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Biografia ( Tratta dal sito del museo Vittorio Pozzo di Ponderano)
Vittorio Pozzo è una delle figure più importanti della storia calcistica italiana e mondiale.
Allenatore ineguagliabile, è stato giornalista di fama mondiale. In una Londra che già contava otto milioni di abitanti gli venne recapitata una lettera semplicemente indirizzata a “Vittorio Pozzo Italian Manager”. Era conosciuto e stimato in tutto il mondo, da Tokio, dove era atteso ai piedi della scaletta dell’aereoplano dai giornalisti desiderosi di intervistarlo, a Parigi dove era letteralmente di casa.
Era un uomo di una irreprensibile dirittura morale ed il suo rispetto per lo sport lo ha portato ad essere il CT italiano più vincente nella storia: l’olimpiade di Berlino del 1936, i Mondiali di Italia ’34 e Francia ’38, i due ori e l’argento nella Coppa Internazionale. Unico allenatore vincitore di due edizioni di Campionato del Mondo, peraltro consecutive.
Oltre ai numeri, Pozzo è stato parte integrante del calcio Italiano: cofondatore del Torino Calcio, è comunemente identificato come un padre del “Metodo”, tattica rivoluzionaria per gli anni ’30.
Suo malgrado fu protagonista dello schianto di Superga: “fu quella, una delle serate più tragiche, più dolorose della vita mia…”
Vittorio Pozzo, piemontese genuino, nasce a Torino il 2 marzo 1886 da una famiglia di origini biellesi, precisamente di Ponderano, e di modeste condizioni economiche ma profeticamente fedele al detto latino “nomen omen” (il destino nel nome). Frequenta il Liceo Cavour a Torino, sua città natale, e in seguito studia lingue e trasferitosi all’estero gioca a calcio in Francia, Svizzera ed Inghilterra, amando particolarmente quest’ultimo paese e cercando di carpire e far suoi i segreti del calcio albionico.
Uomo di grande cultura, contagiato da una passione che lo accompagna per tutta la vita e che gli riserva successi, ma anche momenti drammatici: oltre la cronaca sportiva, il racconto del calcio di quegli anni è un poema epico fatto di sfide leggendarie, trionfi e tragedie con campioni che somigliano ad eroi.
Ha, per quanto possibile in quel periodo, un discreto curriculum da calciatore e gioca tra l’altro nella squadra elvetica del Grasshoppers (anni 1905-1906) che lascia per tornare nella sua Torino, dove contribuisce a fondare il Torino Football Club, squadra nella quale milita per 5 stagioni da giocatore (1906-1911) e, dopo il ritiro dall’attività, per altre dieci da direttore tecnico (1912-1922).
Completati gli studi, entra nella Pirelli dove diviene dirigente, aderendo nel frattempo con entusiasmo alla fondazione prima del Torino Football Club e poi della Figc. Il 29 giugno del 1912 gli viene proposta la guida della Nazionale Italiana inviata alle Olimpiadi di Stoccolma e lui abbandona addirittura il suo incarico da dirigente alla Pirelli affascinato da quella maglia, nel frattempo divenuta azzurra, in omaggio alla casa reale con lo stemma sabaudo, che si rivela un richiamo irresistibile. Quando il 3 luglio termina la competizione, Pozzo torna al suo lavoro di tutti i giorni e lascia il suo incarico di allenatore dopo solo 3 partite.
Vittorio Pozzo, che aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale da tenente degli Alpini, da quella esperienza e in particolare dalla vita in trincea trasse un rigore morale e un’educazione all’essenzialità spartana che cercò poi di applicare nei rapporti umani e alla professione sportiva. Ama caricare i giocatori ricordando loro la battaglia del Piave o facendoli cantare le canzoni degli alpini, ma dimostra una rigorosa serietà morale e le doti di un maestro nel creare lo spirito di gruppo cementando i rapporti personali. Fu il primo a usare i “ritiri” in preparazione all’evento sportivo, scegliendo tra l’altro sedi essenziali in omaggio al suo stile militaresco. Uno di quelli per cui la parola sacra è “ël travai”. Unico vezzo, due portafortuna: la scheggia della Coppa Internazionale (che essendo in cristallo di Boemia caduta per terra si era rotta in numerosi pezzi) vinta l’11 maggio 1930 battendo l’Ungheria a Budapest e un biglietto per l’Inghilterra, dono di un familiare, mai utilizzato. Viene richiamato per la seconda volta a guidare gli Azzurri in occasione delle Olimpiadi di Stoccolma del 1924, e stavolta rimane in carica per 2 mesi, dal 9 marzo al 4 giugno, per poi dimettersi dopo aver guidato la squadra per 5 incontri per dedicarsi alla moglie, che di lì a poco muore causa una malattia incurabile, e al lavoro trasferendosi a Milano dove oltre all’Ufficio propaganda della Pirelli fà il giornalista per “La Stampa”.
Nel 1929, dopo le esperienze di Augusto Rangone (1925-28) e Carlo Carcano (1928-29), accetta per la terza volta, dopo non poche resistenze e solo a condizione di non essere retribuito, la richiesta da parte del presidente della Figc Leonardo Arpinati di guidare la Nazionale. Stavolta Pozzo rimane in carica per 19 anni, dal 1929 al 1948, e dirige la squadra per ben 87 incontri. È un periodo d’oro per gli Azzurri, contrassegnato dai titoli mondiali del 1934 e del 1938, inframmezzati nel 1936 da un titolo olimpico e da due Coppe Internazionali. A chi lo critica per aver convocato giocatori oriundi nel vittorioso mondiale del 1934, riferendosi al fatto che gli stessi prestavano servizio nell’esercito, risponde: “Se possono morire per l’Italia, possono anche giocare per l’Italia”.
Si rifugia durante la guerra nella casa di famiglia a Ponderano nel biellese, ma al termine del conflitto Pozzo ritorna in città e riprende l’incarico di commissario tecnico che porta avanti sino al 16 maggio 1948, data che segna il definitivo tramonto della sua stagione: a Torino, l’ennesima sfida contro l’Inghilterra è persa con il pesante risultato di 0 a 4. Dopo l’umiliazione casalinga, Pozzo si dimette definitivamente. Al momento del suo ritiro è stato Commissario Tecnico della Nazionale per 6.927 giorni: un primato difficilmente eguagliabile. Ha collezionato 97 panchine con la Nazionale, con un totale di 64 vittorie, 17 pareggi e 16 sconfitte. La sua percentuale di vittorie è pari al 65,97% delle partite giocate: anche questo un record tra i CT azzurri. Continua a fare il giornalista per il quotidiano torinese. Il suo ultimo, straziante, atto ufficiale, nel 1949, è il riconoscimento dei corpi dilaniati nella tragedia di Superga del 4 maggio 1949 dove muoiono i giocatori del Grande Torino, suoi amici ed allievi. Grande dolore per lui, quando con coraggio, ma anche in uno struggimento simile a quello di un padre addolorato, è chiamato a riconoscerne i corpi. Tra il 1948 ed il 1958 Vittorio Pozzo partecipa piuttosto assiduamente, in qualità di consigliere nel direttivo tecnico, alla creazione del Centro Tecnico Federale di Coverciano. Negli anni a seguire viene chiuso in una specie di recinto dall’ottusità di un mondo che non gli perdona il successo passato, accusandolo di convivenze col Regime fascista e in seguito, anche un’infelice presenza nel quiz televisivo “La Fiera dei Sogni” con Mike Bongiorno lo porta a isolarsi ulteriormente sino alla sua morte che avviene il 21 dicembre 1968, in una sorta di oblio che non fa onore al nostro calcio. Dopo la morte, è oggetto di un’ingiusta damnatio memoriae culminata nel ’90, anno dei Mondiali in Italia, con la mancata intitolazione dello stadio “Delle Alpi” di Torino a suo nome. Vittorio Pozzo se n’è andato nel silenzio generale e forse non ha avuto i riconoscimenti che un tecnico vincente come lui avrebbe meritato, infatti è difficile se non pressochè impossibile che un Commissario Tecnico possa in futuro fare meglio. Riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Ponderano e la sua lapide recita:
Vive nel futuro. Dove l’azzurro delle maglie diventa l’azzurro dei cieli.
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