Negli ultimi anni della mia adolescenza avevo l’abitudine di prendere il treno da Roma per recarmi a Celle Ligure, a trovare mio nonno materno, dove già dalla fine degli anni ’60, dopo un dissesto finanziario, aveva deciso di trasferirsi in una specie di esilio.
Allora la stazione si trovava in riva al mare cosi che la passeggiata da via Marconi n. 2, luogo dove era situata la casa della villeggiatura della famiglia di mia madre, era breve e piacevole ed il nonno veniva sempre ad aspettarmi all’arrivo. Ecco mi pare di vederlo alto e solenne con il cappello ed i suoi abiti tagliati da Caraceni di un eleganza datata che testimoniavano un passato prosperoso. Ascoltando i discorsi dei grandi specialmente della nonna mi rendevo conto che il nonno ci aveva rovinato e che per via dei suoi affari sballati la grande fortuna che avrebbe garantito il privilegio di vivere di rendita senza lavorare era svanito, per sempre. Coglievo fra le righe di certi commenti una consolazione negli affetti che erano più importanti delle sostanze materiali. Solo molto dopo capii in pieno la nobiltà della rovina di mio nonno. Non era fallito ma aveva semplicemente chiuso le sue attività imprenditoriali pagando ogni debito fino all’ultimo centesimo .
La famiglia di mia madre viene dall’unione di due famiglie, i Trevisan ed i Tornielli, che attraverso i secoli ebbero molti rovesci di fortuna. I Trevisan antichissimi a Venezia si erano stabiliti a Creta dove grazie al commercio e la fertilità dell’entro terra erano fra le famiglie più doviziose dell’isola. Dopo anni di assedio Ottomano nel settembre del 1669 lasciarono l’isola con una cassa piena di documenti che provavano le loro proprietà sicuri di tornare a riprendersele, ma cosi non fu. Francesco Trevisan imbarcatosi su di una galea salpata per combattere il Turco morì in mare e la sua famiglia rimasta a Venezia priva di ogni bene, tranne quelle carte ormai senza valore, fu salvata grazie l’intervento di alcuni parenti molto potenti. Nel ‘700 Marco Trevisan in segno di gratitudine per l’aiuto avuto dalla famiglia del Doge Alvise Pisani chiamò la sua primogenita Pisana. Volle a distanza di anni mia madre darmi nome Alvise sempre per questo fatto .
I Tornielli di origine ungherese si stabilirono nella zona nord di Novara dove Arcidione e Roboaldo furono consoli lasciando i loro stemmi scolpiti nel Broletto. La famiglia divisa in diversi rami, padrona di molti castelli, tentò di instaurarsi nella signoria di Novara e per un breve periodo, fin che non vennero cacciati dai Visconti, ci riuscì. I Tornielli di Venezia sono del ramo dei signori di Romagnano che ebbero, concesso da S.S. Papa Clemente V, nel 1307 il titolo di conti palatini in seguito all’apporto dato nelle crociate contro l’eretico Dolcino. In seguito alle persecuzioni dei Visconti si trasferirono prima a Verona presso Can Grande della Scala e poi a Venezia. Vittoria Tornielli nel 1592 sposò Marco Antonio Ottoboni e fu madre di Pietro divenuto Papa con il nome di Alessandro VIII. Proprio a proposito della madre quest’ultimo disquisisce il cavalier Moroni nella sua “Enciclopedia Ecclesiastica” dando molte informazioni incluso il rinnovo nel 1835 del titolo comitale ai Tornielli da parte di S.S. Gregorio XVI in seguito alle nozze di sua nipote Anna Cappellari della Colomba con Giorgio Tornielli. Questo titolo pontificio venne ereditato da mio nonno alla morte dello zio Arcibaldo Leopoldo, figlio adottivo del conte Alessandro Tornielli, insieme a parte delle sostanze dei Tornielli già eredi dei Grassi e dei Condulmer, titolo non riconosciuto dalla consulta del regno ma documentato in Vaticano.
Il palazzo a Sant’Angelo su Canal Grande, le numerose tenute agricole sparse per il Veneto erano state vendute ed investite in una fabbrica di lampadari ed altri affari che finita la guerra rendevano ma che presto si rivelarono imprese a perdere. Mio nonno non ostante tutto manteneva il suo orgoglio di uomo eroe dei tempi antichi che era partito per combattere ridendo in faccia alla morte ritornando vittorioso. La sera mentre eravamo seduti in cucina, unica stanza riscaldata di quella dimora estiva, mi raccontava, come facevano gli eroi della antica Grecia nel megaron, lo svolgimento della Grande Guerra, della sua Grande Guerra.
Colonnello Trevisan Tornielli Arcibaldo – Casson del Grappa – settembre 1918
Era l’ottobre del 1915 e mio nonno non ancora diciottenne, nella sua uniforme d’alpino, bussava il batocchio del portone su calle degli Avvocati. Il portone si aprì e dopo che ebbe attraversato l’androne, o portego come si dice in veneziano, vide in cima allo scalone la corpulenta sagoma di suo nonno Giovanni Battista e dietro sulla parete il ritratto Francesco Giuseppe. “ Vai anche tu contro il nostro Imperatore” gli disse con tono di rimprovero l’anziano patriarca. Al piano superiore nel salone campeggiava uno splendido ritratto , dipinto da Eugene de Blaas , di dama dai capelli biondo cenere, si trattava della nonna Franziska RomanaPűrtscher. Infatti Giovanni Battista pensando di fare una cosa opportuna aveva sposato, nel 1860, la figlia, dodicesima di diciotto, di un magistrato austriaco. In quel momento la famiglia di mia madre era per metà austriaca con parentele in tutto l’Austro Ungarico. Un nipote di mia trisnonna, Othmar Johann Pűrtscherera l’oculista dell’Imperatore, un dei molti fratelli, Ewald GottfriedPűrtscher medico di regimento sposato con la baronessa boema Karolina Stransky von Greifenfels, ebbe come figlio Alphons generale, poi morto sul Piave, il cui nome si trova iscritto con lettere dorate nel salone degli eroi nel arsenale di Vienna.
Mio nonno partì per la Carnia per il corso d’allievo ufficiale; era pieno di sacro ardore di amor di patria o forse come lo sono spesso molti giovani desideroso di provare emozioni forti e la guerra quelle emozioni gliele avrebbe procurate, infatti che importanza aveva se dall’altra parte c’erano i suoi cugini? Ora una sola cosa era importante combattere. Mio nonno mi raccontava di aver diviso la tenda con Italo Balbo ed Ardito Desio. Ho avuto conferma di questo da un recente libro di Folco Quilici; “Tobruk 1940”, infatti in un C.D. che accompagna il testo c’è una foto del trio davanti alla tenda. Perse di vista Ardito Desio, che sappiamo fece carriera come geografo alpinista, mentre con Italo Balbo rimase in contatto .
Colonnello Trevisan Tornielli Arcibaldo Cividate – offensiva Tonale -1918
L’ arma dell’aviazione era tutta da creare e cercavano giovani temerari sprezzanti del pericolo, amanti della velocità e della guerra per riempire le file di questo nuovo corpo, insomma ci voleva chi impersonasse lo spirito “futurista”. Balbo e mio nonno non esitarono e si arruolarono nella 113^ squadriglia il cui distintivo era un trifoglio. Il 70% degli arruolati non sopravvisse per via delle numerose imperfezioni dei primi areoplani . Prima causa di morte era nell’atterraggio: i minuscoli aeri si cappottavano facilmente o prendevano fuoco dopo aver perso il carrello in volo, se colpito in cielo prendeva fuoco e sopra i tremila metri si rischiava il congelamento. Inebriati dalla sensazione di onnipotenza che dava essere fra i primi a riuscire li dove Icaro aveva fallito, volavano incuranti di ogni pericolo. Cito l’encomio solenne fatto dal Generale di Robilant: “ Operatore dell’aeroplano, scrupoloso esecutore degli ordini compiva numerosi voli sul nemico dando prova di sommo sprezzo del pericolo”. L’encomio solenne mi si dice vale come una medaglia d’argento ma mio nonno non si preoccupò di richiederla avendone già una, guadagnata durante l’offensiva del Tonale. Come in un peana greco cito le lodi tessute in suo favore per questa occasione:” Sfidava a lungo intensi tiri nemici di sbarramento dimostrando pronta intelligenza ed audace iniziativa sempre raggiungendo nelle ricognizioni utili risultati. Più volte essendo l’apparecchio colpito dall’artiglieria avversaria, continuava fino ad opera compiuta la propria osservazione, oppure noncurante delle intense raffiche di fuoco austriaco si abbassava alle minime quote per mitragliare e bombardare il nemico. Con ogni sua azione dimostrava nobile entusiasmo, alto sentimento del dovere, ed assoluto sprezzo del pericolo”
Ascoltavo mio nonno raccontare, la sua voce piena di enfasi , i dettagli delle battaglie dove per banali errori il nemico aveva perso. Forse da qualche parte, deluso dalle vicende politiche italiane, nutriva una certa nostalgia per l’Austria Felix; infatti ricordo di una volta, mentre percorrevamo il lungo mare, che, alzato il suo bastone da passeggio, puntandolo verso il cielo, esclamò ” Italiani torneranno gli Austriaci a civilizzarvi ”. Raccontava spesso delle sue imprese menzionando altri aviatori. Ricorrevano nomi altosonanti come quelli di Rodolfo Zamboni, Baracca, d’Annunzio, Fulco Ruffo di Calabria. Ricordava anche quelli eroicamente caduti letteralmente nel vuoto e di come era usuale anche in momenti estremi salutarsi a gesti. Vedere un proprio commilitone bruciare vivo e scendere come una stella cadente era normale, come era successo a Baracca che forse prima di farsi arrostire dalle fiamme riuscì a spararsi il colpo fatale. Dei veri eroi o forse solo dei giovani esaltati, ma ripeto l’emozione che dava volare non aveva prezzo , a costo della propria vita!
Della breve ma movimentata carriera nell’aviazione di mio nonno ho poche notizie, purtroppo allora non presi appunti. Sicuramente iniziò a volare sul cielo della Carnia e poi del Grappa, prese parte all’offensiva del Tonale e anche da Medole volò in Val d’Adige.(Gli aerei utilzati erano degli S.V.A. dei cantieri Ansaldo di Torino, uno venne modificato montando un apparecchio fotografico per scatti dall’alto con obiettivo per riprese ad alta velocità.)
Inviato, nel autunno del’18, a Vigna di Valle sul lago di Bracciano come istruttore, presto annoiato chiese di ritornare sul fronte. Venne accontentato anche se per pochi giorni , il 3 novembre di quell’anno a Villa Giusti veniva firmato l’armistizio, la guerra era terminata.
” SOLI DEO HONOR ET GLORIA”
“PRO HONORE PRO PATRIA PRO FIDE PUGNANDUM “
Viverone, sabato 9 maggio 2015, Marc’Alvise de Vierno ( nipote indegno!)
Campo di Medole “Mantova”, Marzo 1918, offensiva Giudicarie, Val d’Adige
I documenti fotografici utilizzati all’interno dell’articolo sono stati concessi in uso dalla famiglia de Vierno
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