Incontro di Ricciotti Garibaldi col Parroco Vico Antonio alla posa della prima pietra dell’ Ospedale Civile di La Maddalena il 30 giugno 1907 ( materiale prof. Castelli)

 

Ricciotti Garibaldi (Montevideo24 febbraio 1847 – Riofreddo17 luglio 1924) è stato un politicopatriota e condottiero italiano.

Vita

Nato in Uruguay da Anita e Giuseppe Garibaldi, trascorse l’infanzia tra NizzaCaprera e l’Inghilterra. Quarto figlio dell’eroe dei due mondi, venne cosi chiamato in ricordo di Nicola Ricciotti, fucilato dai borbonici nel corso della spedizione dei Fratelli Bandiera. Sposò l’inglese Costanza Hopcraft con la quale tentò sfortunate imprese commerciali in America e in Australia. Fu eletto membro della Camera dei deputati del Regno d’Italia dal 1887 al 1890.

Attività politica e militare

Dopo l’unità d’Italia, Ricciotti andò a vivere assieme al padre sull’isola di Caprera. Qui conobbe Bakunin che fu ospite di Garibaldi per quattro giorni a Caprera nel 1863.[1] Dal 1865 si stabilì a Napoli iniziando a propagandare idee repubblicane e libertarie.

Nel marzo 1864, assieme al fratello Menotti, il giovane Ricciotti accompagnò il padre nel suo viaggio in Inghilterra, durato circa due mesi, in quello che fu la sua prima comparsa pubblica.

Arruolatosi nelle Guide a cavallo del corpo dei volontari garibaldini, prese parte nel 1866alla terza guerra d’indipendenza. Ricevette il battesimo del fuoco durante la battaglia di Bezzecca, guidando una carica contro gli austriaci e portando la bandiera del reggimento.[2]

L’anno successivo, sempre a seguito del padre, partecipò al fallito tentativo di conquistare Roma partecipando il 26 ottobre 1867 alla conquista di Monterotondo e combattendo nella Battaglia di Mentana al comandando di uno squadrone di Guide a cavallo.

Nel 1867 Ricciotti, con Raffaele PiccoliGiuseppe Foglia e Antonio Miceli [3] aderì ad un movimento filo-repubblicano guidato in Calabria da un vecchio garibaldino, l’avvocato Giuseppe Giampà che aveva dato nascita ad un foglio politico “La luce calabra” propugnante fortemente l’ideale repubblicano. Il movimento sostenne, tra il 6 e 7 maggio1870, il tentativo di fondare la repubblica libertaria, di ispirazione bakunista di Filadelfia, nei territori compresi fra Filadelfia, MaidaCuringa[4] venne stroncato incruentemente dall’arrivo delle truppe del Regio Esercito con l’arresto dei principali capi dopo pochi giorni.[5] Ricciotti, sfuggito all’arresto, tentò un’ultima difesa occupando temporaneamente Monterosso Calabro, prima che il movimento vennisse definitivamente disperso a seguito di uno scontro a Cortale; quindi si nascose a Cortale presso il massone e liberale Antonio Cefaly[6] che lo convinse a desistere dal proseguire la lotta. Sebbene l’attività del piccolo movimento repubblicano si esaurì presto, l’episodio ebbe echi giudiziari e parlamentari rilievanti.[7]

Nell’ottobre 1870, seguendo il padre, partecipò alla Guerra_franco-prussiana, combattendo nei Vosgi, dove occupò Chatillon comandando la 4ª brigata di volontari garibaldini e conquistò a Pouilly, durante la battaglia di Digione la bandiera del 61º reggimento tedesco Pomerania, l’unica bandiera prussiana persa durante la guerra, terminata con la sconfitta francese. Alla firma dell’armistizio franco prussiano la municipalità di Lione gli offrì il comando della guardia nazionale cittadina, incarico che rifiutò su suggerimento del padre, memore delle incomprensioni avute a Montevideo comandando come straniero truppe patriottiche, portandosi a Parigi per osservare lo svolgersi delle vicende della Comune di Parigi (1871) [8].

Il suo impegno rivoluzionario proseguì quando Giuseppe Garibaldi ruppe definitivamente con Mazzini prendendo posizione favorevole verso la Prima Internazionale dei lavoratori e nel novembre 1871 Ricciotti era a Londra dove visitò Karl Marx e nella sua casa incontrò anche Engels ,che così diceva di lui:  [9]                     

« Ho veduto stamattina, da Marx, Ricciotti Garibaldi; è un giovanotto assai intelligente, molto tranquillo, ma piú un soldato che un pensatore. Può però diventare assai utile. Proprio come il vecchio [Giuseppe Garibaldi] egli mostra nelle sue teorie piú buona volontà che chiarezza, e non pertanto la sua ultima lettera a Petroni è per noi d’un valore infinito… Ci può ella procurare un indirizzo sicuro a Genova? Si tratta di fare avere con sicurezza le nostre cose a Caprera, e Ricciotti dice che molto viene intercettato » Engels

La sua popolarità fra circoli operai e anarchici aumentava e, dopo la morte di Giuseppe Mazzini, assieme a qualche mazziniano e a qualche garibaldino fondò nell’agosto 1872, riunendo 300 persone al teatro Argentina, l’associazione dei Franchi cafoni o “associazione dei Liberi Cafoni”, denominazione con richiami contadini, e probabilmente di ispirazione bakuniana[10] con cui avrebbe voluto riunire i democratici italiani per organizzare la “democrazia pura” [11]. Il nome dell’organo di stampa del movimento: “Spartacus” e’ indicativo dei propositi rivoluzionari dell’associazione, che tra i suoi obiettivi poneva quello del suffragio universale [12]. L’associazione ben presto assunse i caratteri di associazione di ideali socialisti finendo in poco tempo per essere disciolta dalla questura romana [13].

Nel 1874 si sposo’ con l’inglese Constance Hopcraft trasferendosi per 7 anni Australia dove nacque il figlio Peppino.

Nel 1897 combatte’ in Grecia a Domokos, dove i garibaldini si sacrificarono lasciando sul campo, tra gli altri, il deputato repubblicano Antonio Fratti, per coprire la ritirata all’esercito greco, e nel 1912 a Drisko, al comando di un corpo di camicie rosse, combattendo in difesa della Grecia contro l’Impero Ottomano.

Convinto interventista, non partecipò direttamente -ormai non più giovane- alla prima guerra mondiale, animando tuttavia il fronte interno. Successivamente, nei primi anni del dopoguerra, manifestò il suo appoggio all’impresa dannunziana, offrendosi per supportare con i suoi uomini l’estensione al Montenegro delle vocazioni espansionistiche dei legionari fiumani. Aderì al fascismo, ricevendo personalmente Benito Mussolini, conosciuto durante il periodo irredentista, in occasione di una sua visita a Caprera il 2 giugno 1923[14]

Approfondimento

La Guerra,il dopoguerra,l’adesione al fascismo e la morte

Ormai impossibilitato dall’età avanzata a combattere, all’entrata in guerra dell’Italia il G. fu uno degli animatori del fronte interno, cui offriva la memoria di una tradizione di patriottismo che si perpetuava attraverso la sua famiglia (il figlio Peppino si comportò valorosamente sul Col di Lana). Poi, nell’immediato dopoguerra, appoggiò l’impresa dannunziana e si candidò per sostenere coi suoi volontari l’estensione al Montenegro
delle mire espansionistiche dei legionari fiumani: stavolta fu il presidente F.S. Nitti a bloccarlo. In precedenza aveva provocato molte reazioni negative un suo intervento a un comizio romano (marzo 1918) con cui aveva chiesto la convocazione di una Costituente per rinnovare su basi repubblicane il paese. Gli ultimi anni del Garibaldi trascorsero tra la residenza di Riofreddo e il luogo di culto di Caprera, dove il 2 giugno 1923 accolse B. Mussolini – che quand’era socialista aveva visto in lui una caricatura del garibaldinismo – con un discorso che affermava “la storica connessione fra le camicie rosse e le camicie nere” (ma va anche ricordato il consiglio da lui dato allo stesso Mussolini di restituire il Dodecaneso alla Grecia). Il Garibaldi morì a Riofreddo il 17 luglio 1924 e, dopo solenni funerali di Stato che videro una larga partecipazione di folla, fu sepolto nel cimitero romano del Verano.

Discendenti

Ebbe otto figli da Constance Hopcraft.

Sette maschi:

Una figlia:

Note

  1. ^ Fabrizio Montanari, Garibaldi e Bakunin in Rivista anarchica, anno 37 n. 329, ottobre 2007 online
  2. ^ cfr pag 74 Angelo Umiltà, I volontari del 1866 ovvero da Milano alle Alpi Rezie, Vol II, Milano, 1866 [1]
  3. ^ cfr pag. 46 Rosalia Cambareri, La massoneria in Calabria dall’Unità al fascismoBrenner, 1998
  4. ^ Gaetano Cingari, Storia della Calabria dall’unità a oggi, Laterza, 1982, p. 405.
  5. ^ Giuseppe Mazzini, Scritti editi ed inediti, vol. 88, Cooperativa tipografico-editrice P. Galeati, 1940, p. 46.
  6. ^ futuro senatore del Regno d’Italia, cfr. Scheda su Antonio Cefaly dal sito del Senato italiano.
  7. ^Augusto Placanica, Storia della Calabria: dall’antichità ai giorni nostriRomaDonzelli Editore, 1999, p. 345. ISBN 88-7989-483-8
  8. ^ Cfr. pag 96 Zeffiro Ciuffoletti, Arturo Colombo, Annita Garibaldi Jallet,I Garibaldi dopo Garibaldi: la tradizione famigliare e l’eredità politica, P. Lacaita, 2005
  9. ^ Nello Rosselli in Mazzini e Bakunin, Liberliber, riporta le parole di Engels:
    « Ho veduto stamattina, da Marx, Ricciotti Garibaldi; è un giovanotto assai intelligente, molto tranquillo, ma piú un soldato che un pensatore. Può però diventare assai utile. Proprio come il vecchio [Giuseppe Garibaldi] egli mostra nelle sue teorie piú buona volontà che chiarezza, e non pertanto la sua ultima lettera a Petroni è per noi d’un valore infinito… Ci può ella procurare un indirizzo sicuro a Genova? Si tratta di fare avere con sicurezza le nostre cose a Caprera, e Ricciotti dice che molto viene intercettato »
    (Engels)
  10. ^ Cfr. pag 97 Zeffiro Ciuffoletti, Arturo Colombo, Annita Garibaldi Jallet, I Garibaldi dopo Garibaldi: la tradizione famigliare e l’eredità politica, P. Lacaita, 2005
  11. ^ vedi Cesare Cantù, Storia universale, Volume 2; Volume 12, Unione Tipografico-Editrice, 1886
  12. ^ vedi pag.83 Gaspare Nicotri, Franco Nicotri Freedom for Italy! Italian American press, 1942
  13. ^ vedi pag. 226 Émile de Laveleye, The socialism of today,Field and Tuer, 1885
  14. ^Il figlio di Garibaldi a Caprera con Mussolini, L’Unione Sarda, martedì 25 gennaio 2011.
  15. ^Ricciotti Garibaldi partigiano a Sant’Elia

 

Quartogenito di Giuseppe e di Anita Ribeiro da Silva, nacque a Montevideo il 24 febbr. 1847 e, come già il fratello Menotti, fu battezzato con il nome di un mazziniano, il frusinate Nicola Ricciotti, fucilato con i fratelli Bandiera il 25 luglio 1844 in Calabria. Trasferitasi la famiglia in Italia all’inizio del 1848, trascorse l’infanzia a Nizza dove, mentre frequentava un seminario tenuto dai gesuiti e poi distrutto da un incendio di cui molto tempo dopo gli si sarebbe attribuita la responsabilità (Roma, Museo centr. del Risorgimento, b. 1034/104/5), fu cresciuto dalla nonna paterna e da un’amica del padre, la signora Deideri, la cui prima cura fu quella di alleviare gli effetti di una caduta che ancora piccolo lo aveva reso storpio. L’infortunio, la cui gravità poté essere attenuata nel tempo (alla fine del 1858 il padre diceva di lui che era in grado di “camminare senza zoppicare”, Epistolario, III, p. 197), ma solo fin quando una ferita riportata in Francia nel 1871 lo costrinse all’uso delle grucce, condizionò probabilmente il suo carattere e certo ebbe un effetto sulla sua educazione che, proprio per metterlo in grado di ricevere cure più efficaci, ebbe luogo in Inghilterra, sotto la tutela di altre amiche del padre, Emma Roberts e Jessie White Mario, che tra Londra, Liverpool e Manchester gli fecero seguire studi di ingegneria e mineralogia.

Ho veduto stamattina, da Marx, Ricciotti Garibaldi. E un giovanotto assai intelligente, molto
calmo, ma più un soldato che un pensatore. Può però diventare assai utile. Mostra nelle
sue teorie più buona volontà che chiarezza, proprio come il vecchio, la cui ultima lettera a
Petroni, tuttavia, è per noi d’un valore infinito. Se i suoi figli sapranno dimostrare in tutte
le grandi crisi lo stesso giusto istinto del vecchio, potranno far molto. Non avete la
possibilità di procurarci un indirizzo sicuro a Genova? Si tratta di far arrivare con sicurezza
le nostre cose al vecchio a Caprera, e Ricciotti dice che molto viene intercettato…..Engels.

Intanto, in Italia aveva inizio il decennio che avrebbe visto il padre impegnato, con esito spesso doloroso, nel completamento dell’unificazione nazionale. Al Ricciotti, che avrebbe voluto prendervi parte sin da giovanissimo, fu invece imposta la prosecuzione degli studi, intervallata da qualche breve soggiorno a Caprera e da una sola apparizione pubblica: la presenza a fianco del padre durante il viaggio in Inghilterra dell’aprile 1864.

Finalmente, allo scoppio della guerra del 1866 per la liberazione del Veneto, il padre lo accolse nel corpo dei volontari assegnandolo alle guide a cavallo; e il 21 luglio, a Bezzecca, Ricciotti, affrontando con coraggio il fuoco austriaco, dimostrò di non essere indegno della camicia rossa. La sua ambizione era però anche quella di avere un ruolo importante nella cospirazione internazionale e di qualificarsi come l’autentico erede di una tradizione ultratrentennale di lotta per la libertà dei popoli. In collegamento con i tanti esuli che gravitavano attorno a Caprera studiò piani e progetti insurrezionali che poi, viaggiando instancabilmente da un paese all’altro, cercava di tradurre in atto, senza sfuggire però alla assidua sorveglianza dei governi della Destra che, sapendolo in contatto con G. Mazzini, lo ritenevano oltremodo pericoloso: nel marzo del 1867 era segnalato in Grecia, impegnato su incarico del padre a organizzare una banda armata da impiegare nell’insurrezione di Creta (ma allora furono gli stessi Greci, dietro pressione della diplomazia delle potenze, a imporre ai volontari italiani il rimpatrio); l’anno dopo lo si avvistava a Londra, interessato forse a trattare una partita di fucili e a incontrare il Mazzini; nel 1869 lo si vedeva cercare rifugio a Corfù in seguito al fallimento di una rivolta nel Catanzarese da lui capeggiata. Intanto, a chiusura dell’iniziativa con cui il padre aveva tentato di far cadere con la forza il potere temporale, si era già verificato lo sfortunato episodio di Mentana (3 nov. 1867), preceduto di pochi giorni dall’assalto a Monterotondo, dove il G., al comando di un plotone di guide, aveva fatto il possibile per “distinguersi sotto gli occhi del padre” (White Mario, II, p. 119).

Che fosse in ascesa sul piano militare lo provarono gli eventi che accompagnarono la fine dell’Impero napoleonico in Francia. Accorso col padre e col fratello Menotti a difendere la neonata Repubblica dall’invasione dei Prussiani e posto alla testa della IV brigata – un corpo formato inizialmente di poche centinaia di franchi tiratori, in gran parte francesi -, il G. si rese protagonista, più del fratello, di alcuni bei colpi di mano, come quando il 20 nov. 1870, a Châtillon-sur-Seine, assalì di sorpresa il presidio nemico, fece qualche centinaio di prigionieri, requisì materiale bellico e si ritirò prima del contrattacco. Celebre divenne poi la conquista della bandiera del 61° reggimento di fanteria, sottratta ai Tedeschi – unico caso in tutta la guerra – nell’ultimo giorno della battaglia di Digione (23 genn. 1871), dopo che il G., asserragliato con i suoi uomini in una vecchia fabbrica, aveva avuto ragione degli attacchi nemici, bloccando così il pericolo di una controffensiva. Anche sul piano politico il suo peso era cresciuto. Alla firma dell’armistizio franco-prussiano e mentre il Municipio di Lione lo nominava generale comandante della guardia nazionale cittadina, il padre lo incaricava di portarsi a Parigi per osservare da vicino gli sviluppi della Comune, raccomandandogli altresì di tenersi in disparte in caso di guerra civile. In ragione di ciò gli venne accreditata qualche simpatia per l’Internazionale, confermata più tardi da una visita in casa di K. Marx a Londra e da un brindisi in suo onore pronunziato dal G. al termine di una manifestazione tenutasi a Roma il 10 sett. 1871; ma più che sullo sfondo di una penetrazione dell’Internazionale in Italia tutto ciò va visto nel contesto del clima di rottura con i mazziniani originato dalle polemiche sul dopo-Mentana.

Invero le sue azioni non erano prive di ambiguità e spesso erano contraddistinte da una larvata commistione tra interessi politici e personali. Il padre, che si era reso conto di come egli possedesse “molto genio, nessuna volontà di lavorare” (lettera ad A. Depretis del 24 apr. 1869; v. Roma, Arch. centr. dello Stato, Carte Depretis, b. 4), dovette presto abituarsi alla disinvoltura con cui egli cercava di sfruttare il proprio cognome o ipotecava la metà dell’isola di Caprera a lui destinata; e forse fu per questi comportamenti e per altri screzi di tipo familiare (non aveva mai avuto simpatia per Francesca Armosino, che il padre avrebbe sposato nel 1880 ma che già gli aveva dato tre figli) che il G. decise di lasciare l’Italia e, dopo il matrimonio con l’inglese Constance Hopcraft (1874), si trasferì in Australia, dove rimase sette anni adattandosi a vari mestieri e dove nel 1879, a Melbourne, gli nacque Giuseppe (“Peppino”), primo dei suoi dieci figli.

In Italia tornò nel 1881, ma qualcosa delle antiche ruggini era rimasta, e all’indomani del 2 giugno 1882 la stampa non mancò di sottolineare che, diversamente dal fratello Menotti, egli non era stato vicino al padre morente. Fu però il più pronto, malgrado la mancanza di linearità, a rivendicarne l’eredità morale o, quanto meno, a servirsi del nome che portava per farsi strada nel mondo romano degli affari e delle speculazioni, soprattutto edilizie, senza peraltro rinunziare a una chiassosa presenza nelle associazioni politiche cittadine e anzi ostentando atteggiamenti sovente intrisi di demagogia e comunque assai ostili alle altre formazioni democratiche. Significativo – in questi anni tra il 1882 e il 1883 in cui si pose alla testa dei “programmi di trasformazione edilizia” della capitale (Cafagna, p. 732) -, è il vincolo che lo legò a un avventuriero privo di scrupoli come F. Coccapieller, di cui finanziò due giornali, l’Eco dell’operaio e l’EzioII, pensati essenzialmente per attaccare la democrazia romana, diffamarne i maggiori esponenti e aprire la strada a una propria candidatura al Parlamento. In un dilagare di calunnie e insinuazioni e con i giornali avversari che lo accusavano esplicitamente di essere un truffatore (tanto che il fratello cercò invano di convincerlo a cambiare aria), si giunse finalmente alle elezioni dell’ottobre 1882 e alle suppletive del giugno e luglio 1883: furono tre cocenti delusioni da cui il G. poté riprendersi solo nel maggio del 1887, quando il collegio di Roma I lo elesse deputato con 4000 preferenze. Negli stessi giorni cominciavano a venire al pettine i nodi della sua disastrosa situazione finanziaria: in pochi mesi fu tutto un succedersi di sequestri, pignoramenti, ingiunzioni di pagamento, il tutto culminato nel fallimento dei Cantieri Garibaldi, una delle sue tante speculazioni in quel settore edile che come deputato aveva cercato di sostenere in Parlamento. Nel luglio del 1890 il G. si dimise irrevocabilmente; nel 1893 lo raggiunse la “deplorazione” della commissione d’inchiesta sullo scandalo della Banca Romana. Quasi avesse avvertito la necessità di defilarsi, il G. si ritirò con la famiglia a Riofreddo (presso Roma), in una casa comprata – scriverà una sua discendente – “perché questa era l’ultima, in ordine di tempo, delle forme che il Governo gli aveva imposto come decoroso confino dopo una serie di disavventure finanziarie” (Annita Garibaldi, p. 24).

Se confino effettivamente fu, per uscirne, per dimostrare che era sempre un Garibaldi, si ricollegò al proprio passato – si fregiava ormai del grado di generale -, riscoprì la camicia rossa, simbolo glorioso dell’aiuto da prestare ai popoli oppressi, e nell’aprile del 1897, previo accordo col governo d’Atene, salpò per la Grecia dove raccolse qualche migliaio di volontari armati, italiani e stranieri, che guidò allo scontro con i Turchi: uno scontro non fortunato, quello di Domokos, che costò la vita ad alcuni garibaldini e non modificò le sorti sfavorevoli della guerra. Il racconto che il G. avrebbe poi fatto di questa impresa nel libro La camicia rossa nella guerra greco-turca (1897) (Roma 1897), sarebbe stato ristampato nel 1937 a cura della Federazione nazionale volontari garibaldini. Nel suo ormai evidente sforzo di ricalcare l’esperienza paterna il G. non poteva trascurare il Sudamerica, dove lo portò nel luglio 1899 non un evento bellico ma l’idea di avviare, d’intesa con il principe B. Odescalchi e con alcuni ambienti cattolici romani, un esperimento di colonizzazione in Patagonia che, prevedendo in cambio della fondazione di colonie “militari” la concessione da parte del governo argentino di un’area vastissima (85 milioni di ettari), se attuato si sarebbe risolto in un investimento assai lucroso, presentato peraltro come strumento per difendere il territorio argentino al confine con il Cile, combattere l’emigrazione selvaggia e razionalizzare lo sfruttamento delle risorse. Per quanto avesse ricevuto l’appoggio di un ex presidente dell’Argentina, il disegno, illustrato dalla stesso G. in una pubblicazione intitolata Progetto di colonizzazione della Patagonia presentato all’eccellentissimo governo della Repubblica argentina… (Roma 1899), contenente anche la bozza del contratto di concessione, non andò in porto. Fedele all’immagine di continuatore della tradizione garibaldina e quasi venerato da chi la considerava ancora operante, il G. guardava sempre allo scacchiere balcanico, dove lo scorcio finale della dominazione turca e le varie lotte nazionali parevano giustificare la sopravvivenza del volontariato militare. Con questo profilo di liberatore, offerto ancora all’opinione pubblica nel 1902 quando, come presidente del Consiglio albanese d’Italia, si disse disponibile a un intervento nell’Albania in lotta con i Turchi, recuperava il prestigio compromesso da talune uscite estemporanee (quale quella che nel 1889 gli faceva auspicare un accordo tra repubblicani e cattolici avente come obiettivo la creazione di una repubblica federale) e guastato dalle liti familiari che, soprattutto dopo la morte dei fratelli Menotti e Teresita, lo avevano messo in rotta totale per questioni ereditarie con i figli che il padre aveva avuto dalla Armosino e che egli si ostinava a non riconoscere come legittimi discendenti.

Ma il ruolo di unico depositario degli ideali paterni gli si addiceva sempre meno, anzitutto perché in molti di coloro che gli chiedevano di arruolarsi ai suoi ordini la passione libertaria del garibaldinismo delle origini era stata sostituita da uno spirito mercenario non dissimile da quello di una legione straniera, e poi perché lui stesso era venuto innestando sulla causa della autodeterminazione dei popoli oppressi contenuti di stampo nazionalistico, quali l’opportunità di estendere l’influenza italiana alle aree sottratte alle potenze turca e austro-ungarica, il che, unitamente alle sue periodiche professioni di fede repubblicana, avrebbe finito per suscitare qualche comprensibile imbarazzo nei governanti italiani: lo si vide non tanto nell’ultima sua campagna (quella del 1912 in Grecia, quando su richiesta di quel governo e d’accordo con gli Inglesi organizzò una spedizione internazionale di 12.ooo volontari che si schierarono in Macedonia e il 14 dicembre affrontarono i Turchi a Drisko, senza però poter resistere alla successiva controffensiva), quanto nell’appoggio da lui dato all’impresa libica e, soprattutto, nella posizione interventista assunta al momento dello scoppio della prima guerra mondiale. Già nel 1914 il G. avrebbe voluto che l’Italia, entrando in guerra, allentasse la morsa sulla Francia e sul Belgio invasi; in attesa che ciò si verificasse, spinse il figlio Peppino a raccogliere una legione che fu impiegata nelle Argonne dove altri due suoi figli, Bruno e Costante, persero la vita, rispettivamente il 26 dic. 1914 e il 5 genn. 1915. Questi gravissimi lutti ebbero l’effetto di legittimare ulteriormente il G., che intraprese un viaggio nelle capitali europee durante il quale incontrò alcuni tra i maggiori statisti del tempo (tra gli altri i francesi R. Poincaré e A. Millerand e gli inglesi E. Grey e D. Lloyd George), prospettando loro la possibilità di formare un corpo di 30.000 volontari ma parlando anche di una nuova sistemazione nel Mediterraneo assai vantaggiosa per l’Italia. Non se ne fece nulla, e anche i passi successivi (ipotesi di formazione di una legione garibaldina, progetto di una spedizione nei Balcani) furono lasciati cadere, la prima per l’ostilità dello stato maggiore, il secondo per il veto di S. Sonnino. Ormai impossibilitato dall’età avanzata a combattere, all’entrata in guerra dell’Italia il G. fu uno degli animatori del fronte interno, cui offriva la memoria di una tradizione di patriottismo che si perpetuava attraverso la sua famiglia (il figlio Peppino si comportò valorosamente sul Col di Lana). Poi, nell’immediato dopoguerra, appoggiò l’impresa dannunziana e si candidò per sostenere coi suoi volontari l’estensione al Montenegro delle mire espansionistiche dei legionari fiumani: stavolta fu il presidente F.S. Nitti a bloccarlo. In precedenza aveva provocato molte reazioni negative un suo intervento a un comizio romano (marzo 1918) con cui aveva chiesto la convocazione di una Costituente per rinnovare su basi repubblicane il paese. Gli ultimi anni del G. trascorsero tra la residenza di Riofreddo e il luogo di culto di Caprera, dove il 2 giugno 1923 accolse B. Mussolini – che quand’era socialista aveva visto in lui una caricatura del garibaldinismo – con un discorso che affermava “la storica connessione fra le camicie rosse e le camicie nere” (ma va anche ricordato il consiglio da lui dato allo stesso Mussolini di restituire il Dodecaneso alla Grecia). Il G. morì a Riofreddo il 17 luglio 1924 e, dopo solenni funerali di Stato che videro una larga partecipazione di folla, fu sepolto nel cimitero romano del Verano.

http://www.garibaldi200.it/

http://www.ereditadigaribaldi.net/annexes.php?annex=costanzahttp://fondazione.bergamoestoria.it/allegati/Riv7_garibaldi.pdf

Riccioti Garibaldi ebbe 10 figli viventi da Constance Hopcraft:

1 – Costance Rosa Garibaldi (1876-1958)
2 – Anita Italia (1878-1962)
3 – Giuseppe ‘Peppino’ Garibaldi (1879 – Roma 1950)
Irene Teresa Garibaldi (1880)
4 – Ricciotti Garibaldi jr (Roma 1881 – ivi, 1951)
5 – Menotti Garibaldi jr (1884 – Sri Lanka 1934)
6 – Sante Garibaldi (1885-1946) 
combatté alle Argonne nella prima Guerra mondiale inquadrato nella Legione straniera francese 
Arnaldo Garibaldi (1887-1888)
7 – Bruno Garibaldi (1889 – m. nellle Argonne, 1914)
8 – Costante Garibaldi (Roma 1892 – Argonne 1915)
9 – Ezio Garibaldi (1894 – 1969) 
combatté nelle Argonne e nelle Alpi, fu vicino al fascismo fino al 1940. 
10-Giuseppina ‘Josephine’ Garibaldi (Riofreddo 26 maggio1895-1971)