LA SITUAZIONE PRIMA DELLA RIVOLUZIONE
Le donne non avevano alcun diritto politico nella Francia prerivoluzionaria; non potevano votare né
esercitare alcuna funzione politico-sociale. Erano considerate come cittadine passive, costrette unicamente a
fare affidamento sugli uomini per determinare ciò che era meglio per loro in ambiti di governo. Sia le
contadine che quelle borghesi venivano sottoposte alla tutela prima del padre, poi del marito e, se vedove, a quella del figlio maggiore.
Emblematico è il commento di R. J. Pothier, un giureconsulto del XVIII secolo, “la nostra legge ha posto le
donne in una tale condizione di dipendenza dai loro mariti che non è lor concesso di fare alcunché di
legalmente valido, nulla che sia riconosciuto dalla legge civile, a meno che non siano i loro stessi mariti ad
autorizzarle”.
Inutile a dirsi che per quanto riguarda la politica le donne mai vengono interpellate. Unica eccezione il fatto
che le appartenenti alla nobiltà hanno diritto di rappresentanza, cioè di delega del proprio voto, in base al titolo
di proprietario di un feudo, sancito dall’articolo XX del regolamento regio del gennaio 1789 che stabilisce le
modalità di rappresentanza agli Stati Generali. “Le donne che hanno proprietà, le ragazze e le vedove così
come le minori che godono di nobiltà, purché in possesso di feudi potranno farsi rappresentare da procuratori
presso l’ordine della nobiltà”.
Ma come accennato, per tutte le altre donne, nulla era previsto
I CAHIERS DE DOLEANCES
Gli eventi che si susseguirono in Francia sul finire del XVIII secolo offrirono alle donne del tempo numerose
occasioni per manifestare pubblicamente una propria coscienza civile e per trovare un ruolo nella visione
rivoluzionaria della citoyenneté, compiendo, al di là dei concreti risultati raggiunti sul piano politico, passi
fondamentali per il dibattito sulla questione femminile.
Sin dal momento in cui Luigi XVI acconsentì alla presentazione dei cahiers de doléances, infatti, non
mancarono diversi esempi di petizioni raccolte da gruppi femminili che si organizzarono per comunicare al
re la propria condizione di disagio economico e sociale. I Cahiers de dolèances femminili non sono
moltissimi, e per lo più provengono dalle comunità religiose o da quelle di commercianti, comunque da
gruppi ristretti e in difesa di precisi interessi.
La Petizione delle donne del Terzo Stato, anonima, che segue, si colloca ad un livello più alto. I diritti che
compaiono sono il diritto al lavoro e quello all’istruzione.
Petizione delle donne del Terzo Stato al Re
1 gennaio 1789
Sire, in un tempo in cui i differenti Ordini dello Stato si occupano dei loro interessi, in cui ognuno cerca di far
valere i propri diritti e i propri titoli, in cui gli uni si agitano per evocare i secoli della schiavitù e
dell’anarchia, in cui gli altri cercano di scrollarsi di dosso le ultime catene che li legano ancora ad un
imperioso resto di feudalesimo, le donne, oggetto costante dell’ammirazione e del disprezzo degli uomini, ledonne, in questa comune agitazione non potrebbero anch’esse far sentire la propria voce?
Escluse dall’Assemblee Nazionali da leggi troppo ben cementate per sperare di poterle scalfire, esse non
chiedono, Sire, il permesso di inviare i propri deputati agli Stati Generali; sanno fin troppo bene quanta parte
avrebbe il favoritismo nell’elezione, e quanto sarebbe facile agli eletti condizionare la libertà dei suffragi.
Preferiamo, Sire, deporre la nostra causa ai vostri piedi; rivolgiamo le nostre lagnanze al vostro cuore, e al
vostro cuore affidiamo le nostre miserie, poichè è solo da esso che vogliamo soddisfazione. Le donne del Terzo
Stato nascono quasi tutte senza fortuna; la loro educazione è scarsamente curata, quando non completamente
sbagliata; si risolve nel mandarle a scuola, da un Maestro che per primo non sa una parola della lingua che
insegna, che frequenteranno finchè non sapranno leggere l’Officio della Messa in francese e i Vespri in latino.
Soddisfatti i primi doveri della Religione, s’insegna loro un mestiere; giunte ai 15 o 16 anni, arrivano a
guadagnare al massimo 5 o 6 soldi al giorno. Se la natura ha rifiutato loro la bellezza, si sposano senza dote,
con poveri artigiani; vegetano stentatamente in province sperdute e danno la vita a bambini che esse stesse
non sono in grado di allevare. Se invece nascono graziose, senza cultura, senza principi morali, cadono in
balia del primo seduttore, commettono un primo errore e per
nascondere la vergogna vengono a Parigi, dove finiscono per
perdersi completamente e morire vittime del libertinaggio. Oggi
che le difficoltà di sussistenza costringono migliaia di loro a
mettersi all’asta, che gli uomini trovano più comodo comprarle
per un certo tempo piuttosto che conquistarle per sempre,
quelle che si sentono portate alla virtù da una felice
inclinazione, che sono divorate dal desiderio di istruirsi, che si
sentono spinte da un gusto naturale, che hanno superato i difetti
dell’educazione ricevuta e sanno un po’ di tutto, senza aver
appreso nulla, quelle infine che un animo eletto, un cuore
nobile, una fierezza di sentimento fanno chiamare bigotte, sono costrette
a rinchiudersi nei monasteri, in cui si esige solo una modesta dote, o a mettersi a servizio.
Se la vecchiaia invece le sorprende nubili, la trascorreranno fra le lacrime, oggetto di disprezzo dei parenti
più prossimi. Per ovviare a tanti mali, Sire, noi chiediamo: che gli uomini, in nessun caso possano esercitare
mestieri che sono appannaggio delle donne, ossia quelli di sarta, ricamatrice, negoziante di moda, che ci
lascino almeno l’ago e il fuso, e noi ci impegneremo a non prendere in mano il compasso e la squadra.
Chiediamo di venire illuminate, di avere occupazioni, non per usurpare l’autorità degli uomini, ma per
esserne maggiormente stimate, per avere mezzi di sussistenza al riparo dagli infortuni, perchè l’indigenza non
costringa le più deboli di noi, abbagliate dal lusso e sviate dall’esempio, ad unirsi a quella folla di disgraziate
che popolano le strade e la cui viziosa audacia costituisce l’obbrobrio del nostro sesso e degli uomini che le
frequentano. Vorremmo che questa categoria di donne portasse un distintivo. Non dovrebbero mai togliersi il
distintivo, pena l’obbligo di lavorare in pubblici laboratori, a vantaggio dei poveri. Vi supplichiamo Sire di
istituire scuole gratuite in cui poter appendere i principi della nostra lingua, la religione e la morale. Noi
chiediamo di liberarci dell’ignoranza, per dare ai nostri figli un’educazione sana e ragionevole, per farne
Sudditi degni di servirvi. Li educheremo ad amare il bel nome di Francese, trasmetteremo l’amore che
abbiamo per la Vostra maestà; noi infatti preferiamo lasciare agli uomini il valore, il genio, ma sempre
contenderemo loro il pericoloso e prezioso dono della sensibilità.
ARTICOLO DI D’AMICO GAIA DELLA CLASSE IV A DEL LICEO CLASSICO
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