LEGGI SOTTO
di Lorenzo Pitaccolo classe V A 2017
Istituto Istruzione Superiore Statale
Classico – Linguistico – Artistico
LICEO GIUSEPPE E QUINTINO SELLA – BIELLA
Tesina Esame di Stato di
LORENZO PITACCOLO – 5a A
A.S. 2016/17
ORIANA FALL
INTRODUZIONE
Oriana Fallaci è stata una delle giornaliste e scrittrici più importanti della seconda metà del XX secolo. Donna affascinante, energica, fuori dagli schemi, coraggiosa e sempre controcorrente, nonostante il pessimo carattere è stata molto apprezzata, sia dai suoi estimatori sia dai suoi detrattori, per il suo impegno a raccontare sempre la verità. Nata nel 1929 e morta nel 2006, è stata testimone diretta degli eventi più importanti dell’età contemporanea. Quando era solo una ragazzina di quattordici anni entrò nel movimento Giustizia e Libertà, facendo da staffetta partigiana. Dopo gli studi iniziò la carriera giornalistica, quella che lei vedeva solo come un mezzo per arrivare al suo vero obiettivo: scrivere libri. Fu in realtà proprio il giornalismo a determinare il suo successo e a renderla un personaggio conosciuto in tutto il mondo e seguito quasi quanto, o anche di più, dei personaggi che lei intervistava. Fatta la gavetta a Cinecittà e a Hollywood con le stars degli anni ’50 e ’60, passò a fare la reporter di guerra, in Vietnam, esperienza terribile e al contempo sensazionale, che segnò il suo carattere e la portò per la seconda volta a contatto con la guerra e la morte. Fu una delle prime donne a farsi strada in un mondo che fino ad allora alle donne sembrava precluso. Intervistò i personaggi che fecero la Storia della seconda metà del Novecento: la maggior parte dei politici e dei generali passò sotto il suo vaglio, uscendone spesso distrutta e umiliata, grazie alla perspicacia e all’audacia di Oriana, che era sempre in grado di porre le domande più scomode e imbarazzanti. Inventò un modo tutto suo di intervistare e scrivere, le sue interviste erano dei veri interrogatori e le domande venivano preparate e studiate a tavolino nel minimo dettaglio, inmodo tale da cogliere impreparato l’intervistato e da fargli dire anche quello che non avrebbe voluto. È in questo modo che intervista personaggi illustri come Bob Kennedy, Kissinger, Arafat, Giap, Khomeini, Gheddafi e molti altri. Il successo è dovuto anche ai libri che scrive, che toccano le più svariate tematiche: dalla condizione delle donne alla guerra, dall’aborto all’amore, dall’uomo corrotto dal Potere all’uomo impegnato nella lotta contro la tirannide. In seguito alla sua ultima esperienza come reporter di guerra in Kuwait, si ammalò di cancro e iniziò quella che lei chiamava “la battaglia contro l’alieno”, che combatté fino alla morte. Isolatasi nella sua casa di New York perché disgustata da come il mondo si era trasformato negli ultimi decenni, iniziò a scrivere il suo ultimo libro Un cappello pieno di ciliege, opera monumentale che ha richiesto più di dieci anni di lavoro, alla quale Oriana si è dedicata con tutta l’anima per consegnare al pubblico un romanzo che raccontasse la storia della sua famiglia, una storia ricostruita nei minimi dettagli, con la minuzia di un cesellatore, dietro cui sta un incessante ed estenuante labor limae. Criticata aspramente per la sua posizione nei confronti dell’Islam radicale, negli ultimi anni della sua vita ha subito numerosi processi morali e attacchi su più fronti, miranti a distruggere la sua reputazione e a dipingerla come una vecchia amareggiata e xenofoba. Tutt’oggi Oriana continua ad essere guardata con diffidenza, proprio perché è un personaggio scomodo, che invita a riflettere, a non abbandonarsi all’inerzia culturale e di pensiero che sta affliggendo l’Europa al giorno d’oggi. Mantenere in vita il ricordo e l’esempio di questa donna così straordinaria e particolare può essere proprio un modo per contrastare tutto ciò.
L’INFANZIA E LA RESISTENZA
O
riana Anastasia Talide Fallaci nasce il 29 giugno 1929 a Firenze. Il padre, Edoardo Fallaci, è artigiano e possiede unapiccola bottega in cuirealizza mobili; la madre, Tosca Cantini,invece si occupa della famiglia e arrotonda i guadagni del marito facendo le pulizie in casa del cognato Bruno Fallaci. Entrambi i genitori sono fiorentini,ma in un’intervistaOriana aggiunge: «da parte di mia madre, tuttavia, esiste un “filone” spagnolo: la sua bisnonna era di Barcellona. Da parte di mio padre, un “filone” romagnolo: sua madre era di Cesena. Connubio pessimo, com’è ovvio, nei risultati temperamentali. Mi ritengo comunque una fiorentina pura. Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento. Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All’estero, quando mi chiedono a quale Paese appartengo, rispondo: Firenze. Non: Italia. Perché non è la stessa cosa». La famigliaFallaci è piuttosto povera e spesso si deve privare di molte cose, tuttavia papà Edoardo e mamma Tosca non rinunciano a un “vizio” in particolare: spendere i pochi risparmi che hanno per comprare libri. Ed è proprio nella Stanza dei Libri, un salotto destinato a biblioteca e per un periodo anche a sua camera da letto, che Oriana sviluppa l’amore per la letteratura; qui, ricorda, c’era uno scaffale di libri proibiti, che potevano leggere solo gli adulti, ma la curiosità la spinse un giorno a leggere Le Mille e una Notte, che la affascinò a tal punto che per tutta la vita continuò a collezionare molte copie dell’opera, anche in edizioni antiche e pregiate.
La famiglia Fallaci, pur essendo povera, si interessa di politica; entrambi i genitori sono accaniti antifascisti e Oriana si vanterà sempre per il fatto che nessuno di loro avesse mai preso la tessera del PNF (Partito Nazionale Fascista). Non a caso proviene da una famiglia eroica e anticonformista, che già nei secoli passati ha dato prova di coraggio, ribellandosi al regime napoleonico e partecipando attivamente al Risorgimento. Tosca addirittura è orgogliosa di avere avuto un padre anarchico che ha disertato durante la Prima Guerra Mondiale, guerra che riteneva un inutile massacro. L’infanzia di Oriana non è molto serena, infatti, alle difficoltà economiche e alla situazione politica italiana degli anni Trenta, si aggiungono le tensioni familiari, in particolare i litigi tra la madre e la nonna paterna, Giacoma Ferrieri, donna dal carattere forte e volitivo. Tosca, come molte donne italiane di allora, è costretta a dedicarsi esclusivamente alla famiglia, compresi i suoceri, mettendo spesso in secondo piano i propri interessi, e nella sua vita cercherà sempre di dare tutto alle figlie affinché possano fare ciò che lei non ha fatto, ossia studiare e intraprendere una brillante carriera.
Nel 1938 la piccola Oriana assiste a Firenze con la zia Febe al corteo in cui sfilano Mussolini e Hitler, acclamati da un’immensa folla, immagine che le rimarrà per sempre impressa nella memoria e che le ritornerà utile per fare confronti e delineare i tratti dei dittatori e dei potenti che intervisterà; tornata a casa, ricorda, «strillai tutta contenta: “Mamma! Ho visto Hitler! Ha un’aria proprio gentile!”. Ma la mamma mi fulminò con un’occhiata e puntando il mestolo disse: “Cretina, idiota. Io con la zia Febe non ti ci mando più!”».
L’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, segna profondamente la vita dell’allora undicenne Oriana. La situazione economica della famiglia peggiora e dal 1943 Firenze inizia a essere bombardata costantemente dagli Alleati. È per questo che la famiglia Fallaci deve spesso trasferirsi a Mercatale Val di Pesa. Un giorno Oriana affermerà: «Ero una bambina esperta di fame e di freddo e di paura». La guerra, infatti, segna profondamente la sua infanzia e sarà sempre presente nella sua vita e susciterà in lei sempre sentimenti contrastanti: da una parte l’odio e il disprezzo, perché essa rende gli uomini dei mostri e perché porta la morte, che lei considererà sempre uno spreco senza senso; dall’altra il fascino e l’attrazione irresistibile, aspetti che scopre nella sua esperienza in Vietnam e che la porteranno un giorno a dire: «Io non mi sono mai sentita tanto viva come dopo una battaglia dalla quale sono uscita viva e indenne. […] È dopo aver vinto quella sfida che ti senti così vivo. Vivo quanto non ti senti nemmeno nei momenti più ubriacanti di gioia o nei momenti più travolgenti d’amore». Durante gli intensi bombardamenti degli Alleati, la famiglia riescesempre a salvarsi: «Non mi persi un bombardamento: uno scherzo del destino mi faceva trovare sempre, per l’appunto, nel luogo colpito. Non mi successe mai nulla. Nel pericolo ho sempre una strana, anzi straordinaria fortuna». Ma una notte la loro casa viene completamente distrutta e con essa la cassapanca di Ildebranda, cassa di legno appartenuta alla quadrisavola Caterina Fallaci, contenente i cimeli di tutta la famiglia, tramandati di generazione in generazione; Oriana piangerà per sempre questa perdita, ma grazie al ricordo degli oggetti, delle lettere e delle altre cose contenute in essa svilupperà uno dei suoi libri più riusciti: Un Cappello Pieno di Ciliege, romanzo-saga della sua famiglia.
Nell’autunno 1943, in seguito all’armistizio di Cassibile tra Italia e Stati Uniti (stilato il 3 settembre e annunciato l’8), Edoardo entra a far parte della Resistenza, all’interno del nucleo cittadino Giustizia e Libertà, legato al Partito d’Azione; il suo ruolo è quello di guida della rivolta antifascista all’interno delle officine fiorentine Galileo. Anche la figlia, allora quattordicenne, collabora con la Resistenza, assistendo il padre e facendo da messaggera e da spola da un luogo all’altro con la sua bicicletta. Grazie all’aspetto infantile, dovuto alle treccine e dalla bassa statura, passa sempreinosservata alle truppe nazifasciste, riuscendo a portare a termine i propri incarichi. La Resistenza forgia ancor di più il suo carattere deciso e impavido; lei stessa afferma: «Tutto ciò che sono, tutto ciò che ho capito politicamente, lo sono e l’ho capito durante la Resistenza. Essa è caduta su di me come la Pentecoste sulla testa degli apostoli». All’interno di Giustizia e Libertà, Oriana, il cui nome di battaglia è Emilia, viene a contatto con grandi personaggi come Ugo La Malfa, Carlo Levi, Emilio Lussu e molti altri ancora, uomini spesso caratterizzati da un grande coraggio e senso del dovere, che nel bene e nel male le rimarranno per sempre impressi nella memoria; tutto ciò la porterà ad avere grandi pretese e aspettative da parte degli uomini e non a caso s’innamorerà quasi sempre di uomini impegnati civilmente e addirittura eroici, come il giornalista francese François Pelou, che conobbe a Saigon, e il poeta Alekos Panagulis, impegnato nella lotta contro la Dittatura dei colonnelli in Grecia.
Nel febbraio 1944 il padre viene scoperto, arrestato e portato a Villa Triste, dove viene sottoposto alla torturadal capitano Mario Carità. Quando finalmente Tosca scopre dov’era stato portato il marito, si reca per avere notizie dal capitano Carità, che le risponde che il giorno seguente sarebbe stato giustiziato; e lei: «Restò un attimo immobile. Fulminata. Poi, lentamente, alzò il braccio destro. Puntò l’indice contro Mario Carità e con voce ferma, dandogli del tu come se fosse un suo servo, scandì: “Mario Carità, domattina alle sei io farò ciò che dici. Mi vestirò di nero. Ma se sei nato da ventre di donna, consiglia a tua madre di fare lo stesso. Perché il tuo giorno verrà molto presto.”». Il giorno seguente il padre non viene giustiziato e successivamente viene liberato.L’attività dei Fallaci all’interno della Resistenza prosegue, tant’è che spesso sono costretti e privarsi del cibo per darlo a partigiani nascosti e rischiano in prima persona, ospitando due soldati inglesi. Nell’agosto 1944 Firenze viene liberata e l’attività politica del padre prosegue all’interno del PdA (Partito d’Azione) ed egli stessocontribuisce alla fondazione della FIOM fiorentina. Oriana viene congedata e riceve dall’Esercito italiano una paga di 15.670 lire, che è tentata di rifiutare perché secondo lei aveva solo fatto il proprio dovere; però alla fine la accetta per acquistare per sé e le due sorelle (Neera e Paola) delle scarpe, poiché non ne avevano più. Per il resto della sua vita, Oriana, mantiene vivo il proprio antifascismo, scagliandosi contro i fascismi sia di destra sia di sinistra. Allo stesso tempo cerca di impedire che il merito della Resistenza siaappannaggio esclusivo dei Comunisti, ricordando che tra i combattenti c’erano anche Socialisti, Azionisti, Cattolici, Monarchici, Liberali ecc.
IL MONDO DI HOLLYWOOD
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el 1944 la giovane Oriana si iscrive al liceo classico “Galileo Galilei” di Firenze e successivamente entra alla facoltà di medicina. Ben presto, però, scopre che l’amore per la scrittura e il giornalismo sono superiori, così interrompe gli studi per dedicarsi totalmente al suo lavoro al giornale. In principio lavora nel Mattino dell’Italia Centrale, ma nel 1951 si trasferisce a Milano alla redazione di Epoca, dove da poco lo stimato zio Bruno è direttore. L’incarico è più che meritato e non dovuto a favoritismi famigliari; anzi, per paura di essere accusato di nepotismo, Bruno Fallaci tratterà la nipote con maggiore severità rispetto agli altri dipendenti. Poco tempo dopo, Oriana passa a scrivere per il famoso settimanale L’Europeo, per cui lavorerà per gran parte della sua vita. Qui si occupa del cinema e delle celebrità, prima italiane e poi internazionali. Inizia così a viaggiare per tutto il mondo: Parigi, Londra, Teheran, New York, Los Angeles.
Nel 1956 una breve parentesi le permette di occuparsi di giornalismo politico: dopo innumerevoli insistenze, ottiene dal proprio redattore il permesso di occuparsi dell’insurrezione ungherese contro il regime sovietico. Si reca dunque in Austria, dove apprende che le frontiere dell’Ungheria sono state chiuse a causa dell’invasione dell’Armata Rossa. Non si dà per vinta e con un convoglio della Croce Rossa riesce comunque a raggiungere il paese e a fare il suo reportage.
L’esperienza segna un punto di svolta, perché al ritorno non riesce a immaginarsi di riprendere a occuparsi di pettegolezzi e del mondo dei divi, ma purtroppo è quello che deve fare; tuttavia da quel momento in poi tratterà questi argomenti più svogliatamente e con maggior disincanto. Alla fine degli anni Cinquanta è già alquanto famosa e anche molto temuta dalle stars di Cinecittà e Hollywood, per via delle sue interviste pungenti e rivelatrici. Ma la sua vera passione è scrivere libri, vede il giornalismo solo come un mestiere temporaneo e sogna un giorno di potersi dedicare esclusivamente all’attività letteraria. In questi anni scrive il suo primo libro I sette peccati di Hollywood, più che un libro unaraccolta delle sue interviste più famose.
Il biennio 1958-59 è un periodo nero per la scrittrice, che, innamoratasi profondamente di Alfredo Pieroni, corrispondente per un giornale italiano a Londra, dopo essere stata abbandonata, tenterà il suicidio assumendo dei sonniferi nella sua camera d’albergo, lontano dalla sua famiglia e dalla sua Italia. La ripresa è lenta e solo dopo un anno tornerà quella di prima e non parlerà mai più dell’argomento.
IL SESSO INUTILE E LA LUNA
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el 1961 il giornale, per aiutarla a riprendersi, le propone di intraprendere un viaggio per documentare la situazione delle donne nelle varie culture: Turchia, India, Giappone e Hawaii sono alcune delle sue tappe. Esperienza rivelatrice, e al contempo contraddittoria, che la porterà a scrivere nel libro Il sesso inutile(prodotto di questo viaggio): «Da un capo all’altro della Terra le donne, come gli uomini, vivono in modo sbagliato, senza quel sano equilibrio che dà la giustizia e il buon senso. O vivono segregate come le bestie di uno zoo, guardando il cielo e la gente dalla prigione di un lenzuolo che le avvolge come un sudario avvolge il cadavere, o vivono come domatori in giacca rossa e alamari, il frustino schioccante nella mano. […] Certo la schiavitù è terribile e gelida ma la libertà male intesa può essere altrettanto terribile e gelida».
Segue poi il suo primo romanzo Penelope alla guerra, ambientato a New York, città che aveva visitato anni prima e di cui si era subito innamorata. Le sue ultime interviste sono ancora più spietate verso le celebrità e il loro mondo, che vengono costantemente attaccati e ridicolizzati. Nel 1963 con Gli antipatici (altra raccolta d’interviste a celebrità) dice addio al mondo del cinema per dedicarsi ad argomenti più impegnati, come la politica, sua vera passione.
Comincia quindi a intervistare grandi personaggi e nel 1964 va a vivere con gli astronauti che dovranno sbarcare sulla luna, diventando amica di molti di loro. Ormai Oriana gira per il mondo e la sua casa non è più a Milano, ma a New York; spesso, però, torna in Toscana a far visita agli amati genitori. Grazie all’assiduo lavoro degli ultimi anni e ai diritti d’autore, si può permettere una vita agiata e compra una vasta tenuta con un’immensa casa in stile colonico a Greve in Chianti, dove si stabiliscono i genitori e dove spesso si rifugia per alcuni periodi per vivere immersa nella quiete famigliare e nella
natura delle colline toscane. L’esperienza con gli astronauti la porta a scrivere un nuovo libro: Se il sole muore, pensato come un dialogo a distanza tra Oriana e il padre Edoardo, uomo all’antica che non comprende l’utilità di andare sulla Luna.
Attratta, come la maggior parte dei giornalisti, da quella che prometteva di rivelarsi una guerra di portata storica, Oriana nel 1967 riesce ad ottenere, dal direttore de L’Europeo, il permesso di recarsi in Vietnam e di assistere come giornalista indipendente alle operazioni di guerra condotte dagli Americani. Vi si reca anche per comprendere la guerra e l’uomo e per capire che cosa sia la vita e dunque rispondere a dubbi esistenziali che fin dal lontano 1943 la tormentavano.
LA GUERRA DEL VIETNAM
L’antefatto e l’escalation
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l piccolo territorio del Vietnam (appena poco più esteso dell’Italia), situato nella penisola asiatica dell’Indocina, era stato fin da metà dell’Ottocento una colonia facente parte dell’Indocina Francese. Durante la Seconda Guerra Mondiale il territorio venne occupato dall’Impero Giapponese, finché al termine del conflitto, in settembre, il partito comunista e nazionalista Viet Minh, che sotto la guida di Ho Chi Minh aveva già organizzato una resistenza contro l’occupazione nipponica, dichiarò l’indipendenza di tutte le colonie francesi nel sud-est asiatico.
Iniziò così la Guerra d’Indocina, che dal 1945 si protrasse fino al 1954 con la netta sconfitta dell’esercito francese, il quale capitolò nella famosa e disastrosa battaglia di Dien Bien Phu (il cui spettro aleggerà per tutto il periodo della Guerra del Vietnam), per opera del generale Vo Nguyen Giap. Alla Conferenza di pace di Ginevra tenutasi lo stesso anno e a cui presero parte anche Regno Unito, Stati Uniti, Cina e URSS, venne sancita l’indipendenza dell’Indocina, divisa in tre stati autonomi: Laos, Cambogia e Vietnam. Quest’ultimo sarebbe dovuto rimanere separato in due stati (divisi lungo il 17° parallelo) fino al 1956, quando dopo aver svolto libere elezioni, i due territori si sarebbero dovuti riunificare. Temporaneamente il Vietnam del Nord divenne una repubblica popolare comunista presieduta dal famoso Ho Chi Minh e appoggiata da Unione Sovietica e Cina; il Vietnam del Sud, invece, divenne una repubblica su modello occidentale, ma di fatto rimase una dittatura con a capo il presidente Ngo Dinh Diem, appoggiato dagli USA.
Le elezioni e la riunificazione auspicate entro il 1956 non avvennero e mentre al nord si andava costituendo lo stato comunista senza troppe opposizioni da parte della popolazione, al sud il regime sempre più autoritario di Diem cominciava a trovare ostacoli, dovuti all’inefficienza dell’apparato burocratico (corrotto) e all’opposizione di gruppi di guerriglieri filo-comunisti, che dal 1960 si riunirono nel Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), meglio conosciuto come Viet Cong (“vietnamita rosso”), appoggiato economicamente e logisticamente da Hanoi, che cominciò adinviare anche infiltrati, che, grazie al sentiero di Ho Chi Minh, passando da Laos e Cambogia,riuscivano ad entrare di nascosto nel Vietnam del Sud. Parallelamente la presenza americana nel sud cominciò ad aumentare, dapprima durante le presidenze Eisenhower e Kennedy con un numero sempre maggiore di consiglieri militari, i quali spesso partecipavano attivamente alle operazioni antiguerriglia per arginare la presenza Viet Cong che dilagava nelle campagne. Nel 1962 venne persino costituito il MACV (Military Assistance Command, Vietnam), sotto il comando del generale P. Harkins e poi dal 1964 del generale W. Westmoreland, responsabile delle prime operazioni militari della Guerra del Vietnam.
Gli Stati Uniti entrarono in guerra ufficialmente contro il Vietnam del Nord il 2 marzo 1965, inseguito all’incidente nel golfo del Tonchino, dove delle navi statunitensi furono affondate dalla marina nordvietnamita. Da allora iniziarono bombardamenti sistematici del nord, compresa la capitale Hanoi, che si protrassero fino al 1968. Nel giro di poco tempo l’intero Vietnam del Sud si trasformò in un campo di battaglia: l’esercito americano e sudvietnamita, superiori militarmente, dovevano però fare i conti con una resistenza agguerrita, costituita da uomini e donne ben motivati, disposti a dare la propria vita pur di cacciare il nemico americano e portare il comunismo nel sud. Era oltremodo difficile mantenere il controllo del paese, costituito principalmente da aree rurali e boschive, in cui i Viet Cong potevano facilmente nascondersi e rimanere per mesi e poi piombare sul nemico nel momento più opportuno.
I primi tre viaggi nel Sud
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uesta è la situazione che trova Orianaquando arriva il 17 novembre 1967, munita di penna, taccuino e magnetofono e anche di un diario, che scrive per la sorellina Elisabetta per spiegarle che cosa sia la vita. Scesa all’aeroporto di Tan Son Nhut a Saigon (capitale del Vietnam del Sud) riamane subito colpita dal clima quieto in cui a ricordare la guerra sono solo i mezzi pesanti e le uniformi. Ben diversa è la situazione di notte, quando dalla sua camera dell’Hotel Continental vede l’orizzonte tingersi di rosso e ode per ore eore boati intensi: è questa l’atmosfera che si aspettava, che le riporta alla mente la sua infanzia durante i bombardamenti degli Alleati (d’altronde il ministro della difesa degli Stati Uniti McNamara aveva minacciato di sganciare in Vietnam più bombe di quante ne fossero state usate in Italia, Germania, Giappone e Corea del Nord nei conflitti precedenti). Decisa ad avere sempre le migliori informazioni, si reca all’Agence France Press, dove instaura un rapporto di amicizia con i giornalisti francesi, in particolare con François Pelou, che diventerà il suo principale confidente e con il quale instaurerà una relazione sentimentale.
Già il 20 novembre Oriana ottiene l’autorizzazione a recarsi alla base militare di Dak To. Dak To è poco più che un villaggio, situato a pochi chilometri dal confine con Laos e Cambogia, di grande importanza strategica perché allo sbocco del sentiero di Ho Chi Minh. Nei giorni precedenti era avvenuta una delle battaglie più sanguinose di tutta la Guerra del Vietnam e Dak To aveva minacciato di rivelarsi una Dien Bien Phu americana: circondato da colline dominate da Vietcong (7.000 uomini in tutto), l’accampamento sembrava perduto e solo l’intervento tempestivo del generale Westmoreland, che aveva mandato 10.000 paracadutisti, aveva salvato la situazione. Dak To non è l’unica base americana isolata, anzi la maggior parte di esse si trova nella medesimasituazione, proprio perché questa è una guerra diversa dalle altre: è una guerra senza fronte, dove il nemico si trova ovunque, nascosto nella jungla, infiltrato nelle grandi città, asserragliato in interi villaggi o basi militari circondate da americani, oppure sono proprio le basi americane ad essere circondate da territorio Viet Cong. E poi c’è il nemico concreto, quello che si trova al di là del 17° parallelo e cioè le truppe nordvietnamite, che ben rifornite dalla Cina e dall’URSS, continuano a bombardare il Vietnam del Sud, congiuntamente ad americani e sudvietnamiti, che sono costretti a bombardare il loro stesso territorio per sconfiggere il nemico interno.
Durante il viaggio dalla città di Pleiku a Dak To, la Fallaci ha modo di ammirare il paesaggio collinare e boschivo sottostante, un tempo un paradiso terrestre e ora costellato da mozziconi di alberi e fumate nere che salgono là dove sono state sganciate le famigerate bombe al napalm (bombe americane incendiarie). «Eppure come doveva essere bello e allegro il Vietnam quando non c’era la guerra. I monti dove ora si muore sono blocchi di giada e smeraldo, il cielo dove ora schizzano le bombe un’acqua color fiordaliso, il fiume che ora serve a spegnere gli incendi ha un’acqua così limpida e fresca. Come doveva essere semplice sentirsi feliciquaggiù andando a pescare sulle rive o a passeggiare nei boschi. Perché si deve sempre sporcare la bellezza?», annota nel suo diario che pubblicherà
nel 1969 col titolo Niente e così sia.
All’arrivo Oriana è paralizzata dalla paura, che ben presto supera di fronte a quella degli altri giornalisti; significative sono le testimonianze raccolte dai soldati americani, ognuno giunto in Vietnam per cause diverse e con delle aspettative e un’opinione ben presto mutate. Quella che doveva essere una guerra gloriosa, condotta per arginare il dilagare del
comunismo e salvare il democratico Vietnam del Sud, si era presto rivelata una guerra inutile, condotta spesso da generali cui non importavano le vite umane e voluta da una classe politica meschina per interessi economici e politici. La frustrazione dei soldati è al massimo, perché capiscono l’inutilità di certe operazioni e si sentono odiati dai Sudvietnamiti, che non li vedono affatto come liberatori, e disprezzati dai propri connazionali, che contestano la Guerra del Vietnam e le decisioni del presidente Lyndon B. Jhonson.
Scampata ad un bombardamento avvenuto già la prima notte, Oriana viene a sapere che nella collina 1383 sta per accadere qualcosa d’importante e dunque vi si reca immediatamente; ma l’attacco temuto inizia e, così, dopo una giornata di marcia in mezzo a cadaveri, lei deve tornare all’accampamento.
Nei giorni seguenti è testimone del massacro alla collina 875, dove centinaia di uomini vengono mandati allo sbaraglio; al momento della partenza per Saigon la collina viene finalmente conquistata, ma pochi giorni più tardi verrà abbandonata per la sua inutilità strategica: è questo il gioco senza senso della guerra cui Oriana deve assistere.
Tornata nella capitale, rimane affascinata da questa città, il cui ricordo rimarrà impresso per sempre nella sua memoria. La Saigon di questi mesi è una città relativamente tranquilla: gli attacchi terroristici dei mesi precedenti hanno subito un arresto e l’offensiva del Tet deve ancora avvenire. Il clima che si respira è tranquillo e nulla fa pensare che di lì a qualche mese la città si sarebbe trasformata in un campo di battaglia. L’atmosfera pacifica è interrotta solo dagli attacchi nella periferia, che avvengono per lo più di notte. La giornalista ha l’occasione di relazionarsi con gli abitanti della capitale, che appartengono a varie nazionalità: ci sono Francesi dell’era coloniale, Vietnamiti, giornalisti di tutto il mondo e l’apparato militare americano.
Quel che la colpisce di più è la bulimia e l’indifferenza in cui sono caduti i Vietnamiti, privi di ideali e del tutto disinteressati alla politica; non sanno cosa sia la pace e nemmeno la libertà: tutto ciò è frutto di decenni di occupazione straniera (cinese, francese, giapponese, americana) e di una guerra che orami dura da quasi trent’anni. La morte è sempre presente, tanto è vero che nessuno ha più paura di essa e non rappresenta più un momento straordinario. Rivelatore è l’incontro con il dottor Khan, che dice che la maggior parte delle persone muore per suicidio, proprio perché non hanno prospettive per il futuro e perché non sono stateeducate ad apprezzare la vita. Non a caso il dialogo tra i due si svolge in un ristorante in periferia, vicino ad un luogo di scontro tra Vietcong e Sudvietnamiti, cosa assolutamente normale per il dottore. Sempre raccogliendo testimonianze, la Fallaci comprende che se i Sudvietnamiti non vogliono finire sotto il giogo comunista, d’altra parte non vogliono nemmeno la presenza degli Americani, che spesso considerano degli ipocriti, che con prepotenza si sono presi le case e le zone migliori a Saigon e trattano i Vietnamiti come un popolo inferiore da civilizzare.
Tramite François Pelou, arriva il permesso di intervistare alcuni prigionieri vietcong, tra cui Nguyen Van Sam, il responsabile dell’attentato in un ristorante, avvenuto due anni prima. L’incontro è molto significativo per la Fallaci, perché capisce la disperazione di un popolo senza grandi pretese, costituito da persone la cui massima
aspirazione era condurre una vita serena con la propria famiglia e il proprio campo di riso da coltivare, ma che per i giochi di potere delle classi dirigenti nazionali e straniere è stato costretto a imbracciare le armi e a sacrificarsi, macchiandosi di azioni infami e stando anche dalla parte sbagliata. Il parere di Oriana, come quello della maggior parte dell’opinione pubblica europea e americana, è a favore dei Vietcong e dei soldati del nord, anche se a breve si ricrederà. In realtà la situazione è
complessa ed è difficile comprendere chi abbia ragione e chi torto; si può dire che il Vietnam rappresenti l’ambiguità di quel periodo e anche dell’esistenza umana.
Se da una parte ella vede l’eroismo combattente e ostinato dei guerriglieri, dall’altra vede quello isolato e più “pacifico” dei bonzi e delle bonzesse, monaci buddhisti che nel centro di Saigon si danno fuoco e spesso resistono senza emettere gemiti e urla. È quest’ultimo uno spettacolo sempre più frequente, cui tutti sono ormai abituati e Oriana rimane stupita nel vedere una monacaavvolta dalle fiamme e i passanti del tutto indifferenti. Il dilemma è capire se ciò sia un atto volontario o causato da droghe: molti sostengono che uomini e donne siano drogaticontro la propria volontà e poi spinti a darsi fuoco. A capo dei buddhisti l’ambigua figura di Tri Quang, che Oriana intervista evidenziando le contraddizioni tra il suo stile di vita e ciò che predica. Seguono poi i viaggi nell’estremo sud del Vietnam, dove il paesaggio è di tipo lunare, e nel delta del Mekong, dove assiste al dramma dei contadini, che ogni anno vengono attaccati dai Vietcong che requisiscono la maggior parte del riso raccolto, e poi quando le truppe governative rioccupano la zona, prendono quel poco rimasto. Non stanca di avventure, partecipa anche ad un attacco aereo a bordo di un A37.
Prima di partire riesce ad intervistare il famigerato generale Nguyen Ngoc Loan, capo della polizia, noto come “il terrore di Saigon”. L’intervista dipinge un uomo contraddittorio: da una parte è odioso, crudele e senza scrupoli e dall’altra è un uomo gentile, amante della poesia e delle rose. La figura di Loan aleggerà su tutta l’esperienza di Oriana in Vietnam, in quanto simbolo del paese e soprattutto dell’uomo cambiato e incattivito dal potere. Il 19 dicembre Oriana Fallaci lascia il Vietnam.
Ritorna il 7 febbraio 1968, quando vi si precipita dopo aver appreso che il 30 gennaio, in occasione del Tet (il capodanno vietnamita), truppe di Vietcong e di infiltrati nordvietnamiti, entrate di nascosto a Saigon nei giorni precedenti, avevano attaccato simultaneamente nei quartieri periferici e centrali della capitale e anche in altre città di importanza strategica. Essendo inagibile l’aeroporto di Tan Son Nuth, nessun giornalista può raggiungere la capitale, ma, ostinata come sempre, lei riesce ad arrivarvi comunque unendosi a un gruppo di soldati. I combattimenti infuriano da giorni e la città si è trasformata essa stessa in campo di battaglia. Quella che qualche mese prima era una città vitale e tranquilla, sebbene in un clima di guerra, è ora una città devastata; interi quartieri periferici sono occupati dai Vietcong e l’aviazione americana procede al bombardamento sistematico di essi, pur uccidendo e ferendo moltissimi civili. Colti di sorpresa, Americani e Sudvietnamiti, hanno perso terreno, ma in poco la situazione cambia e il dilagare della marea di contadini guerriglieri viene in parte arginata.
L’offensiva del Tet, organizzata dall’FLN e da Hanoi, contava sul totale appoggio della popolazione sudvietnamita, ma così non è stato; dunque essendo un’operazione che si affidava più sull’effetto a sorpresa che sull’organizzazione e l’equipaggiamento militare, fu sostanzialmente un fallimento dal punto di vista bellico. Fu invece un successo per l’eco che ebbe nell’opinione pubblica di America e Europa, dove si ebbe l’immagine di un paese unito contro l’imperialismo americano e di una guerra che gli USA stavano perdendo. Ruolo molto importante è svolto dai giornalisti e dai fotografi che con i loro reportage e le loro fotografie hanno costantemente reso pubblici gli orrori della guerra, svolgendo un’operazione mediatica mai vista prima; ad amplificare l’effetto contribuirono anche cantanti, attori e altre celebrità con le loro proteste contro la guerra in Vietnam; il 1968 fu l’anno delle marce della pace dei movimenti hippie, delle proteste studentesche. Indebolito politicamente, il presidente Jhonson avviò trattative di pace per risolvere il conflitto per via diplomatica e sospese i bombardamenti nel Vietnam del Nord; nonostante ciò la guerra sarebbe durata ancora sette anni.
Sebbene l’offensiva del Tet sia stata arrestata, la situazione a Saigon non migliora: l’atmosfera è sempre più pesante e la guerra ha gravi effetti psicologici sulla popolazione. Oriana partecipa più volte alle operazioni di evacuazione dei quartieri infestati da Vietcong e, dopo il bombardamento a tappeto, è solita recarvisi per rinvenire tracce e testimonianze, tra cui trova non di rado diari di Vietcong, che nella sua camera d’hotel divora in poco tempo. Nel frattempo le truppe nordvietnamite incalzano lungo il 17° parallelo e la città di Hué, occupata da mesi dall’esercito comunista, nonostante l’assedio americano e l’impiego di ingenti sforzi, continua a non cedere. Così, quando la città è in procinto di arrendersi, Oriana vi si reca per vedere quello che rimane dell’antica Hué, un tempo florida capitale dell’Impero Vietnamita e ora un cumulo di macerie con un palazzo semidistrutto dentro cui sono asserragliati gli ultimi soldati. Per poco non viene uccisa da un Vietcong che le spara, ma grazie all’intervento di un marine si salva. Questo fatto le fa scoprire un nuovo punto di vista e inizia a riflettere sul fatto che non sono eroi soltanto i Vietcong, ma lo sono anche una buona parte dei soldati statunitensi, che vengono sempre attaccati ferocemente dai giornalisti, a volte giustamente altre volte no.
La voglia di provare nuove emozioni e di vincere la paura, la spingono a cercare di raggiungere Khe San, una pista d’atterraggio situata a pochi chilometri dal Laos, considerata la zona più pericolosa, perché circondata da colline occupate dai quarantamila soldati del famoso generale Giap. Pressoché isolata (i rifornimenti e i giornalisti vengono portati tramite aerei che scendono senza nemmeno arrestarsi sulla pista d’atterraggio), fornisce il banco di prova per tutti i giornalisti, ma Oriana dopo molte riflessioni e titubanze decide di non andare. La base di Khe San, che prometteva di essere una nuova Dien Bien Phu, riuscirà a resistere e qualche mese dopo Giap abbandonerà l’assedio, cui a breve distanza seguirà l’abbandono della base da parte degli americani: anche qui emerge la paradossalità di certe decisioni degli ufficiali, del tutto incuranti delle vite umane.
Rientrata a Saigon in marzo, ottiene l’intervista del vicepresidente Cao Ky, che sorprendentemente si rivelerà più vicino ai comunisti che agli americani. Oriana capisce che nessuno, lei inclusa, ha ancora compreso a fondo la Guerra del Vietnam e ciò provoca in lei una grande frustrazione e un senso di impotenza. Ricevuto l’ordine del giornale di tornare in America per seguire la questione dei Neri, il 20 marzo lascia il Vietnam con la consapevolezza di tornarvi presto, perché una nuova massiccia offensiva sta per essere scatenata.
Nemmeno l’uccisione di Martin Luther King e il viaggio in India la distraggono dal suo Vietnam; così quando a Dharamsala, dopo aver intervistato il Dalai Lama, viene a sapere di nuovi scontri a Saigon, senza dir nulla a L’Europeo, si reca immediatamente in Vietnam, dove quattro giornalisti europei sono stati brutalmente giustiziati dai Vietcong. È questa la seconda offensiva tanto aspettata e temuta, conosciuta come il “mini Tet”; questa volta è meno spettacolare e, non potendo contare sull’effetto sorpresa, i Vietcong hanno contato su una miglior preparazione militare e su un miglior equipaggiamento; a fianco dei guerriglieri contadini ci sono di nuovo truppe scelte inviate da Hanoi, ma questa volta sono in maggioranza. La guerra infuria nuovamente nelle vie della città, malgrado siano state già avviate le trattative di pace, fortemente volute da Johnson e poi anche da Nixon. Probabilmente i Vietcong resistono tenacemente per partecipare alla Conferenza di pace di Parigi, da cui per ora sono esclusi. Sono in molti a notare che i cadaveri nemici sono perlopiù di truppe inviate da nord e non di Vietcong, che diminuiscono sempre di più in numero: ormai l’FLN è controllato da Hanoi e i Vietcong, disprezzati dai Nordvietnamiti (secolare è la rivalità tra nord e sud e non dovuta agli ultimi eventi), sono ridotti a ruoli sempre più marginali. A far parte della guerriglia oltretutto ci sono anche i Quyet Tu, squadre suicide, il cui compito è seminare terrore e distruzione e non quello di conquistare posizioni strategiche. Ben presto la Fallaci comprende che la situazione non è cambiata molto e che la sua presenza è del tutto inutile; è disgustata da questa guerra crudele, dove ad attacchi inutili dei Nordvietnamiti, gli Americani rispondono con contrattacchi altrettanto inutili; postazioni come Khe San e Dak To, per cui per mesi e mesi si era combattuto sacrificando migliaia di vite umane, venivano poi improvvisamente abbandonate.
Ormai sono giunti gli ultimi giorni di Oriana in Vietnam e riesce ad ottenere un nuovo incontro con il famigerato Loan, divenuto famoso in tutto il mondo per la foto che lo ritrae, durante l’offensiva del Tet, nell’istante in cui spara a un prigioniero Vietcong, con le mani legate. Ma ormai Loan non è più l’uomo di un tempo: ferito in uno scontro per recuperare il cadavere di un suo uomo, si trova ora in ospedale, dove rischia di perdereuna gamba; è ormai un uomo perduto e non ricopre più alcun incarico. Il 25 maggio laFallaci lascia Saigon, per farvi ritorno solo alcuni anni dopo.
Nei mesi successivi alla partenza, la situazione peggiora drasticamente e mentre a Parigi i delegati americani, vietnamiti e dell’FLN conducono a rilento le trattative, i morti aumentano e i bombardamenti a Saigon arrivano addirittura a coinvolgere il centro della città. Oriana si può ritenere soddisfatta, perché ha capito molte cose sulla vita, sull’uomo e sulla guerra e ha compreso che l’eroismo, per quando sia lodevole, non può giustificare la guerra e la morte.
Il viaggio nel Nord comunista
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vviamente per comprendere appieno le cause di una guerra così complessa, Oriana deve rendersi conto di come sia l’altra parte e vedere coi suoi occhi come agiscono e operano i comunisti di Hanoi e i dirigenti dell’FLN. Per un anno ha visto la guerra a Saigon, ha criticato fortemente il modo di agire di Americani e Sudvietnamiti, ora è il momento di capire se Nordvietnamiti e Vietcong siano veramente il popolo oppresso e paladino della libertà. Nel marzo 1969 con una delegazione di giornaliste italiane si reca ad Hanoi, dove il governo ha organizzato un tour nella capitale e nelle zone rurali. Oriana rimane subito colpita da questa città e da questo popolo, così diverso dai connazionali del sud. Il Vietnam del Nord è un vero e proprio stato comunista, dominato da austerità e da bigottismo, molto simili, ai suoi occhi, a quelli del cattolicesimo. Gli abitanti paiono alla giornalista freddi, cinici, seri e pieni di odio nei confronti degli Americani. L’intera società è strutturata in modo rigido e severo e tutto è improntato sulla guerra: le radio e gli altoparlanti nelle strade emettono costantemente canzoni marziali, proclami del partito e notizie di propaganda; ovunque sorgono musei della guerra oppure dello zio Ho (Ho Chi Minh); i bambini si divertono a guardare cartoni animati in cui gli aerei Yankee vengono abbattuti; il loro sogno non è sconfiggere mostri ma il nemico americano. L’impressione che il popolo nordvietnamita suscita nella donna non è per niente positiva e non riesce a capire come l’intero mondo possa essersi così innamorato di questo popolo, che in realtà è tanto ostile e diffidente.
Le giornate della Fallaci sono ben organizzate e strutturate dal Ministero dell’Informazione, che impone alla delegazione di giornaliste italiane una serie di visite, giri turistici e interviste selezionate. La libertà di muoversi, che Oriana aveva a Saigon, qui è del tutto assente e questo le provoca fastidio; oltretutto non le è consentito di uscire dall’hotel e di avere contatti con la popolazione locale, se non accompagnata da due donne guardiane. In breve comprende che non potrà mai dare un’immagine vera e approfondita di quel paese, perché agli stranieri è fatto vedere solo quello che si vuole, ossia le cose migliori e che mettono in cattiva luce il nemico.
Stanca delle solite interviste in cui gli intervistati recitano un copione scritto dal Partito e delle conferenze che si trasformano in vere e proprie lezioni sul Vientminh e ladottrina marxista-leninista, ritrova interesse nell’intervistare ilgenerale Giap. Si tratta di un vero scoop, infatti negli ultimi anni sono stati pochissimi i giornalisti che lo hanno intervistato. È uno degli uomini più famosi del suo tempo: dopo aver militato nel Vietminh contro i Francesi (suo è il merito della vittoria a Dien Bien Phu), con la nascita della Repubblica Popolare del Vietnam del Nord è diventato uno dei massimi esponenti militari e sue sono le principali vittorie riportare contro gli Americani e i Sudvietnamiti. Qualunque cosa succeda c’è sempre il sospetto di un suo intervento, persino dietro l’Offensiva del Tet si vocifera ci sia lui. L’intervista dura solo quarantacinque minuti, durante i quali Giap si lascia sfuggire un po’ troppo, incalzato dalle domande della giornalista. Alla fine ad Oriana viene consegnato un foglio: sono queste le risposte che dovrà pubblicare e non quelle annotate da lei. Indignata e delusa accetta sì di pubblicare le risposte consegnatele, ma a fianco della vera intervista.
La situazione muta in parte durante il viaggio nei villaggi fuori Hanoi, dove gli abitanti paiono un po’ più aperti e meno diffidenti. Vedendo numerosi villaggi devastati dai bombardamenti americani degli anni precedenti e raccogliendo le testimonianze di persone mutilate o che hanno perso famigliari, Oriana comincia in parte a comprendere questo cinismo e quest’odio nei confronti degli Americani.
Tornata ad Hanoi, intervista due prigionieri americani: l’incontro è in realtà osservato da militari e dunque i due marines non possono fare altro che ammettere di essere trattati benissimo. Intuita la realtà, la Fallaci, una volta tornata negli USA scriverà un articolo in cui denuncia il sospetto che i detenuti americani nel Vietnam del Nord siano maltrattati, articolo che susciterà scalpore e un’attenzione internazionale, che raggiungerà il culmine quando alcuni di essi verranno liberti e denunceranno le torture fisiche e psicologiche subite.
Ad aprile Oriana lascia Hanoi con una nuova visione di questa guerra ambigua e contraddittoria. Amareggiata, scrive in uno dei suoi articoli: «il male è equamente diviso in quella guerra: gli elementari diritti delle creature sono infranti sia a Saigon che ad Hanoi, da nessuna parte della barricata v’è la risposta alle nostre speranze. E con tale conclusione, inevitabile, amara, chiudo la mia testimonianza sul Nord Vietnam».
Il grande problema del Vietnam
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e trattative di pace avviate da Jhonson e portate avanti da Nixon si concludono con un nulla di fatto. Nel frattempo il presidente del Vietnam del Sud, Nguyen Van Thieu, che ricopriva tale carica dal 1967, assumeva sempre più un potere autoritario e diventava sempre di più simile ad un monarca. Cattolico come il suo predecessore Diem, aveva riempito le prigioni di Saigon di centinaia di miglia di Vietcong e altri oppositori politici (socialisti, socialdemocratici e liberali) e ridotto ancor di più la libertà di stampa; nel frattempo la corruzione era proliferata all’interno dell’apparato statale e dell’esercito, a tal punto che la maggior parte dei soldati corrompeva i propri superiori per essere esonerata dal servizio militare. L’inefficienza, la corruzione, l’indifferenza dilagavano a Saigon, ma malgrado ciò Thieu era riuscito a far riprendere il Vietnam del Sud dopo il disastroso 1968 e aveva praticamente estinto i Vietcong, ossia il nemico interno: ora l’unico nemico era il Vietnam del nord. Nell’aprile 1970, forte della raggiunta stabilità interna e per bloccare la Pista Ho Chi Minh, Thieu invade la Cambogia. L’attacco è supportato dagli Americani, malgrado Nixon avesse promesso un graduale ritiro dalla guerra, ma in breve le stragi perpetrate in Laos e Cambogia suscitano numerose proteste contro la guerra, proteste che spingono il presidente americano a interrompere i raid aerei.
Il presidente Nixon e il segretario di stato Kissinger avviano un processo di “vietnamizzazione” della guerra, consistente nel ridurre sempre piùil numero dei soldati americani (che erano arrivati al mezzo milione) e nell’aumentare quello dei sudvietnamiti. Il 1971 vede la rinascita dei gruppi Vietcong, questa volta più organizzati e più controllati ed equipaggiati da Hanoi, e l’avviamento di incontri segreti tra Kissinger e il diplomatico nordvietnamita Le Duc Tho. Nel 1972 il generale Giap scatena un massiccio attacco per far cadere il regime di Saigon, ormai fortemente indebolito dalla penetrazione nordvietnamita e dal fallimento delle operazioni in Laos e Cambogia. Noto come “l’Offensiva di Pasqua”, l’attacco fallisce e gli Statunitensi riprendono i bombardamenti del Nord, sospesi nel 1968. Nello stesso anno, in vista delle elezioni presidenziali in novembre, Nixon e Kissinger si affrettano a riaprire la Conferenza di pace a Parigi, questa volta accettata di buongrado dai Nordvietnamiti, frustrati dal fallimento dell’Offensiva di Pasqua e indeboliti dai bombardamenti americani. Iniziano così lunghe ed estenuanti trattative (estate-autunno 1972), che all’inizio non hanno grandi sviluppi a causa dell’intransigenza nordvietnamita. Le Duc Tho chiede la destituzione di Thieu e libere elezioni nel Vietnam del Sud in cambio del cessate il fuoco e del mantenimento della Repubblica del Vietnam (Vietnam del Sud). Ora gli Stati Uniti si trovano con una spina nel fianco: Thieu, il dittatore che avevano sempre appoggiato e aiutato, che era sempre stato fedele agli Americani, è irremovibile nella decisione di non dimettersi. Tra le varie difficoltà, nel novembre 1972 viene finalmente firmata la tregua che prevedel’armistizio, il graduale ritiro delle truppe americane, la temporanea permanenza delle truppe nordivietnamite nelle zone occupate nel Sud, la permanenza di Thieu nel suo ruolo e infine libere elezioni al Sud.
La pace ormai era inevitabile: da anni la Guerra del Vietnam stava costando troppe vite umane e troppi sforzi economici sia per l’America sia per la Repubblica Popolare del Vietnam. Oltre tutto il governo degli Stati Uniti stava andando incontro a una perdita di consenso sia all’interno del proprio paese sia all’estero. Dunque gli USA, si accingevano a lasciare definitivamente l’Indocina, lasciando un paese semidistrutto e quel che rimaneva della Repubblica del Vietnam: un regime dittatoriale, fortemente indebolito da un’amministrazione inefficiente e dalla presenza nel proprio territorio di truppe nordvietnamite, pronte a trasgredire agli accordi e ad attaccare appena avessero voluto.
La fine di Saigon
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l 27 gennaio 1973 gli Stati Uniti d’America si ritirarono definitivamente dalla guerra e nel giro di qualche mese cessarono di inviare aiuti economici a Saigon. Ma la Guerra del Vietnam non si è ancora conclusa. Nel 1974 Thieu, invece di rafforzare le proprie posizioni, investe risorse ed energie per riprendere i territori occupati da Hanoi, violando così i trattati di pace. La reazione del Vietnam del Nord non si fa attendere: nel 1975 Giap invade il Vietnam del Sud, con centinaia di migliaia di Nordvietnamiti che si stabiliscono nei territori occupati. Per Thieu e il Vietnam del Sud è la fine.
In questi anni Oriana torna in Vietnam quattro volte: nel 1970 fa tappa a Saigon prima di recarsi al fronte in Cambogia; nel 1972 vi giunge per intervistare Thieu, il quale inspiegabilmente non la riceve, la riceve invece nel 1973. Nell’aprile 1975 Oriana si reca a Saigon per l’ultima volta. È qui ad assistere all’agonia di questa città, ultimo baluardo del Vietnam del Sud, che è stata facilmente occupata a causa della codardia del suo esercito e dei suoi ufficiali. L’intero esercito è allo sbaraglio e Thieu non è più in grado di guidare la situazione. In città dilaga la paura e si temono il bombardamento a tappeto e le successive rappresaglie dei comunisti. Oriana si trova bloccata dentro alla città e vive gli ultimi attimi di paura con gli abitanti, correndo il rischio di morire. A fine aprile Saigon viene abbandonata da Thieu, che fugge a Taiwan, e occupata dall’esercito di Hanoi il 29 aprile 1975.
L’auspicata insurrezione dei Vietcong, che avrebbero dovuto consegnare la città all’esercito nordvietnamita, non avviene. Subito nella città viene insediato il GRP (Governo Rivoluzionario Provvisorio), già costituitosi anni prima all’interno dell’FLN, con il compito di condurre le trattative in nome dei Vietcong e degli oppositori a Thieu. Costituito anche da non comunisti, ha il compito di avviare la città al sistema comunista in attesa dell’unificazione al Vietnam del Nord. Di fatto il GRP è comandato da Hanoi e i Sudvietnamiti non stalinisti hanno ben poco potere. Alla resa dei conti la Guerra del Vietnam non è stata solo una sconfitta degli Americani e della Repubblica del Vietnam, ma anche dei Vietcong, che alla fin fine hanno sempre avuto scarso appoggio popolare e le cui operazioni sono sempre state pressoché fallimentari. Il vero vincitore della guerra è il Vietnam del Nord e con lui il generale Giap, vero artefice della vittoria e burattinaio dell’FLN. A vincere non è stata l’assidua ed eroica resistenza dei guerriglieri sudvietnamiti, ma l’esercito della Repubblica Popolare del Vietnam, lautamente finanziato da URSS e Cina.
Oriana lascia il Vietnam poco prima della caduta di Saigon; dopo l’occupazione le notizie giungono sempre più scarne e vaghe. Saigon, capitale borghese, diventa Ho Chi Minh, città proletaria; in breve la città vitale che nel 1967 Oriana aveva tanto amato, pur con tutte le sue contraddizioni, ora nel 1975 diventa una seconda cupa e tetra Hanoi.
Alla conclusione dei fatti emerge che la rivalità tra Vietnam del Nord e Vietnam del Sud è sempre esistita, in particolare dagli anni ’30, quando Hanoi era città stalinista e Saigon città trotskista. Quindi la guerra di liberazione condotta dal nord era scarsamente appoggiata dagli abitanti del sud, se non da pochi gruppi di persone, e per i Nordvietnamiti era un mero pretesto per celare i propri interessi economici e politici; infatti il nord è sempre stato una terra povera, mentre il sud con le sue foreste, i fiumi e le vaste coltivazioni di caffè, gomma, riso è chiaro che fosse oggetto di più mire. La questione si conclude definitivamente nel 1976, quando il Vietnam viene riunificato. Una terra un tempo fertile, per quanto martoriata dalla povertà dei contadini e dalle invasioni straniere, è ora un paese semidistrutto dai bombardamenti, con intere jungle bruciate e fiumi, risaie e terre avvelenate. Oltretutto un paese sotto un regime comunista, che dura ancora oggi.
MARGUERITE HIGGINS, A SIMILAR COMMITTED JOURNALIST
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iggins was born in Hong Kong, on 3 September 1920. Early in her life, Higgins contracted malaria and was taken to Vietnam to recover in a treatment center there. When she was three, her father left his job and took his family to Oakland, California. Her family did not adjust to life in suburban, middle-class America. Marguerite distinguished herself as an excellent student. Already fluent in a number of languages due to her international background, she received a scholarship to attend the Anna Head School in Berkeley where her mother taught French. At the age of 17, Higgins enrolled in the Berkeley campus of the University of California. In her first year at the college she began to work on the campus newspaper, the Daily Californian, which was known as one of the top university papers in the country. Higgins was fascinated by the world of journalism and aimed to become a professional foreign correspondent. She graduated with honors and a degree in journalism in 1941. Unable to find a job, she entered a master’s program in journalism at Columbia University in New York City. During her graduate studies, she also held a part-time position for the New York Tribune as a college correspondent. When Higgins graduated with her Master of Science degree in journalism in the summer of 1942, she found a much more receptive job market. Many men in the newspaper business had joined the armed forces to serve in World War II, providing new opportunities for women in positions previously unavailable to them. Higgins was employed full-time by the Tribune and she was interested in following top assignments. She married Stanley Moore, a Harvard philosophy professor, in 1942, but shortly afterward, her husband was drafted. The separation caused by war and the public reports of Higgins’s romantic escapades brought a quick end to the relationship.
Higgins’s work earned her the use of a byline in the Tribune by 1943—she was one of the few staff writers to be so recognized. But, despite her success in New York, she was unable to convince her editors to give her the foreign correspondent assignment for which she longed. More interested in seeing the war, she finally went over the heads of her editors to Helen Rogers Reid, the wife of the paper’s owner. Reid had a hand in the operation of the Tribune and she also was known for her support of feminist issues. She sympathized with Higgins and arranged a post for her in London, in 1944. But covering events in London still did not satisfy the reporter’s desire to be on the battlefront. With much persistence, she finally received permission to travel to Paris, and in the beginning of 1945, she was given an assignment at the Berlin bureau.
Although she did not get to the front lines until the very end of the war, Higgins’s reporting still had an impact. She was one of a group of reporters that were allowed to tour parts of Germany decimated by bombing raids, she was on hand to cover the arrival of Allied forces at the Nazi concentration camps of Dachau and Buchenwald, and she witnessed the fall of Munich. Her work earned her a number of awards following the war, including an Army campaign ribbon for distinguished service, and the New York Newspaper Women’s Award for best foreign correspondent of 1945.
Higgins remained in Europe in the late 1940s, covering such events as the Nuremburg war trials and the Berlin blockade. She was promoted to bureau chief in Berlin in 1947 at the age of 26, but it was evident that supervising a news office was not one of her strengths. Higgins became obsessed with staying ahead of competitors on every story, placing a great deal of stress on herself and her staff. Her personal life of this period was somewhat happier, but no less controversial; she began a relationship with Major General William Hall, the director of Army intelligence, who at that time was married with a family of four children back in America. Their attachment proved to be a strong one, however, and the two were married in 1953; they then had two children.
Higgins was assigned to Tokyo as Far East bureau chief in May of 1950. She took the transfer as a professional affront because stories on events in the Far East rarely appeared in the Tribune. But international events soon made it clear that she couldn’t have been in a better place as a reporter. That June, communist North Korea invaded the U.S. supported country of South Korea, launching the Korean War. Higgins traveled to the South Korean capital of Seoul, recounting the events in the final days before the fall of that city to North Korean forces, just escaping before the arrival of the communists. When the Tribune sent the more experienced war reporter Homer Bigart to cover Korea, Higgins was instructed by the paper to return to her Tokyo post. She refused to leave the action in Korea, however, and continued her coverage of the growing hostilities, beginning a rivalry with Bigart to get the best stories. Her ability to cover combat was threatened when American Lieutenant General Walton W. Walker banned all women from the front, stating that females could not be accommodated by facilities at the battlefield. Higgins, who was quite willing to wear combat fatigues and join in the
Higgins’s war correspondence was honored with a number of awards in the early 1950s. In 1951, she became the first woman to win a Pulitzer Prize for international reporting when she shared the prize with five other journalists. In 1953, Higgins covered the defeat of the French in their colony of Vietnam at Dien Bien Phu, resulting in the formation of North and South Vietnam. During the fighting there she narrowly escaped injury when the photographer Robert Capra was killed by a land mine just a few feet from her. Despite the harrowing experience, Higgins did not relent in her work. About this time, she received a visa to travel behind the Iron Curtain in the Soviet Union. Cold War tensions were at a high point, and she was the first reporter allowed on such a visit in many years. She traveled the nation extensively, covering 13,500 miles and getting a picture of life under Communism that had been previously unavailable to the West. The journey became the basis for another book, Red Plush and Black Bread, published in 1955. Over the next decade, Higgins continued to cross the globe, following her instinct for newsworthy international developments. In 1961 she reported on the civil war in the Congo, becoming the first member of the Tribune to cover the central African region. She returned to Vietnam in 1963 and documented her concerns about American military involvement there in the 1965 book, Our Vietnam Nightmare.
Higgins ended her association with the Tribune in 1963 and began contributing weekly columns to Newsday. She established a home in Long Island, New York, at this time, but continued to travel, returning to Vietnam in 1965. There she was stricken with leishmaniasis, a tropical disease, and returned to the United States to be treated. She fell into a coma and died on January 3, 1966, at the age of 45. Higgins’s outstanding career as a journalist and her service to her country as a war correspondent were honored with her burial at Arlington National Cemetery.
LA STAGIONE DELLE INTERVISTE
Le interviste “alla Fallaci”
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l Vietnam non è stato l’unico interesse di Oriana durante glianni dei suoi viaggi in questo Paese. Caduto il mito degli astronauti eroi, la giornalista continua a seguire la corsa alla luna fino al primo allunaggio del 1969; in occasione del secondo sbarco sul satellite, l’astronauta Charles Conrad ha con sé una foto di Oriana bambina con la propria madre e pronuncia la frase suggeritagli proprio da lei: «Whoopie! Man, that may have been a small one for Neil, but that’s a long one for me.
Anche quando è lontana dalla guerra, rischia comunque di perdere la vita: nell’autunno del 1968 si trova in Messico per documentare le manifestazioni contro le Olimpiadi e durante un comizio in Piazza delle Tre Culture rimane ferita, quando l’esercito carica contro la folla, facendo più di cinquecento morti. Oriana, quasi dissanguata, viene scambiata per morta e portata in obitorio, dove viene salvata solo grazie all’intervento di un prete.
Arrivano gli anni ’70, i cosiddetti “anni di piombo” per l’Italia, ma l’attenzione di Oriana è rivolta altrove; sembra poco interessata alle rivolte operaie, agli attacchi terroristici delle Brigate Rosse e delle Brigate Nere e men che meno alle proteste dei “sessantottini” e ai «vandalismi degli studenti borghesi che osano invocare Che Guevara e poi vivono in casa con l’aria condizionata, che a scuola ci vanno col fuoristrada di papà e che al night club vanno con la camicia di seta». Interviene, invece, in un caso molto discusso nell’Italia di quegli anni, in cui era stato appena introdotto il divorzio: l’aborto. Riguardo a tale problematica, nel 1975 pubblica Lettera a un bambino mai nato, pensato come la riflessione rivolta da una madre al proprio figlio ancora in stato embrionale. Nel testo si può forse cogliere il riferimento ad un’esperienza personale, ossia l’aborto spontaneo avuto nel 1958. Il libro divide la critica, ma ha un successo generale, tanto che viene tradotto in numerose lingue. La posizione della Fallacisull’aborto non è assoluta: ella sostiene che una donna debba essere libera di prendere tale decisione, senza che nessun potere maschile le imponga una scelta; allo stesso tempo sostiene l’importanza della vita e che un bambino è vivo fin dalla prima cellula.
La prima parte degli anni Settanta è dedicata alle grandi interviste: la maggior parte delle figure politichedell’epocaviene intervistata dalla giornalista, che offre di ognuna di esse un ritratto molto fedele e reale, fondando un tipo di giornalismo e di interviste del tutto innovativo. Non a caso viene coniato il termine “interviste alla Fallaci”. Si tratta di veri e propri ritratti fisici e psicologici, che risentono molto del parere e dell’opinione di chi scrive. Nelle varie conferenze che terrà, sosterrà sempre che il giornalismo oggettivo, costituito dai soli fatti, senza nemmeno un’opinione, non sia il lavoro di un giornalista ma di un semplice registratore. Oriana non ha alcuna pietà per i personaggi che intervista e non evita le domande più scomode, tanto che molti si sono pentiti di essersi prestati ad una sua intervista e lo hanno dichiarato pubblicamente, come ad esempio Henry Kissinger che definì l’intervista come «la conversazione più disastrosa mai avuta con un membro della stampa». Molti altri hanno disconosciuto la veridicità di esse, come fecero il generale Giap oppure il primo ministro del Pakistan Ali Bhutto. Nelle sue interviste Oriana non manca di evidenziare l’antipatia per i personaggi, ma nemmeno la simpatia, come nel caso del primo ministro israeliano Golda Meir, che le ricorda molto la madre Tosca. Nel 1974 esce Intervista con la Storia, raccolta delle sue ultime interviste. Tra i personaggi più importanti figurano il grande statista italiano Giulio Andreotti, il socialista Pietro Nenni, il negus d’EtiopiaAilé Selassiè, il pittoresco re della Cambogia Norodom Sihanouk, il cancelliere della RDT Willy Brandt, lo scià di Persia Reza Pahlavi e molti altri.
Questi sono anche gli anni in cui l’attenzione mondiale comincia a focalizzarsi sul Medio Oriente e Oriana è tra i primi a seguire la questione palestinese. Intervista George Habash, leader del Movimento Nazionalista Arabo e responsabile dei principali attacchi terroristici di matrice islamica, che in quegli anni sconvolgevano l’Europa (come quello del 1972 alle olimpiadi di Monaco di Baviera), Yasser Arafat, leader dell’OLP e re Hussein di Giordania.
Un uomo
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roprio in una delle sue interviste conosce l’uomo della sua vita: Alexandros Panagulis. Nel 1973 il mondo è stupito dalla liberazione di Alekos Panagulis, oppositore al regime fascista e militare dei colonnelli (noto come Giunta), il quale il 13 agosto 1968 aveva tentato di assassinare il primo ministro Georgios Papadopoulos. Vissuto in una cella di sei metri quadrati nel carcere di Boiati per quasi cinque anni, non aveva mai ceduto alle torture fisiche e psicologiche dei suoi aguzzini e infine era stato liberato per volontà stessa di Papadopoulos, che voleva riscuotere consenso in Grecia e all’estero. Oriana, che negli anni precedenti si era poco interessata alla dittatura in Grecia, si reca subito ad Atene per intervistare quest’uomo straordinario, che era stato liberato da appena tre giorni. Tra i due c’è subito intesa e Oriana comincia a recarsi sempre più spesso in Grecia per occuparsi della questione e richiamare l’attenzione mondiale. Ben presto si innamora di Panagulis, che condivide con lei moltissimi interessi. Nel 1974, per paura che venga nuovamente arrestato, la donna riesce a convincerlo a trasferirsi con lei in Italia, dove lo aiuta a pubblicare un libro di poesie. La loro relazione è molto burrascosa perché entrambi hanno un forte carattere e amano la libertà. A ciò si aggiunge anche il temperamento lunatico di Alekos, che in Italia si sente frustrato per il fatto di dover continuare la lotta politica lontano dalla sua patria. Nel 1975 Pier Paolo Pasolini, caro amico di Oriana, muore assassinato, in un delitto su cui aleggiano troppi misteri. È lei, con l’aiuto di Alekos, la prima a denunciare i moventi politici dell’omicidio di Pasolini. Nel frattempo la Giunta cade e in Grecia torna la democrazia. Panagulis entra in politica e la sua lotta prosegue per dimostrare le relazioni di alcuni membri del nuovo governo con il precedente regime. Ottenute le prove dei rapporti di collaborazione di molti politici, tra cui figura il ministro della difesa Evangelos Averoff, dovrebbe presentarle in parlamento, quando qualche giorno prima, nella notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 1976, muore in un incidente d’auto, molto probabilmente causato dai servizi segreti greci.
È questo uno dei periodi più difficili per Oriana, a cui si aggiunge nel gennaio 1977 la scomparsadella madre. Distrutta dal dolore, Oriana si rinchiude per tre anni nella sua tenuta nel Chianti, dovelavora alla stesura di Un uomo, romanzo anch’esso di grande successo che racconta e celebra il defunto compagno; al suo interno sono anche contenute le prove che l’uomo aveva raccolto sulla collusione di politici greci con il precedente regime dittatoriale.
Le interviste con il Potere
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el 1979 ilromanzo viene pubblicato e Oriana esce dal suo isolamento, pronta a riprendere le interviste, anche se non lo fa più come mestiere fisso: infatti nel 1977 si è licenziata dall’Europeo. Dunque, munita di magnetofono,la Fallaci riprende a girare il mondo. Mentre nel 1967 era partita per il Vietnam per rispondere alla domanda “cos’è la vita?” e per capire quale sia il motivo per cui gli uomini fanno la guerra, ora intervista i personaggi politici che decidono le sorti del mondo per comprendere il Potere, per capire cosa esso sia e perché sia in grado di trasformare tanto gli uomini, a tal punto da spingere anche la persona dai più alti valori morali a commettere atrocità e bassezze. Ella vuole capire se è il potere a cambiare gli uomini o se le persone che sono salite al potere erano già così di per sé. È con questo dubbio che si apre il libro che raccoglie tutte le interviste di questo periodo, uscito postumo: Intervista con il Potere. In apertura Oriana racconta un incontro inaspettato e bizzarro: tornata negli USA, una sera un suo amico la portò fuori a cena in un paese vicino a Washington, per farle una sorpresa; il ristorante, di cucina sudorientale, era del generale Loan, di cui molti avevano perso le notizie dopo l’invasione nordvietnamita del 1975. Ritenuto dai più morto, in realtà era riuscito a fuggire negli Stati Uniti, dove il governo lo aveva accolto segretamente. Oriana è sconvolta nel vedere quest’uomo, un tempo il terrore di Saigon, ridotto a fare il cuoco. Il carattere grottesco dell’incontro è accentuato dal fatto che Loan continui a piangere e dalla bizzarria della sua protesi ad una gamba di color fucsia.
Qualche giorno dopo la giornalista parte per la sua prima meta: l’Iran. Nel suo ultimo soggiorno, risalente al 1972, questo Paese aveva il nome di Persia ed era governato dallo scià Reza Pahlavi, che, sebbene fosse un sovrano autoritario, aveva avviato un processo di modernizzazione in vari ambiti, tra cui anche l’emancipazione femminile; ma a causa del suo governo troppo dispotico ed eccessivamente legato agli Stati Uniti, a cui permetteva di sfruttare i giacimenti petroliferi persiani, nel 1979 era scoppiata una rivolta che in breve aveva visto la cacciata dello scià e l’instaurazione della repubblica. Quella che era una rivolta era diventata una vera e propria rivoluzione, la cui guida era stata quasi immediatamente assunta dalla massima autorità religiosa islamica in Persia: l’ayatollah Ruhollah Khomeini. L’Iran (questo il nuovo nome del Paese) era così divenuto una repubblica islamica, in cui vigeva la sharia, ossia la legge del Corano, che aveva vanificato tutte le riforme fatte nei decenni precedenti dai Pahlavi. Sebbene fosse una repubblica, non era una democrazia (come ancora oggi), ma una teocrazia, in cui la massima autorità religiosa era anche la massima autorità politica. Oriana atterra a Teheran nel 1979 e trova un paese totalmente
sconvolto dalle insurrezioni e dall’inefficienza del nuovo apparato burocratico. Rimane profondamente colpita dalle assurdità che vede e cui deve sottostare, come il fatto che non possa andare dal parrucchiere, perché ritenuto moralmente indecente, o il fatto che debba indossare il chador. Sono molte le peripezie che deve affrontare: per esempio a Qom, prima di essere ricevuta dall’ayatollah viene sorpresa da un mullah mentre si cambia per indossare il chador in presenza dell’interprete; adirato, il mullah costringe i due a contrarre un matrimonio a scadenza perché solo il marito può vedere la propria donna senza chador. L’intervista con Khomeini è molto difficile perché l’uomo evita le domande e si adira spesso e ovviamente l’incontro si conclude in modo brusco: Oriana chiede al vecchio perché costringa le donne «a nascondersi sotto un indumento così scomodo e assurdo» e lui risponde: «Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non riguardano voi occidentali. Se la veste islamica non le piace non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene». Al che lei replica «Grazie, signor Khomeini. Lei è molto educato, un vero gentiluomo. La accontento su due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo». E così se lo leva davanti a lui, che se ne vaponendo fine all’intervista.
Segue poi l’intervista al rais della Libia, il colonnello Muammar Gheddafi. Di questo spietato dittatore sono messe in evidenza soprattutto la vanità, la ridicolezza e l’assurdità al limite della pazzia. Negli anni seguenti seguono le interviste del segretario del PCI Enrico Berlinguer, del leader cinese Deng Xiaoping, del fondatore di Solidarnosc Lech Wałęsa, del presidente della Repubblica Sandro Pertini e altre ancora.Il successo di Oriana è mondiale e, insieme a Sofia Loren, è l’unica donna italiana ad essere conosciuta anche all’estero con il nome di battesimo.
Nel frattempo le università di tutto il mondo (soprattutto quelle americane) cominciano a raccogliere e a catalogare tutti i lavori della scrittrice, comprese le bozze: questo proprio perché c’èun grande interesse a descrivere il suo modus operandi e la sua attenzione maniacale per i dettagli formali e per la musicalità del testo, che richiedevano moltissimo tempo e un grande impegno. Nel 1977 aveva pure ricevuto la laurea honoris causa in Letteratura dal Columbia College di Chicago, il cui rettore l’ha definita «uno degli autori più letti ed amati del mondo». Gli anni ’80 sono anche il periodo in cui Oriana inizia a tenere conferenze nei vari atenei americani sui più disparati argomenti: dalla politica alla storia, dalla letteratura al giornalismo, qualunque argomento affronti, le aule straripano di studenti. Sono anche gli anni in cui si affeziona sempre di più agli USA, paese da cui era stata sedotta fin dagli anni ’50, ma che più volte l’aveva delusa e per questo l’aveva criticato, specialmente per la Guerra del Vietnam, per l’appoggio di regimi dittatoriali (quali quello greco dei
colonnelli o quello cileno di Pinochet) e per il sostegno a Israele nella questione palestinese.
Il Medio Oriente
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el giugno 1982 esplode la guerra in Libano, con l’invasione da parte di Israele per liberarlo dalle forze armate palestinesi, che negli ultimi decenni erano aumentate in modo esponenziale, fino a prendere il controllo del paese. Partita per il Medio Oriente con l’esercito italiano, la Fallaci vi si reca volontariamente, senza più essere inviata da un giornale. I suoi articoli sono sì pubblicati ancora dall’Europeo, ma anche da altri giornali italiani, come il Corriere della Sera, o stranieri, come New York Time Magazine, Washington Post, Der Stern, Le Figaro littéraire. Nello stesso anno a Tel Aviv intervista il generale Sharon, molto criticato per il suo modo di condurre la guerra contro l’OLP. Alla fine dell’intervista il generale commenterà: «Sapevo bene che lei voleva aggiungere un altro scalpo alla sua collana. Lei è dura, molto dura. Ma mi è piaciuto ogni momento di questo incontro tempestoso perché lei è una donna coraggiosa, leale e capace. Nessuno è mai venuto da me ben documentato come lei. Nessuno va alla guerra come ha fatto lei, sotto le bombe, solo per preparare un’intervista». Oriana torna più volte a Beirut, anche nel febbraio 1984, quando la città è in una situazione critica. Lascia la città quando si ritira l’esercito italiano, sconvolta dagli orrori visti anche qui. Finita l’esperienza in Libano, la Fallaci inizia a scrivere un nuovo romanzo. Sempre più di rado fa visita alla sua casa in Toscana e trascorre il più del tempo rinchiusa nella sua casa di New York, dedicando anima e corpo al suo libro, che uscirà nel 1990 con il titolo di Insciallah. Anche questo romanzo ha un grandissimo successo per la sua complessità e al contempo per la sua preveggenza. È sicuramente un libro profetico, perché descrive il Libano, e più generalmente il Medio Oriente, come il crogiuolo delle guerre e dei problemi futuri dell’umanità. «Macché russi e americani, macché comunisti e capitalisti! La prossima guerra non sarebbe scoppiata tra ricchi e poveri: sarebbe scoppiata tra guelfi e ghibellini cioè tra chi mangia carne di maiale e chi non la mangia, chi beve il vino e chi non lo beve, chi biascica il Pater Noster e chi frigna l’Allah russillallà!». Da molti non ascoltata e non creduta, Oriana è una sorta di Cassandra, che capisce già prima dell’11 settembre che lo scontro tra Occidente e Islam, è una cosa concreta e che porterà grandi disastri. Già nel 1982 nell’intervista a Sharon, diceva: «[…] ho una gran paura che lei stia per cacciarci tutti in un guaio apocalittico», ritenendo che l’intromissione dell’Occidente nelle questioni mediorientali avrebbe finito con esacerbare e fomentare l’odio di una frangia islamica fondamentalista, sempre più consistente, nei confronti della cultura occidentale.
Nel 1991, per l’ultima volta, è corrispondente di guerra, in Kuwait, durante la prima guerra del golfo, scoppiata nel 1990, quando il rais iracheno Saddam Hussein aveva invaso il piccolo emirato del Kuwait, ricco di giacimenti petroliferi. In un’intervista rilasciata in Arabia Saudita al Tg1, esprime tutta la sua perplessità nei confronti di questa guerra, di cui tutti credono di sapere tutto; è grazie alla televisione se si hanno numerose immagini e riprese, ma è un’informazione mendace, perché censurata. Oriana specifica che l’errore commesso dai governi nella Guerra del Vietnam, in cui i giornalisti erano pressoché liberi di riprendere e fotografare tutto, non sarà più ripetuto. Curiosa è anche l’immagine data di Saddam, che più che un Hitler pare un Mussolini, cioè un cialtrone che manda i suoi soldati alla guerra senza un equipaggiamento adeguato e senza munizioni sufficienti.
GLI ULTIMI ANNI
L’alieno e il ritiro
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ornata a New York, nello stesso anno Orianaintuisce di avere un tumore al seno, ma per continuare a seguire le traduzioni di Insciallahnon si reca dal medico fino all’anno seguente, quando viene operata d’urgenza. Inizia così la battaglia contro quello che lei chiama “l’alieno”, un nemico interno contro cui battersistrenuamente e che può essere sconfitto. Più volte la Fallaci critica il pudore e l’avversione con cui si pronuncia la parola cancro, sostituendola con l’espressione “malattia inguaribile”. Secondo lei questo è ingiusto perché, primo toglie speranza alle persone malate e secondo perché non è una cosa di cui vergognarsi. Inarrestabile, prosegue la su lotta senza farsi abbattere, anche se la morte avvenuta nel 1993 dell’attrice e sua amica Audrey Hepburn, da qualche tempo afflitta dal cancro, la segna profondamente. A causare la sua malattia, a suo parere, non sono state solamente le sigarette, che da quando era giovane fumava continuamente, e la predisposizione genetica, ma anche la nube nera che nel 1991 aveva respiratoin Kuwait, creatasi in seguito agli incendi appiccati nei pozzi petroliferi dall’esercito iracheno, la cosa che più l’aveva spaventata in quella guerra. Nel giro di tre anni la malattia viene sconfitta, ma non definitivamente.
In questi anni decide di ritirarsi dalla scena pubblica e si isola sempre di più, amareggiata e delusa da quello che accade attorno a lei. Non riconosce più nell’Italia la sua amata patria e per questo raramente vi mette piede; se lo fa, lo fa solo per pochi giorni e segretamente, rinchiudendosi nella sua villa a Greve in Chianti. Qualche anno più tardi, quando avrà interrotto il silenzio, scriverà: «La mia Italia è un’Italia ideale. È l’Italia che sognavo da ragazzina, quando fui congedata dall’ Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà, ed ero piena di illusioni. Un’Italia seria, intelligente, dignitosa, coraggiosa, quindi meritevole di rispetto. E quest’Italia, un’Italia che c’è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade. Perché, che a invaderla siano i francesi di Napoleone o gli austriaci di Francesco Giuseppe o i tedeschi di Hitler o i compari di Usama Bin Laden, per me è lo stesso. Che per invaderla usino i cannoni o i gommoni, idem. Col che ti saluto affettuosamente, caro il mio Ferruccio, e t’avverto: non chiedermi più nulla. Meno che mai, di partecipare a risse o a polemiche vane. Quello che avevo da dire l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me l’hanno ordinato. La coscienza pulita e l’età me l’hanno consentito. Ma ora devo rimettermi a lavorare, non voglio essere disturbata. Punto e basta.». L’incontro ravvicinato con la morte la spinge a dedicarsi al progetto che da anni rimandava, cioè la stesura di un romanzo sulla storia della propria famiglia: Un cappello pieno di ciliege.
Un cappello pieno di ciliege
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L’ultima battaglia
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settembre 2001: New York è sotto attacco. Le Torri Gemelle del World Trade Centre vengono distrutte da due aerei dirottati da kamikaze musulmani. Oriana lo vede come un attacco all’Occidente da parte del mondo islamico. Come aveva previsto in Insciallah, le future guerre e i futuri problemi sarebbero venuti dal Medio Oriente. Decide quindi di interrompere il suo romanzo e il suo silenzio, per mettere in guardia il mondo occidentale della pericolosità dell’estremismo islamico. «Vi sono momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa, e parlare diventa un obbligo. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre», sono queste le sue prime parole dopo aver a lungo taciuto. Inizia così la sua nuova e ultima battaglia, nonostante l’età e la salute precaria. Poco tempo dopo l’11 settembre, esce La rabbia e l’orgoglio, articolo infuocato pubblicato sul Corriere della Sera e poi sviluppato in un libro dal medesimo titolo che ha subitogrande successo, ma che allo stesso tempo suscita le critiche di molte persone e ambienti politici eintellettuali. In esso Oriana spiega le sue preoccupazioni e critica l’inerzia dell’Europa e soprattutto dell’Italia di fronte a questo pericolo, specificando che il
dialogo culturale non può essere una sterile accettazione delle pretese di una parte, che è quella i islamica. Nel frattempo “l’alieno” torna, ma spesso Oriana rinuncia a curarsi per seguire le traduzioni de La rabbia e l’orgoglio e del suo nuovo libro che esce nel 2004: La forza della ragione, pamphlet in cui difende e sostiene la superiorità della cultura occidentale rispetto a quella islamica, facendo anche luce sui trascorsi storici tra Occidente e Islam. Se La rabbia e l’orgoglio si concludeva con le seguenti parole «Quello che avevo da dire l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me l’hanno ordinato», questo libro si apre in questo modo: «La rabbia che oltre due anni fa mi squassava non s’è placata. Semmai si è raddoppiata. L’orgoglio che oltre due anni fa m’irrigidiva non s’è affievolito. […]. Poi aggiungo che la rabbia e l’orgoglio si sono sposati e hanno partorito un figlio robusto: lo sdegno. E lo sdegno ha aumentato la riflessione, ha rinvigorito la Ragione. La Ragione ha messo a fuoco le verità che i sentimenti non avevano messo a fuoco e che oggi posso esprimere senza misure». Infine il suo ultimo libro: Oriana Fallaci intervista sé stessa – L’Apocalisse, sempre sullo stesso argomento. La struttura è invece diversa perché è una sorta di intervista condotta a sé stessa nel medesimo modo in cui vent’anni prima intervistava i grandi del pianeta. Questa sua presa di posizione sull’Islam la porta ad essere odiata e criticata da molte persone, che la accusano di razzismo e islamofobia. Nonostante le minacce e le denuncie, prosegue nella sua battaglia, imperterrita. Quando capisce che il tumore l’avrebbe di lì a poco portata alla morte, si affretta a fare ordine tra le sue carte, in modo da consegnare al nipote Edoardo i lavori realizzati nei vari decenni e non ancora pubblicati. Così dopo la sua morte verranno pubblicati Un cappello pieno di ciliege, Intervista con il Potere, Saigon e così sia, Il mio cuore è più stanco della mia voce, Pasolini, un uomo scomodo, Le radici dell’odio, La dolce vita, La paura è un peccato, Viaggio in America e Solo io posso scrivere la mia storia. Ormai stremata dalla malattia, esprime come ultimo desiderio di incontrare papa Benedetto XVI e di morire nella sua Firenze. Il primo desiderio viene esaudito grazie a monsignor Rino Fisichella, suo grande amico, che le permette, nel 2005, di incontrare il papa, per il quale nutre una grande ammirazione, nonostante si sia sempre dichiarataassolutamente atea e nonostante il rapporto conflittuale che ha sempre avuto con la Chiesa cattolica. Siamo nell’estate del 2006 e la Fallaci è troppo debole perfino per prendere un aereo di linea, quindi il premier Berlusconi le mette a disposizione un aereo privato. Ricoverata nella casa di cura di Santa Chiara a Firenze, muore il 15 settembre 2006. È sepolta nel cimitero fiorentino degli Allori, accanto alla lapide commemorativa di Alekos Panagulis, e la sua pietra tombale reca scritto: «Oriana Fallaci, scrittore».
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA
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