Lo Stato commerciale chiuso è un libro di J.G. Fichte, pubblicato nel 1800, che tratta di filosofia politica.

“Ripugna alla ragione che uno possa pagarsi il superfluo, mentre pur uno dei suoi concittadini manchi del necessario”.
(J.G. Fichte, Lo Stato commerciale chiuso)


DIEGO FUSARO: Fichte socialista? Lo ” Stato commerciale chiuso”

https://www.youtube.com/watch?v=Sqr5W8IViDg


 

 

Johann Gottlieb Fichte

Nato a Rammenau nel 1762, Fichte è il primo di otto figlio. Nato da una famiglia povera, è un “pastorello di oche” nel periodo dell’infanzia, ma con la sua vivace intelligenza e la sua passione per il pensiero si conquista i favori di un barone che gli finanza gli studi. Finiti i primi studi in collegio, si iscrive alla facoltà di teologia di Jena nel 1780. Alla fine degli studi si mantiene svolgendo l’attività di precettore privato ed è proprio durante ad alcune lezioni private che si imbatte quasi per caso nella lettura degli scritti di Kant. La lettura di Kant è l’esperienza determinante nella vita di Fichte: “Il rivolgimento ch’essa ha operato in me è enorme. Le debbo in special modo il fatto che ora credo fermamente nella libertà dell’uomo, e vedo chiaramente che solo supponendola sono possibili il dovere, la virtù e in generale una morale”. Le filosofie di Kant e Rousseau lo allontanano dalla teologia. Diventa un sostenitore della “rivoluzione copernicana” di Kant e dei principi della Rivoluzione francese. Con il passare degli ani la popolarità di Fichte cresce sempre di più: diventa il massimo esponente della cultura presso la coorte di Weimar e all’Università di Jena, dove le sue lezioni sono seguitissime. Tutti i personaggi del suo tempo hanno un profondo rispetto per lui ed è considerato un ispiratore dai romantici.

Nel 1799 è il protagonista di quella vicenda che viene ricordata come “la polemica sull’ateismo“, per aver pubblicato un articolo di Friedrich Carl Forberg che mette in dubbio l’esistenza di Dio.  A causa di questo episodio, il senato accademico gli chiede di rendere conto delle sue teorie e il governo di accettare una censura formale. Tuttavia, Fichte difende con orgoglio il principio di libertà di espressione e non accetta compromessi. A questo punto però, la sua carriera è stroncata, ma Fichte, che si trova nuovamente in difficoltà economiche, ricomincia fiducioso il suo cammino, trasferendosi a Berlino. Continua a lavorare al suo sistema, su cui tiene corsi a casa sua, davanti a un pubblico colto. Nel 1805 torna all’insegnamento universitario e nel 1808 pubblica i Discorsi alla nazione tedesca, pronunciati all’Accademia delle Scienze di Berlino a sostegno dello Stato prussiano contro l’invasione napoleonica. La presa di posizione politica gli garantisce la gratitudine del governo prussiano che lo chiama a dirigere nel 1810 la Facoltà di filosofia a Berlino. In quegli anni i suoi scritti sono di due tipi: accademici, con nuove formulazioni della Dottrina della scienza che restano manoscritte e “popolari”, mirati a diffondere le tesi dell’autore oltre la cerchia degli specialisti. Vi sono poi gli scritti politici e di filosofia della storia, tra cui ricordiamo Lo stato commerciale chiuso. Fichte muore di tifo nel 1814, contagiato dalla moglie, che aveva contratto la malattia negli ospedali militari.

Lo Stato commerciale chiuso

Fichte sostiene la realizzazione di uno stato autonomo, indipendente e autarchico con una sovranità politica ed economica indipendente. Fichte invita i giovani tedeschi a compiere una missione civilizzatrice attraverso la realizzazione di uno Stato modello: infatti afferma che grazie alla grandezza culturale, la Germania deve realizzare uno Stato che non dipenda da nessuno.  L’autore quindi in questa opera espone gli aspetti cardini di come debba configurarsi, secondo i concetti filosofici, lo Stato “secondo ragione”, ossia ideale. Lo scopo della politica è quello di individuare i mezzi per condurre gradualmente dallo Stato realmente esistente a quello secondo ragione. 

Al contrario dei liberali, Fichte sostiene che lo Stato debba garantire a ciascuno i diritti e le proprietà individuali, e non di tutelare i diritti e le proprietà individuali, così come si trovano, quasi fossero diritti indipendenti dallo Stato. Pertanto solo con il contratto sociale nasce il diritto di proprietà, inteso proprio come l’utilizzo esclusivo di un bene o all’esercizio riservato di un’attività. Stabilito il contratto sociale le proprietà vengono suddivise, e dato che tutti i cittadini hanno uguale diritto a vivere e a vivere il più agiatamente possibile, ciò che esiste dovrà essere suddiviso in maniera uguale per tutti. 

Fichte immagina nel suo Stato ideale tre classi sociali: gli agricoltori, gli artigiani e gli impiegati pubblici. Gli agricoltori hanno diritto a un appezzamento di terra. Gli artigiani invece  hanno diritto al proprio mestiere in maniera esclusiva. Ogni categoria professionale ha il compito di produrre e smerciare agli altri i propri prodotti per guadagnarsi il necessario per vivere. Il compito di mediazione tra gli artigiani e i consumatori aspetta ai commercianti. Infine ci sono gli impiegati pubblici che vengono mantenuti grazie alle imposte. Il compito importante del governo è quello di determinare il numero di lavoratori per ogni mestiere, secondo il fabbisogno e il livello di sviluppo economico.

Per garantire un buon equilibrio commerciale, lo Stato dovrà stabilire il giusto prezzo di ogni merce e garantire lo smercio dei prodotti per evitare una sovrapproduzione. Questo ha un’importante conseguenza: perché, essendo i cittadini soggetti alle leggi dello Stato per mantenere l’equilibrio commerciale, ogni forma di commercio con i paesi stranieri è proibito.

Nasce così lo Stato commerciale chiuso

Il libero commercio internazionale viene ritenuto da Fichte un’eredità di un’epoca passata, dove gli Stati nazionali ancora non esistevano. Secondo l’autore il libero mercato internazionale genera una forte competizione che crea forti disuguaglianze all’interno dello Stato, perché la fortuna di ciascuno dipende esclusivamente dal caso e da guerre per il predominio commerciale all’esterno.

Per garantire il completo funzionamento, lo Stato deve svolgere alcune azioni preventive: dotarsi di una moneta a circolazione esclusivamente locale dal valore inalterabile; si escludono quindi l’oro e l’argento. Inoltre lo Stato deve raggiungere i propri “confini naturali” per avere una sufficiente estensione territoriale e per favorire la sostituzione delle importazioni con prodotti nazionali. 

Secondo Fichte, la completa chiusura commerciale porterà enormi benefici a tutta la nazione: tutti avranno garantita una sicurezza economica individuale, poiché ognuno avrà la garanzia del proprio lavoro e benessere. Solo la scienza rimane un patrimonio comune e per questo motivo intellettuali e artisti potranno continuare a viaggiare e comunicare liberamente. 

Fichte dunque propone una sorta di socialismo preindustriale, che non vuole abolire la proprietà privata ma sulla sua universale distribuzione. Prevede uno Stato interventista in economia e fortemente protezionista, sebbene i mezzi di produzione rimangano privati.

Fichte considerava lo Stato commerciale chiuso come la migliore delle sue opere e sicuramente la miglior pensata. Fichte stesso nella dedica al suo libro spiega che egli rinuncia ad ogni attuazione immediata perché lo scopo della sua opera è quello di offrire agli uomini pratici e reazionali un criterio elevato per giudicare i fatti reali. Ciò che ha un significato generale non può, come tale, essere applicato in tutte le circostanze., ma deve essere adottato con modificazioni convenienti a circostanze determinate. E l’uomo di stato, a cui è dedicata l’opera, lo Struensee, sembra essere d’accordo con lui, perché trova nello scritto ” la rappresentazione ideale di uno stato, al quale dovrebbe tendere chiunque prenda parte al governo di questo”. 

“Si è finora solo in parte ed unilateralmente compreso l’ufficio dello Stato, come quello cioè di un istituto rivolto a conservare, per mezzo delle leggi, i cittadini nel possesso in cui ciascuno si trova. Si è trascurato il più importante dovere dello Stato, che è quello di porre prima ciascuno in possesso di ciò che gli spetta. Ma non è possibile adempiere questo dovere, se non quando sia distrutta l’anarchia commerciale, come si è distrutta gradatamente l’anarchia politica, e siasi chiuso commercialmente lo Stato, com’esso è chiuso nella sua legislazione e nei suoi attributi giudiziari”.

“Così solamente viene assicurato a ciascuno il suo – non quello che gli derivi dalla cieca fortuna, o dallo sfruttamento di altri, o dalla violenza – che che gli tocchi di diritto. Nello Stato secondo ragione tutti sono servitori del tutto, e partecipano con giustizia ai beni del tutto. Nessuno può arricchirsi in modo particolare, ma nessuno neppur impoverire. A tutti è garantita la durata di questa condizione, e anche al tutto una pacifica ed equabile stabilità”.


ARTICOLO DI CAMURATI ANTONIO MARCO DELLA CLASSE IV B DEL LICEO CLASSICO


SITOGRAFIA:

https://it.wikipedia.org/wiki/Lo_Stato_commerciale_chiuso

https://www.youtube.com/watch?v=kKAcuE-HQmY&t=253s


BIGLIOGRAFIA

La Vergata A., Trabattoni F., Filosofia cultura cittadinanza, Dall’umanesimo a Hegel, La nuova Italia,2017, 876 pp.