il canale visivo e trasformati dagli esecutori in suono, il quale viene poi restituito al pubblico (i direttori di opere spesso seguono le parole con le labbra). Come ha scritto recentemente il celebre pianista Charles Rosen: “Per tutti noi la musica è tanto gesto fisico quanto è suono, e la sua originaria parentela con la danza non si perde mai completamente.”

I vantaggi funzionali dei diversi canali di comunicazione non sono mai stati analizzati a fondo, tuttavia è possibile fare alcune affermazioni sulla comunicazione acustica, che, a parità di condizioni, valgono per gli animali, compreso l’uomo. Un chiaro svantaggio è che il suono ha carattere transitorio, a differenza, poniamo, dei feromoni, messaggeri chimici che tendono a durare nel tempo. Per contrastare tale transitorietà, gli esseri umani hanno finito per ricorrere alla scrittura e, più di recente, hanno introdotto ogni sorta di apparecchio per la registrazione del suono. Questo apparente difetto, però, può essere compensato dai numerosi vantaggi che il suono ha sugli altri mezzi di comunicazione: tanto per cominciare, il suono è indipendente dalla luce, e può quindi essere usato di giorno come di notte. In secondo luogo, il suono riempie tutto lo spazio intorno alla fonte, e non richiede pertanto un collegamento diretto con la destinazione. Inoltre, comporta solo un minimo dispendio di energia. Nella maggior parte degli animali, l’unica fonte sonora è il corpo: di solito non è indispensabile alcuno strumento. Nel caso degli esseri umani, il suono può anche essere modulato in modo da variare da un intimo sussurro a un grido che copre una lunga distanza.

Volendo riassumere ciò che sappiamo sul comportamento acustico dei vertebrati, qui potremo appena scendere sotto la superficie: nei pesci, come negli insetti, la produzione sonora sembra essere un evento sporadico; quasi tutti gli esempi si concentrano nei teleòstei, i quali, come ci insegna Huxley, utilizzano tre diversi metodi: per stridulazione, cioè con lo sfregamento di una parte dura su di un’altra (ad es. digrignando i denti); con l’espulsione di gas (una sorta di respiro); facendo vibrare la vescica natatoria. Alcuni pesci soffiano, come i gatti, alcuni ringhiano, altri grugniscono come i maiali, altri ancora gracidano, “russano” o piagnucolano, alcuni mugghiano, “fanno le fusa”, ronzano o fischiano, uno addirittura vibra come un tamburo. E naturalmente i pesci sono in grado di udire (anche se le loro capacità uditive variano considerevolmente).

La maggior parte degli anfibi non ci sente e raramente emette suoni, al di fuori di un debole squittio, ma le rane e i rospi producono molti rumori, notevolmente diversificati tra loro. I rettili, in generale, hanno un udito migliore rispetto agli anfibi, ma solo pochi emettono suoni (anche se i coccodrilli ruggiscono e grugniscono).

Negli uccelli la significazione avviene per mezzo dell’emissione e della ricezione di suoni, e, più in generale, con le cosiddette esibizioni -schemi motori stereotipati con funzione comunicativa- che comprendono anche movimenti visivi e particolari atteggiamenti del corpo. Gli uccelli producono una enorme varietà di emissioni sonore, da brevi richiami monosillabici a sequenze lunghe e complicate, i canti. Alcuni uccelli possono riprodurre “a pappagallo”, più o meno fedelmente, i rumori presenti nel loro ambiente, imitando quelli di altre specie, anche e soprattutto i suoni del linguaggio umano. I sistemi comunicativi degli uccelli sono stati studiati per molti secoli, e sono talmente eterogenei che qui sarebbe impossibile descriverli adeguatamente. Lo stesso vale per i loro multiformi, spesso sorprendenti, esibizioni -schemi motori stereotipati- fra cui l’esibizione del loro piumaggio a volte spettacolare (ad es. nei pavoni e negli uccelli del paradiso) e le costruzioni (negli uccelli giardinieri).

I mammiferi possiedono organi dell’udito complessi e, più di  tutti gli altri gruppi, fanno affidamento sul senso dell’udito, ma, come molti uccelli, comunicano anche -sebbene sporadicamente- per mezzo di sistemi non vocali: un esempio ben noto è il comportamento del gorilla, che si percuote il petto con i pugni chiusi. L’ecolocazione è quel fenomeno per cui un unico individuo emette e riceve la stessa stringa di suoni: lo si osserva nei pipistrelli e in mammiferi marini, come alcune specie di balene e delfini (la capacità dei ciechi di navigare per mezzo dell’ecolocazione non è mai stata dimostrata). Alcuni vertebrati, fra cui i ratti, i gerbilli e i criceti comunicano nell’ambito di uno spettro sonoro impercettibile per il normale udito umano, per mezzo cioè di richiami ultrasonici (analogamente, il colore più efficace nella società delle api sembra essere l’ultravioletto, uno spettro inaccessibile alla vista umana non coadiuvata da strumenti).

Tutti i carnivori (gatti, cani, iene, ecc.) nonché i primati, incluse le scimmie, che sono i parenti più prossimi dell’uomo, articolano suoni più o meno vigorosi, ma le manifestazioni proprie di queste creature sono tanto ricche e tanto diversificate -si va dagli orangutan, relativamente silenziosi, al “canto” assai vario dei gibboni- che descriverle tutte richiederebbe un trattato a parte. Pertanto, invece di tentare una descrizione che risulterebbe inevitabilmente sommaria, conviene piuttosto insistere che le scimmie, allo stato brado, non comunicano verbalmente e che per giunta -ad onta delle insistenti dichiarazioni dei mezzi d’informazione- persino i più coraggiosi tentativi di indurre una qualche manifestazione di linguaggio naturale nelle scimmie in cattività sono invariabilmente falliti.

I tentativi di impartire determinate abilità paralinguistiche alle scimmie o ad altri animali (come i mammiferi marini in cattività o gli uccelli domestici) sono stati aspramente criticati, poiché si riteneva potessero incappare nel fenomeno -o fallacia- Bravo Hans. Poiché questo fenomeno ha profonde implicazioni per qualsiasi forma di comunicazione uomo-animale (uno fra i possibili sistemi diadici), sarà opportuno farne un breve resoconto. Nella Berlino di fine secolo, si riteneva che uno stallone di nome Hans fosse capace di eseguire operazioni aritmetiche e di compiere prodezze linguistiche altrettanto sorprendenti, come rispondere con segni non verbali a domande che gli venivano poste in forma scritta od orale, “telegrafando” le risposte esatte con il battito dello zoccolo. Successivamente, alcuni test ben congegnati dimostrarono che in realtà il cavallo reagiva a segnali non verbali emessi involontariamente dall’interrogante. Dopo quella dimostrazione di come i segnali involontari possano influenzare gli esperimenti sugli animali, ogni scienziato attento e intelligente ha sempre cercato di eliminare quest’effetto, a volte molto subdolo e persistente.

In seguito si scoprì che esistono due varianti della fallacia Bravo Hans: quella basata sull’autoinganno, in cui caddero il padrone/ammaestratore di Hans e altri che lo interrogarono, e quelle esibizioni -di “cavalli prodigiosi”, “cani parlanti” maiali od oche “istruiti”- basate su veri e propri trucchi messi in atto da prestigiatori o da semplici ciarlatani (di cui si è narrato per molti secoli). Il mondo animale e umano è pieno di segnalazioni non verbali ingannevoli. Negli animali, le forme base di inganno involontario sono dette mimicry. Per mimicry di solito si intende l’emulazione di modelli pericolosi per mezzo di una mimica innocua fatta di segnali visivi o uditivi, o di odori sgradevoli, allo scopo di ingannare i predatori. Negli esseri umani, la comunicazione ingannevole nella vita quotidiana viene studiata dalla psicologia, e, nel mondo dello spettacolo, dai maghi professionisti. Diverse parti del corpo possono denotare mendacità, prese singolarmente o in combinazione: lo sguardo, la dilatazione delle pupille, le lacrime, lo sbattere delle palpebre, l’espressione del viso, il sorriso o l’aspetto corrucciato, i gesti, la postura, la voce, ecc.

Fin qui abbiamo considerato prevalentemente gli eventi acustici, ma ciò non significa che intendiamo trascurare gli altri canali di codifica dei messaggi non verbali: chimico, tattile, elettrico, termico, ecc.. Il canale chimico precede di gran lunga tutti gli altri nella storia dell’evoluzione ed è onnipresente nella totalità degli organismi. La comunicazione batterica avviene esclusivamente per via chimica.

Attraverso il canale chimico, le piante interagiscono con le altre piante, e con segnali ottici -oltre ai soliti canali di contatto- comunicano con gli animali (soprattutto con gli insetti, ma anche con gli esseri umani). Se qui non potremo addentrarci ulteriormente nell’intrico della comunicazione fra piante (la fitosemiosi, in termini tecnici), accenneremo almeno a due aree d’interessi collegate: quel gradevole artificio semiotico minore che è la composizione floreale, nonché il vasto dominio del giardino, una delle più importanti costruzioni semiosiche non verbali. I giardini classici, quelli paesaggistici, gli orti, i giardini d’acque, i giardini di coralli, i giardini Zen, sono tutti notevoli congegni non verbali, coltivati in modo diverso dalle Trobriand di Malinowski fino al tradizionale kare sansui giapponese (giardino secco), ai paesi islamici, alla Cina, e soprattutto alla Francia e alla Gran Bretagna.

L’odore (esalazione, fragranza, profumo, aroma) è utilizzato a scopi comunicativi ed è decisivo ad es. negli squali e nei porcospini, fra gli insetti sociali come le api, le termiti e le formiche, e in mammiferi sociali come i lupi e i leoni, ed è invece meno importante negli uccelli e nei primati, che dipendono in larga misura dalla vista. Nelle società moderne, l’odore viene apertamente commercializzato nella manipolazione olfattiva dei cibi e dei prodotti di toeletta, che interessa l’odore sgradevole del corpo e dei prodotti dell’industria del tabacco. I profumi sono spesso associati all’amore e all’energia sessuale.

Il corpo stesso può essere un mezzo primario di comunicazione verbale e non verbale. A proposito degli animali, è risaputo che i cani e i gatti esibiscono il corpo in atteggiamenti di sottomissione e di intimidazione, come nelle famose immagini del libro di Darwin sull’Espressione delle emozioni, nelle figure 5-8 (cani) e 9-10 (gatti). La Field Guide di Desmond Morris e le foto raccolte da Weldon Kees contengono molti esempi suggestivi di come il corpo umano entra in gioco abitualmente. Il wrestling professionale è una forma di intrattenimento popolare camuffato da sport che presenta due corpi o un gruppo di corpi che si contorcono, gemono e grugniscono, fingendo, quasi come in un dramma allegorico, di gareggiare per la vittoria del bene sul male, nella misura in cui i giocatori interagiscono l’uno con l’altro ma, più sottilmente, comunicano dal vivo con un pubbico. Questo genere di performance differisce dagli incontri regolari, come quelli di boxe e di wrestling universitario, in quanto non vi sono quasi mai dubbi sul risultato della gara.

La danza è una sofisticata forma d’arte in grado di esprimere pensieri e sentimenti umani attraverso il corpo inteso come strumento, in diversi generi e culture. Uno di questi generi è il balletto occidentale, che si mescola a dialoghi gestuali delle mani e delle membra e a fluidi movimenti del corpo, nonché a una schiera di altri protocolli non verbali che rimandano l’uno all’altro: la musica, i costumi, le luci, le maschere, la scenografia, le parrucche, ecc. La danza e la musica di solito accompagnano le pantomime o gli spettacoli muti. I clown muti o i mimi integrano i movimenti del corpo con un adeguato make-up e con i costumi.

Le espressioni del viso, il broncio, la smorfia, inarcare le sopracciglia, il pianto, aprire le narici, costituiscono un sistema di comunicazione potente e universale, prese separatamente o insieme. L’attività degli occhi, come guardare e scambiare sguardi, può rivelarsi particolarmente efficace per comprendere una serie di comportamenti sociali nei vertebrati e negli esseri umani. Sebbene i riflessi pupillari siano stati studiati fin dall’antichità, solo negli ultimi vent’anni tali studi si sono evoluti in un campo di ricerca molto vasto denominato pupillometria. Per i domatori di animali da circo è sempre esistita una tacita regola che prescrive di sorvegliare con attenzione i movimenti pupillari degli animali a loro affidati, ad esempio delle tigri, per stabilire con certezza le loro alterazioni d’umore. Gli orsi, al contrario delle tigri, si dice siano “imprevedibili”, e quindi pericolosi, proprio perché la loro pupilla non è un indicatore, e anche perché il loro muso inelastico è incapace di “telegrafarci” un imminente attacco. In effetti, nelle relazioni interpersonali fra coppie di esseri umani, la dilatazione delle pupille costituisce spesso un segnale non intenzionale diretto all’altra persona (o ad un oggetto) che denota un interesse intenso, spesso carico di sfumature sessuali.

Numerosi e ponderosi sono i dizionari, i glossari, i manuali e la raccolte di documenti che tentano di spiegare e di illustrare la forma e il significato di marchi, emblemi, insegne, segnali, simboli e altri segni (in senso letterale e tangibile), fra cui quelli atti a fissare la parola, come i caratteri e i segni di interpunzione, i segni numerici, i simboli fonetici, le firme, le marche, i logo, le filigrane, i disegni araldici, i segni astrologici, i simboli alchemici, cabalistici e magici, i talismani, i simboli tecnici e scientifici (come quelli della chimica), i pittogrammi e altre immagini simili, molte delle quali largamente impiegate nella pubblicità. I segnali regolatori (VIETATO FUMARE), i segnali direzionali disseminati negli aeroporti (CONTROLLO PASSAPORTI, UOMINI, DONNE) o negli ospedali (PEDIATRIA), i segnali stradali internazionali (DIVIETO DI TRANSITO) sono di solito accompagnati da icone, accorgimento dettato dalla necessità di comunicare al di là delle barriere linguistiche o di determinati deficit fisici o handicap.

Le labirintiche ramificazioni della comunicazione ottica nel regno animale e nella specie umana sono pressoché illimitate e necessiterebbero di una trattazione separata. Fin dall’epoca preistorica, scienze come l’astronomia e le arti visive si sono sviluppate, com’è naturale, prevalentemente attraverso il canale ottico. Le alterazioni del corpo umano e del suo aspetto fisico, a cominciare da quelle provvisorie, come la pittura del corpo o il trucco teatrale, o la cura regolare dei capelli, fino a metamorfosi quasi permanenti come la body sculpture: l’antico “piede di loto” cinese o i “lacci stretti” degli abiti occidentali; l’infibulazione, la cicatrizzazione o il tatuaggio, e più in generale la chirurgia plastica, tutte queste pratiche trasmettono messaggi non verbali -spesso con intento cosmetico, come nel caso di interventi di ricostruzione volti a modificare le dimensioni del seno femminile-. L’arte egiziana di dipingere le mummie, diffusa in epoca romana, aveva lo scopo di dotarle di un surrogato della testa, che avrebbe facilitato la comunicazione del defunto durante il suo passaggio nell’aldilà.

Nell’affascinante varietà dei comportamenti comunicativi umani a distanza c’è anche una singolare forma di baratto, nota sin dai tempi di Erodoto, e di cui tuttora si riferiscono esempi moderni. Gli etnografi la chiamano commercio muto. Di solito non implica nessuno dei consueti canali diretti, ma solo l’idea astratta di scambio, e si svolge più o meno così: una delle due parti della transazione commerciale abbandona la merce in un luogo convenuto, quindi si ritira in un luogo nascosto da cui osserva senza essere visto -ma è più probabile il contrario-. In seguito l’altra parte arriva sul posto ed esamina i prodotti ivi lasciati: se è soddisfatto di quel che trova, deporrà a sua volta una quantità più o meno equivalente di altra merce di scambio.

Lo studio della disposizione spazio-temporale del corpo (a volte detta prossemica) nei rapporti personali, le adeguate dimensioni delle gabbie nei giardini zoologici o delle celle di un carcere, la disposizione all’interno degli uffici, delle classi, delle corsie d’ospedale, delle mostre d’arte in musei e gallerie, e una miriade di altri progetti architettonici chiamano in causa l’axiologia del volume e della durata. La mappa è la rappresentazione grafica di un ambiente, e contiene sia elementi figurativi e iconici sia elementi non figurativi o simbolici, passando da poche semplici configurazioni a progetti molto complessi, o altri diagrammi ed equazioni matematiche. Tutte le mappe sono anche indici: vanno dal locale, come la ben nota rappresentazione della metropolitana di Londra, alla targa intergalattica fissata sull’astronave Pioneer che si allontana a gran velocità dal nostro sistema solare. Tutti gli organismi comunicano per mezzo di modelli (Umwelt, o mondi propri), ognuno secondo gli organi di senso propri della sua specie. Tali modelli spaziano dalle rappresentazioni più elementari delle manovre di avvicinamento e ritirata alle più sofisticate teorie cosmiche di Newton e di Einstein. Sarebbe opportuno ricordare che, in principio, Einstein costruì il suo paradigma dell’universo a partire da segni non verbali, “visuali, e alcuni di tipo muscolare”. Come egli stesso scrisse a un collega nel 1945: “Sembra che le parole o il linguaggio, scritte o parlate, non abbiano alcuna funzione nei miei meccanismi cognitivi. A quanto pare, le entità psichiche che costituiscono gli elementi del pensiero sono certi segni e immagini più o meno chiari, che possono essere ‘volontariamente’ riprodotti e combinati.” Successivamente, “solo in una seconda fase”, dopo un lungo e faticoso lavoro di trasformazione delle sue costruzioni non verbali in “parole convenzionali e altri segni”, lo scienziato era in grado di comunicarli agli altri.

da Thomas Sebeok



Una ricerca dell’università di Chicago ha messo a confronto le lingue “verbali” e i linguaggi gestuali, arrivando alla conclusione che esiste una “sintassi delle azioni” espressa per mezzo dei movimenti del corpo. Una sintassi che sembra essere internazionale: in pratica, un linguaggio universale che può anche non avere corrispondenza con quello verbale.
Gesticolare in turco. In un esperimento i ricercatori hanno chiesto a un gruppo di volontari composto da cinesi, turchi, inglesi e spagnoli di mimare alcune situazioni (un bambino che beve una bibita, un marinaio che tiene in mano un secchio e via dicendo) che avevano precedentemente visto su uno schermo. In tutti i casi, e a prescindere dalla struttura sintattica che caratterizza le loro lingue, i soggetti hanno mimato le azioni seguendo l’ordine “soggetto-complemento-verbo”, che per gli inglesi e gli spagnoli è radicalmente diverso da quello a cui sono abituati quando parlano: a differenza dei turchi e dei cinesi, infatti, per questi la struttura sintattica tipica è, come in italiano, soggetto-verbo-complemento.


Desmond Morris, zoologo famoso per avere studiato a lungo le scimmie, in questo libro divertente, sconvolgente e al tempo stesso rigorosamente scientifico si è messo a studiare l’uomo. Ma lo ha studiato in quanto scimmia e cioè come l’unico, tra le centonovantatré specie di scimmie, a essere sprovvisto di peli. Nudo, appunto. Per quanto cerchi di ignorare l’eredità del passato, l’uomo rimane essenzialmente un primate, una scimmia in crisi, che segue nella vita sessuale e sociale i modelli di comportamento fissati dai suoi antenati scimmioni cacciatori.

Linguaggio muto è il testo ideale per chi desidera avere una visione generale delle opere di Desmond Morris, il celebre zoologo inglese che ha stravolto la visione comune sul comportamento animale e umano. In questo dialogo l’autore ci racconta il lungo percorso che, attraverso lo studio degli animali, lo ha condotto a studiare l’uomo, con particolare attenzione ai nostri gesti abituali, alle nostre espressioni artistiche, al nostro modo di vivere, di giocare e di divertirci. Dall’abbigliamento al tifo sportivo, fino al nostro atteggiamento nei confronti degli altri animali e dei nostri simili, Morris osserva l’animale “uomo” alla ricerca di somiglianze e differenze con i nostri parenti più prossimi.

IL LINGUAGGIO DEL CORPO 

Per definizione, il linguaggio del corpo, o la comunicazione non verbale, è lo scambio di comunicazioni tra due o più persone che esclude l’uso delle parole. Si tratta, dunque, di una comunicazione non parlata di cui facciamo uso più di quanto pensiamo.

Il linguaggio del corpo è infatti quasi sempre una reazione alle emozioni, per cui nasce dell’inconscio e dell’istinto e, come tale, è da considerarsi fuori dal nostro controllo: molte espressioni del corpo non possono essere controllate, come arrossire improvvisamente in viso o diventare di colpo pallidi, o anche avere di colpo le mani sudate per una sensazione di disagio.Di contro, ci sono aspetti del linguaggio del corpo che possono essere tenuti sotto controllo e ciò è facile soprattutto a chi è un “abile” bugiardo.

Il primo linguaggio studiato è stato quello facciale, tanto che l’opera più importante è stata quella di Charles Darwin del 1872 “The expression of the emotions in Man and Animals”. Molti studiosi si sono poi via via interessati non solo alla mimica facciale e di tutto il corpo e al fatto che alcune emozioni come la rabbia, la tristezza o la felicità siano condivise da tutti in maniera uguale, ma anche a quei gesti diversi da cultura a cultura e a quei gesti che cambiano con l’avanzare dell’età dell’uomo (da bimbi ad adulti anche il linguaggio del corpo si modifica).

  • Ok: il tipico segno dell'”OK”, per esempio, con il tempo ha assunto il significato di “tutto bene” in tutti i paesi di lingua inglese. Ma ci sono alcuni Paesi come la Francia dove il segno “OK” assume il significato di “zero” o “niente” perché avrebbe origine da un segnale che alla fine una battaglia comunicava a distanza “zero uccisioni”; in Giappone, invece, vuol dire “soldi
  • Pollice in su: in Australia, in Inghilterra e in Nuova Zelanda può significare “Ok”, ma è anche un segnale di autostop o addirittura di insulto, mentre in Grecia state attenti perché è prevalentemente usato in senso dispregiativo
  • V come vittoria: il segno della “V” si diffuse durante il secondo conflitto mondiale grazie a Winston Churchill in segno di “vittoria”. In alcuni paesi europei tale segno indica semplicemente il numero due, mentre in altri è un segno di offesa

Il linguaggio del corpo, insomma, ha una propria grammatica e quindi va letto e interpretato rispettando come fosse un libro scritto. Vediamo di seguito di capirci un po’ di più.

Linguaggio del corpo: il viso e la testa

Sopracciglia, bocca, naso, labbra arricciate, guance rosse, orecchie coi capelli all’indietro. Il volto parla più di quanto pensiate. Il nostro gradimento verso il prossimo o verso le situazioni passa da qui, dal punto nevralgico del nostro corpo che non dà segni soltanto di dolore, di gioia o di disgusto, ma anche di attrazione e di repulsione.

  • Occhi e sopracciglia

Normalmente una persona batte le palpebre 8-10 volte al minuto e se improvvisamente questa frequenza aumenta vi è una nuova emozione è in agguato. Si socchiudono gli occhi, invece, se si sta tentando di mettere a fuoco qualcosa quando si è increduli o in difficoltà

Attenzione alle pupille, che si dilatano quando si prova piacere e si restringono, invece, davanti a una cosa sgradevole o quando si sta dicendo una bugia

Le sopracciglia, invece, tendono a sollevarsi entrambe per dare enfasi a un discorso che si sta pronunciando o come cenno di saluto. Se ne alza una come segno di scetticismo, mentre si abbassano gli angoli interni verso il centro se ci si arrabbia oppure quando si fatica a capire qualcosa

  • Bocca

Se ci si morde le labbra quasi sicuramente si sta tentando di calmare un senso di ansia quando si è nervosi o quando si è in difficoltà. Se si porta il labbro inferiore su quello superiore significa che si è incerti su qualcosa

Portare le labbra all’esterno e arricciarle ha una doppia valenza: può esprimere disaccordo rispetto a ciò che si ascolta o esprimere desiderio e interesse romantico o sessuale

Sorriso a labbra strette: è visito come un gesto di cortesia che utilizza chi non si sente veramente felice e a proprio agio

  • Naso

Se mentre parliamo il nostro interlocutore si gratta il naso ripetutamente molto probabilmente ciò che state dicendo gli sta causando una forte tensione

  • Orecchie

Grattarsi o massaggiarsi l’orecchio o la zona circostante si riferisce a una pulsione sessuale inibita. Pare che, se si ci gratta l’orecchio destro, significhi che siamo noi a porci delle remore; se si ci gratta quello sinistro sarebbe la controparte a non mostrare interessi

  • Coprirsi il viso

Il vostro interlocutore si copre il viso? Molto probabilmente il vostro discorso l’ha annoiato e sta prendendo le distanze. Ma se l’altro si copre il viso o anche solo la bocca mentre sta parlando, potrebbe stare mentendo

  • Variazioni della pigmentazione  Rossore improvviso? Una bugia o, in ogni caso, il segnale di una situazione emotivamente stressante e imbarazzante
    • Scuotimento della testa

    Per affermare o negare, secondo Darwin il gesto che si compie con la testa per affermare ricorda il movimento di suzione di un neonato. Contrariamente il “no” sarebbe il rifiuto del latte materno. Scuotere la testa può indicare anche disapprovazione nei confronti di una situazione che non piace

    • Testa alta

    Sicurezza, fierezza e orgoglio: la persona “a testa alta” non teme ciò che sta dicendo o chi ha di fronte. Se insieme alla testa, però, si alza anche lo sguardo si tratta di noia

    • Testa bassa

    Rafforzamento di un sentimento negativo e di scarsa sicurezza e il gesto potrebbe anche essere accompagnato da spalle alzate in segno di “difesa”. Se invece si abbassa la testa mantenendo lo sguardo dritto con le sopracciglia alzate, può significare incredulità

    • Testa inclinata

    Inclinare la testa da un lato indica attenzione o che ci si trova a proprio agio. Piegare la testa è anche un segnale di seduzione, mostrando il collo come parte vulnerabile.

    Linguaggio del corpo: il busto

    Busto, con annessi spalle e braccia. Il vademecum per riconoscere i “messaggi cifrati” di queste parti del corpo:

             Busto

  • Inclinare il busto verso la persona con cui si sta comunicando dimostra interesse, perché si crea meno distanza. Al contrario allontanarsi, inclinando il busto all’indietro, è segno di non gradimento.
    • Spalle

    Spingere le spalle all’indietro e il petto in fuori mostra sicurezza nell’affrontare una situazione. Al contrario, curvare le spalle all’interno è un segno di difesa. Le classiche “spallucce”, invece, quando cioè si alzano e si abbassano le spalle, indicano qualcosa che non si conosce o che non interessa

    • Braccia

    In genere utilizziamo le braccia per dare enfasi alle parole che stiamo pronunciando.

    Mettere le mani sui fianchi con i gomiti all’esterno oppure – da seduti – mettere le mani dietro la testa e allargare i gomiti, è un gesto che dichiara sicurezza. Anche portare le braccia dietro la schiena congiungendo le mani è indice di sicurezza

    L’insicurezza o il disagio invece sono manifestati dall’incrocio delle braccia sul torace, creando una barriera a difesa.

     

    Linguaggio del corpo: le mani

  • Mani: spesso parlano da sole. Aristotele diceva che le mani sono una diramazione del cervello. E in effetti quante volte attraverso di esse capiamo una miriade di cose dell’altro. Mentre parliamo le utilizziamo praticamente sempre e con esse impariamo cose, suoniamo, scriviamo e diciamo, senza parlare.
    • Mani ferme o in movimento

    Quando si è a proprio agio i movimenti delle mani sono più ampi e frequenti. Al contrario, la tensione è tradita da una gestualità molto ridotta

    • Mani nascoste

    Se dietro la schiena, sotto il tavolo o comunque nascoste significa che non ci stiamo esponendo del tutto. Ma se è una donna a tenere le mani dietro la schiena, potrebbe esprimere disponibilità nei confronti di chi le sta di fronte

    • Mani a cuneo o chiuse a pugno

    Gesto di chi è molto sicuro di sé e che vuole mostrare la proprio superiorità intellettuale

    • Mani intrecciate

    Rivelano tensione e più le mani sono intrecciate verso la parte superiore del corpo più il nervosismo si taglia a fettine

    • Mani ferme una sull’altra

    Finta disponibilità da parte dell’interlocutore che probabilmente si sta annoiando

    • Mani in tasca

    Informale ma anche sconveniente, pensate che in certe culture, come quella cinese, mettere le mani in tasca è addirittura offensivo. Se le mani sono infilate nelle tasche posteriori si tratta di un segnale di aggressività nascosta

    • Sfregarsi le mani

    Contentezza e soddisfazione! Ma occhio: se si prova un senso di colpa, il gesto apparirà più lento, perché è presente un filtro mentale o un possibile conflitto interiore

     

    Linguaggio del corpo: le gambe e i piedi

  • Nell’immaginario collettivo le gambe sono simbolo di femminilità e fascino. Pare che la seduzione perfetta passi anche dal giusto modo di accavallare una gamba sull’altra. In Cina e Tailandia sarebbe vietato accavallare e guai se in Arabia incrociate o vi sedete in modo che si vedano le suole delle scarpe.
    • Gambe incrociate

    Potrebbe avere lo stesso significato di incrociare le braccia, ma con un’accezione decisamente meno negativa. In genere, si assume questa posizione quando ci si sente a disagio e simboleggia una sorta di auto-protezione tanto più elevato quanto più stretto è il loro accavallamento. Un atteggiamento auto-protettivo è comunque contrassegnato anche, come abbiamo visto prima, dalla inclinazione del busto in avanti, dalla rigidità della gamba accavallata e del piede sospeso e da un’eventuale chiusura delle braccia

    • In piedi con gambe divaricate

    Assumono quest’ultima posizione le persone dominanti, come gli antichi guerrieri nei combattimenti

    • In piedi con gambe chiuse

    Un atteggiamento tipicamente femminile che, se accentuato con un ginocchio in avanti, indica un corteggiamento

    • A cucciolo

    Si accostano le ginocchia divaricando le estremità delle gambe e si portano le punte dei piedi all’interno: questa posizione mette in evidenza le proprie fragilità

    • In piedi, in gruppo

    Quando vi trovate in gruppo, osservate  verso chi puntano l’un l’altro i piedi per capire chi è la persona verso cui l’interesse è focalizzato. Per esempio se due persone sono una di fronte all’altra, si stanno dedicando attenzioni reciproche. Nel momento in cui una terza persona cerca di unirsi alla conversazione, se i due girano soltanto la testa verso il nuovo venuto, il cerchio non si apre e la conversazione rimarrà chiusa. Se invece i corpi dei due cominciano a ruotare leggermente di fianco, fino quasi a creare un angolo di novanta gradi, allora c’è un atteggiamento di apertura

     

    Linguaggio del corpo: curiosità

  • Spostate oggetti lontano da voi mentre parlate con qualcuno? Volete allontanare l’argomento o la persona. Se invece vi viene la smania di spolverare o spazzare via di dosso o dal tavolo polvere o bricioleè chiaro che “non volete farvi carico di questi problemi”, mentre è palese che grattarsi il capo indica un problema da risolvere.Se il vostro interlocutore, invece, si gratta la fronte non ha ben chiaro l’argomento o si trova a disagio. Inoltre, se ci si tocca costantemente il viso si sta dando adito a un incremento delle sensazioni negative, soprattutto a sensazioni di ansia o agitazione che si cerca di calmare con determinati gesti.Ci si gratta o massaggia la nuca per controllare l’ansia in caso di sensazioni negative o se ci si dimentica di fare qualcosa che era stato chiesto. Se non c’è alcuna sensazione negativa, fateci caso che vi basterà un colpetto sulla fronte.Portare la mano alla bocca può significare che avreste voluto bloccarvi ma non lo avete fatto, così come portare la mano sugli occhi è un modo per bloccare le informazioni, per esempio quando si riceve una brutta notizia. La stessa reazione si verifica chiudendo le palpebre, come rifiuto di ciò che è stato appreso.Se state ascoltando un discorso noioso, tendereste a chiudere gli occhi, ma il vostro corpo sa bene che sarebbe un atteggiamento sconveniente e quindi lo si sostituisce con battiti di palpebre particolarmente lenti che consentono di tenere gli occhi chiusi senza che nessuno se ne accorga.

    Linguaggio del corpo: lo spazio vitale o prossemico

  • Fu l’antropologo Edward Hall a coniare il termine “prossemica”, per riferirsi a quello studio di “come l’uomo struttura inconsciamente i microspazi – le distanze tra gli uomini mentre conducono le transazioni quotidiane, l’organizzazione dello spazio nella propria casa e negli altri edifici e infine la struttura delle sue città”.Non solo gli animali, infatti, hanno un loro territorio ma anche noi esseri umani. Ciò non ci suona del tutto strano, ma quel che forse vi sembrerà anomalo è che anche noi uomini tendiamo a proteggere quel territorio.La territorialità fa parte di noi come meccanismo istintivo. Certo è che, mentre gli animali lottano nel vero senso della parola per possedere uno spazio, dinanzi a una violazione del territorio noi umani abbiamo una reazione meno “eccessiva” e a volte non dà luogo nemmeno all’azione.La distanza di base a cui l’uomo regola i suoi rapporti con gli altri è il cosiddetto “Spazio Vitale” o “Prossemico”. Gli esperti la rappresentano come una bolla di sapone che ci avvolge. Se quella bolla è “violata” (ogni violazione dello spazio vitale si estende in ogni direzione per circa 70 centimetri – 1 metro), aumenta la tensione e fastidio.Ci avete mai fatto caso come, se stiamo in ambienti affollati in cui lo spazio prossemico si riduce, capiamo che non c’è alternativa e sopportiamo la situazione e come, invece, quando qualcuno si avvicina troppo senza motivo entriamo in conflitto? E quando entriamo in un treno e la prima cosa che cerchiamo è un posto che non abbia nessuno attorno?Ciò che è curioso è che quella bolla non è sferica ma ha contorni irregolari (una violazione fatta di fianco crea meno tensione di una fatta faccia a faccia) e varia da cultura a cultura: è molto ridotta nei popoli dei paesi caldi, è molto ampia nei paesi freddi. Inoltre, la distanza prossemica è influenzata anche da altri fattori, come caratteriali (una persona estroversa ha più la tendenza a invadere spazi), gli stati o d’animo o la storia personale (si pensi a eventuali violenze subite). Anche lo status di un individuo influenza la dimensione della zona vitale: tanto più elevata è la posizione sociale, tanto più grande sarà la sua sfera prossemica.In genere, si distinguono 4 distanze prossemiche:
    • distanza intima: da 0 cm a 45 cm. È la tipica distanza che si mantiene tra i partner e presuppone necessariamente un contatto fisico
    • distanza personale: da 45 cm a 70 cm/1 metro. Adottata da amici o da persone che provano attrazione per l’altro
    • distanza sociale: da 120 cm a 2 metri. È una distanza formale adottata nei rapporti con i colleghi per esempio
    • distanza pubblica: da 2 metri a oltre i 2 metri. Si tratta della capacità di percepire una persona o di farsi percepire a distanze superiori a due metri. Se per esempio a dieci metri da noi passa Tizio non lo notiamo neanche, ma se dovesse passare un personaggio pubblico.

 

Linguaggio del corpo: le bugie. Quando accorgersi che una persona mente

Da un unico gesto non è possibile arrivare a una conclusione perché sarebbero troppe le variabili in gioco. Per poter formulare un’ipotesi di “menzogna”, dovrebbero verificarsi contemporaneamente almeno 4 o 5 indizi di quelli di seguito elencati:

  • punto numero uno, spesso chi dice bugie, di fronte ad una domanda finge di non aver capito per prendere tempo e formulare una risposta
  • quando una persona mente, tende a non porsi in posizione frontale rispetto al suo interlocutore
  • le pupille delle persone che stanno dicendo una bugia tendono a restringersi e il battito di ciglia ad aumentare
  • chi mente può essere soggetto ad una improvvisa sudorazione sulla fronte, sul palmo della mano e tra naso e bocca
  • chi mente può anche procurarsi dei colpi di tosse ad hoc per scaricare la tensione
  • il menzognere riduce, infine, al minimo la gestualità ma potrebbe essere portato a coprirsi la bocca con la mano mentre parla.

da Germana Carillo


Giocherellare in continuazione con l’anello mentre qualcuno ci parla, allontanare un invisibile granello di polvere dalla giacca prima di rispondere a una domanda, accarezzarsi il mento in attesa di prendere una decisione… Sono tanti i gesti che spesso compiamo senza rendercene conto, eppure ognuno di essi ha un significato preciso e rivela spesso qualcosa di importante.Le parole possono ingannare; il corpo, però, non sa mentire. Parla una lingua che dà voce alle emozioni più profonde e più vere. Esprime quello che le parole non sanno o non vogliono dire. Diventa allora importante imparare a cogliere e interpretare il modo in cui una persona ci stringe la mano, si siede di fronte a noi o capire perché continua a toccarsi il volto mentre ci parla. I suoi gesti possono rivelarci se dietro all’adesione a una nostra proposta si cela una sincera approvazione, un disagio più o meno profondo oppure se il nostro interlocutore ci sta spudoratamente mentendo. Ma non solo. Conoscere il linguaggio segreto del corpo significa anche imparare a conoscere meglio noi stessi, scoprire quando ricorriamo ad atteggiamenti di chiusura o riusciamo a esprimere sicurezza e decisione. E può aiutarci a trovare strumenti e modi per rendere la nostra comunicazione più vera e efficace.

 

 

 

 

 


 

 

Che cosa attira irresistibilmente l’una verso l’altra due persone che non si conoscono? Pare che tutto si decida in pochi istanti e che il linguaggio del corpo sia l’assoluto protagonista dell’attrazione fatale. Marco Pacori svela in questo libro come individuare la persona giusta, come capire cosa prova, in che modo conquistarla con messaggi che solo i nostri gesti e il nostro corpo possono inviare. Senza rischiare di essere ignorati o fraintesi. Quali sono le cose che colpiscono una donna? Che cosa rende magnetico un uomo? Imparare a comunicare anche senza parlare è la via più diretta e potente per raggiungere il cuore dell’altro.

 

 

 

 


 

 

 


 

 

Che cosa attira irresistibilmente l’una verso l’altra due persone che non si conoscono? Pare che tutto si decida in pochi istanti e che il linguaggio del corpo sia l’assoluto protagonista dell’attrazione fatale. Marco Pacori svela in questo libro come individuare la persona giusta, come capire cosa prova, in che modo conquistarla con messaggi che solo i nostri gesti e il nostro corpo possono inviare. Senza rischiare di essere ignorati o fraintesi. Quali sono le cose che colpiscono una donna? Che cosa rende magnetico un uomo? Imparare a comunicare anche senza parlare è la via più diretta e potente per raggiungere il cuore dell’altro.

 

 

 

 

 

 


 

 

 


DESMOND MORRIS   –    “L’ ANIMALE UOMO”

Biologo e zoologo di fama mondiale (il suo La scimmia nuda fu negli anni sessanta uno dei maggiori successi editoriali per la divulgazione scientifica in tutte le lingue), Desmond Morris ha con sue opere cambiato radicalmente il modo in cui noi prendiamo coscienza di noi stessi, specie vivente nel tempo e nello spazio del pianeta Terra. Anche quest’opera, ricca di esempi e di eloquenti illustrazioni, ci avvicina ulteriormente alla nostra vera identità spirituale.

  • Nonostante la diversità del colore della pelle, delle credenze religiose e dei rituali sociali, da un punto di vista biologico siamo sorprendentemente simili l’uno all’altro. Se avete dei dubbi su questa affermazione, pensate che il 98,4 per cento del patrimonio genetico degli esseri umani coincide con quello degli scimpanzé (Introduzione, p. 6).
  • Il mio metodo, come per tutti naturalisti sul campo, è quello dell’osservatore. Io sono, cioè, uno che guarda, non uno sperimentatore. Uso il mio occhio addestrato per vedere, il più chiaramente possibile, i modelli dell’attività umana. Da qui il titolo di questo libro: The Human Animal (7).
  • Studiare il comportamento umano. Invece di ascoltare ciò che le persone dicevano, avrei osservato quel che facevano. Le avrei osservate nel loro ambiente naturale, esattamente come fa un bird-watcher. Sarei diventato un man-watcher (osservatore di uomini) (8).
  • Esistono 193 specie viventi di scimmie, con coda e senza coda. 192 sono coperte di pelo. L’eccezione è la scimmia nuda, che si è data il nome di Homo sapiens. Questa insolita specie di grande successo passa molto tempo a esaminare le motivazioni sue più elevate, e un tempo altrettanto lungo a ignorare con cura quelle fondamentali.

«La scimmia cacciatrice», p. 48

  • Per sottolineare il mio pensiero intitolai il libro La scimmia nuda e in esso feci riferimento agli esseri umani soltanto con quel nome. […] Venni attaccato dalla Chiesa per aver ignorato l’anima umana. Io sostenni che la sola speranza di immortalità per gli esseri umani si trovava nei loro organi riproduttivi (48).
  • I pii luoghi comuni di preti e uomini politici suggeriscono che dovremmo amare tutti gli uomini allo stesso modo, che dovremmo trattare gli estranei come fratelli. Dal punto di vista biologico, non siamo assolutamente programmati per agire in questo modo. […] Se ci comportiamo come se questa inclinazione tribale non esistesse, essa tornerà a tormentarci nelle forme più deleterie. Se la accettiamo, possiamo tentare di attenuarla.

«Lo zoo umano», p. 85

  • La questione della sede dell’anima umana è stata dibattuta a lungo. Sarà nel cuore o nella testa, o magari diffusa in tutto il corpo, come una qualità spirituale onnipervasiva, propria dell’essere umano? A me, come zoologo, sembra che la risposta sia abbastanza ovvia: l’anima dell’uomo si trova nei suoi testicoli, quella della donna nelle ovaie. E’ proprio qui, infatti, che troviamo gli elementi veramente immortali del nostro essere: i geni.

«I geni immortali», p. 156

  • Le nostre paure più grandi, quando varchiamo la soglia della mezza età, sono quelle di ammalarci o di morire. Nell’età giovanile questi pensieri non ci sfiorano neppure. […] Sappiamo che un giorno moriremo, ma questo evento è in un futuro tanto lontano che non ci tocca. […] Gli animali non hanno simili problemi. Noi siamo gli unici a renderci conto che un giorno moriremo. Tale consapevolezza è uno sfortunato effetto collaterale del linguaggio. La comunicazione orale inizialmente serviva solo a trasmettere informazioni sul presente (176).
  • Così, fin dai tempi antichi abbiamo trovato una risposta a questo problema: abbiamo concepito l’idea di un «aldilà». Decidemmo che, una volta morti, non cessiamo di esistere, ma ci trasferiamo in un altro luogo dove vivremo per sempre in una condizione differente. Nessuno è mai stato in grado di provare o di confutare l’esistenza di questo «altro mondo»; ma per tutti quelli che riescono a crederci, costituisce un dono enorme, poiché dà loro una speranza che li protegge dalla paura di morire (178).
  • Questa «anima», si pensava, era presente soltanto negli esseri umani, mentre gli animali ne erano privi. Alcune delle prime sétte che ipotizzarono la presenza dell’anima anche negli animali vennero massacrate sommariamente per la loro idea blasfema (179).
  • Alla fine, col fiorire delle opere d’arte, gli uomini furono indotti a credere, erroneamente, di non essere in alcun modo animali. […] Se siamo in grado di dipingere capolavori, costruire cattedrali e comporre sinfonie, come possiamo pensare di essere paragonati alle altre specie animali? Ci deve essere per forza qualche sbaglio. Noi dobbiamo essere stati messi qui, dagli dèi o da extraterrestri, con un aspetto vagamente simile a quello degli altri animali, in modo che ci potessimo inserire senza problemi nell’ambiente terrestre, ma in realtà siamo al di fuori della biologia. È questo l’errore che mi proponevo di correggere quando scrissi La scimmia nuda (Oltre la sopravvivenza, 186).
  • I princìpi dei giochi degli adulti vengono applicati non solo all’arte, ma a quasi tutti gli aspetti delle imprese umane. […] La scimmia nuda dovrebbe in effetti essere ribattezzata come la scimmia creativa. Nel caso migliore restiamo, per tutta la vita, adulti simili a bambini, pronti, alla minima scusa, ad abbandonarci a giochi per adulti (209).
  • Eravamo primati che a un certo punto si rizzarono su due piedi e cominciarono a cacciare in gruppo […] Noi eravamo la combinazione magica, coloro che non temono di varcare le soglie e di correre rischi: il bambino maturo per tutte le occasioni.
  • Con i loro corpi spesso incredibilmente belli. Gli altri animali sono straordinari per quello che sono. Noi, coi nostri corpi piccoli e quasi insignificanti, siamo straordinari per quello che abbiamo fatto. E per quello che senza dubbio faremo in futuro, poiché la storia è appena cominciata