Virginia Oldoini Verasis

 

Io sono io, e me ne vanto; non voglio niente dalle altre e per le altre. Io valgo molto più di loro. Riconosco che posso non sembrare buona, dato il mio carattere fiero, franco e libero, che mi fa essere talvolta cruda e dura. Così qualcuno mi detesta; ma ciò non mi importa non ci tengo a piacere a tutti».
«Ogni donna ha il dovere di essere bella, non per sé, ma per gli altri. Per sé invece, deve essere ambiziosa, astuta e agguerrita».
Virginia Oldoini Verasis nasce a Firenze il 22 marzo 1837 dalla Marchesa Isabella Lamporecchi – figlia della ballerina Luisa Chiari – e dal Marchese Filippo Oldoini di La Spezia.
Entrò giovinetta alle Orsoline per una crisi mistica ma il suo ritiro durò poco. Giunta all’adolescenza era intelligente, di carattere brillante, bellissima e di gusti raffinatissimi.
All’età di diciassette anni la bella Virginia va in sposa al Conte Francesco Verasis Asinari di Costigliole d’Asti e Castiglione Tinella, di dodici anni più anziano di lei. Il matrimonio, che lei prevede noiosissimo, segna un punto di svolta: trasferitasi a Torino nel palazzo dei Castiglione che fiancheggia la residenza di Cavour, ella compie un mirabolante ingresso alla vita di corte di Vittorio Emanuele II.

La sua bellezza risalta anche grazie all’inimitabile gusto per gli abiti originali e audaci. La sua eleganza, sempre ricercata fin nei dettagli, costosissima, e il suo charme conquistano tutti, inizialmente senza distinzione di sesso. Non c’è ricevimento né evento mondano al quale non venga invitata per il suo fascino e il suo spirito. Iniziano i dissapori coniugali: Virginia è troppo bella e soprattutto troppo indipendente, e concede i suoi favori a molte persone importanti, tra cui entrambi i fratelli Doria, il banchiere Rotschild, l’imperatore dei francesi, Cavour, Costantino Nigra, ambasciatore in Francia e lo stesso Vittorio Emanuele II…
Presto la situazione diventa insostenibile e, anche per salvarsi dall’ingente mole di debiti contratti dalla moglie, il marito chiede la separazione.
Dalla breve unione nacque un figlio, Giorgio, che morirà a 24 anni per malattia. Storicamente siamo in pieno Risorgimento italiano, precisamente tra la prima e la seconda guerra per l’indipendenza. Il Piemonte sconfitto dagli Austriaci nel 1849, si sta preparando per la rivincita. Il compito viene affidato a Cavour, primo ministro di Vittorio Emanuele II: lo statista crede che per riuscire nella difficile impresa al Piemonte sia necessario procurarsi un alleato potente come la Francia di Napoleone III. Cavour invia a Parigi un suo fedelissimo, Costantino Nigra, per spianare la strada alle trattative ma, riconoscendo le doti della cugina, considerate la sua intraprendenza e ambizione e l’indiscutibile fascino, le propone una “missione” a Parigi con il compito di favorire l’alleanza fra Napoleone III e il Piemonte. «Cerca di riuscire, cara cugina, con il mezzo che più vi sembrerà adatto, ma riuscite!».
Tali trame di Cavour erano, in effetti, un corollario a tutta una serie di iniziative politico-diplomatiche condotte per anni, un lungo corteggiamento compiuto da Cavour per indurre l’Imperatore dei francesi a sostenere la causa italiana contro l’Austria.
Giunta a Parigi e pienamente consapevole del valore politico della propria impresa, venne affidata a Costantino Nigra, ambasciatore sabaudo a Parigi, con il compito di farne una spia. Virginia che conosceva quattro lingue imparò anche un codice cifrato che utilizzava nella corrispondenza che teneva costantemente con il governo del Piemonte.
Entrò subito in società partecipando alle feste ad agli spettacoli indossando gioielli preziosissimi e vestiti audaci e inconsueti. Ebbe numerosi flirt dei quali annota tutti i particolari sul suo Journal. Questo diario è redatto dalla contessa in maniera decisamente astuta, col chiaro intento – quasi letterario e autocelebrativo – di far risaltare solo ed esclusivamente le sue doti: non è mai riportato alcun episodio che possa metterla in qualche modo in cattiva luce o che faccia notare i suoi difetti.
Durante le occasioni mondane emerge con chiarezza la sua naturale disinvoltura nei rapporti sociali, soprattutto nei confronti dei maschi; il suo rapporto con le donne è invece scandito dal motto: «Le eguaglio per nascita. Le supero per bellezza. Le giudico per ingegno.»
Ed è così che, tra intrighi amorosi e maneggi politici, destreggiandosi tra la diplomazia e l’alcova, seduce Napoleone III il quale, convinto da Cavour che un’eventuale vittoria di Mazzini avrebbe risvegliato i rivoluzionari repubblicani francesi, invit< il primo ministro piemontese ad un convegno a Plombières. In quest’occasione l’imperatore francese s’impegnava formalmente ad appoggiare militarmente il Piemonte in caso d’aggressione austriaca.
Dopo un anno la stella di Virginia cominci< ad affievolirsi: si dice che Eugenia, fervente moglie cattolica di Napoleone III, fece organizzare dalla Polizia un finto attentato che coinvolse un italiano, certo Cappelletti. Ciò la costrinse a rientrare in Italia.
Nel 1859 incontrò l’imperatore in visita in Italia. La sua richiesta di ritornare in Francia fu accolta, ma le fu consigliato di evitare la corte.
Virginia aveva accumulato molti debiti sia per la sua vita dispendiosa sia per la causa di divorzio che il marito le aveva intentato con ampia documentazione. Il suo ritorno in Francia, alla disperata ricerca d’un passato ormai lontano, coincide con la disfatta di Sedan e la caduta della Monarchia Francese.
Dopo aver brillato e scintillato dell’eleganza più sfrenata, tra balli ed amanti, e aver conosciuto i fasti e i trionfi della mondanità e della propria influenza, finisce i suoi giorni come una romantica eroina: in solitudine, malinconica, nostalgica ed inconsolabile per il fascino perduto. E come un’eroina decadente farà coprire gli specchi del suo appartamento parigino con un velo nero, affinché non rispecchino più la sua bellezza perduta, chiudendosi in un voluto eremitaggio.
Il 28 Novembre 1899, all’alba del nuovo secolo, muore nella sua casa, senza clamore. Chiede di essere sepolta a La Spezia, senza funzione religiosa né fiori, e che non venga data alcuna notizia alla stampa né alle autorità. Avrà invece una regolare funzione religiosa, e ai suoi funerali parteciperanno camerieri, un duca e un agente di cambio.
Gli storici negano qualunque influenza della contessa di Castiglione nelle questioni dell’indipendenza italiana. Mancano infatti protocolli, carte, documenti, che non si sono mai trovati. Subito dopo la sua morte polizia, autorità e servizi segreti bruciarono tutte le lettere e i documenti a lei inviati dalle massime personalità del tempo con le quali era entrata in contatto, re, politici e banchieri.
Le sue disposizioni non furono eseguite poiché il testamento venne alla luce dopo la sua sepoltura. La contessa di Castiglione non viene sepolta in Italia, ma nel cimitero di Père Lachaise, dove ancora oggi riposa.