goliardo s. m. [dal fr. ant. goliard, lat. mediev. goliardus, incrocio di Golias, nome mediev. del gigante Golia (e anche denominazione del diavolo), e del lat. gula «gola»]. – 1. Nome con cui furono indicati, dalla seconda metà del sec. 12°, i cosiddetti clerici vagantes, cioè quei chierici e monaci, uomini di chiesa e insieme di scuola, che, abbandonate le loro sedi, si recavano a frequentare le scuole dei grandi centri cittadini, per fare quindi carriera nelle corti dei principi e dei potenti ecclesiastici; il contatto con le nuove esperienze dell’ambiente cittadino favorì una loro progressiva laicizzazione con l’affermarsi di interessi schiettamente mondani, quali emergono dai componimenti poetici a loro attribuiti
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Una volta gli studenti biellesi, per carnevale, portavano i famosi cappelli goliardici. Il “goliardo” nato nel medioevo, era il copricapo del giullare; alcuni fanno derivare la parola da “goloso”, altri dal gigante Golia. La “goliardia” era la ricerca, specie tra gli studenti e i giovani, della trasgressione, dell’ironia, del piacere della compagnia e dell’avventura allegra. Il goliardo dell’Istituto Tecnico Industriale “Quintino Sella” era di colore blu e bianco, semplicemente bianco era quello del Liceo Classico, nero quello del Liceo Scientifico, il verde lo portavano i ragionieri del Bona, mentre il grigio i Geometri. In prima superiore il goliardo era semplice con una barretta cucita sopra; in seconda si potevano appendere o cucire solo cinque ciondoli, scatenando la bizzarria degli studenti: bamboline, ciucci, medaglie, provette (chi studiava chimica), bulloni (chi studiava meccanica), valvole elettriche (chi studiava elettrotecnica) e altri mille oggettini. In terza dieci ciondoli, in quarta quindici (non di più, se no i vecchi della quinta li facevano togliere) e in quinta, oltre a quanto citato, piume di struzzo, di pavone, di fagiano, frange, pompon e pendagli vari, rendendo così il copricapo pesante e coloratissimo. A carnevale, gruppi di studenti giravano per Biella col goliardo in testa, cacciando il loro urlo. I più turbolenti e temuti erano quelli dell’ITI, ma anche lo Scientifico e il Bona si facevano rispettare; Classico e Geometri erano i più tranquilli del carnevale biellese. Era tradizione storpiare l’urlo altrui caricaturalmente. Incontrare da solo, o in piccolo gruppo, studenti dell’ITI, avendo in testa il goliardo di un’altra scuola, avrebbe sicuramente significato beccarsi delle botte e vedersi sequestrato o stracciato il copricapo.
Nel 1859 la riorganizzazione amministrativa del Regno di Sardegna sancì l’abolizione della provincia di Biella e il conseguente passaggio del suo territorio alle dipendenze di Novara. L’anno successivo, con l’entrata in vigore del nuovo ordinamento scolastico del Regno di Sardegna (legge Casati), che prevedeva l’istituzione nel solo capoluogo di provincia di una Scuola di Filosofia (denominata Liceo e della durata di tre anni), Biella dovette rinunciare al proprio Liceo e “accontentarsi” di un Regio Ginnasio di terza classe. La soppressione della scuola, conseguenza anche del comportamento remissivo del Comune, suscitò un’aspra polemica nell’opinione pubblica; i più accesi sostenitori della necessità di rifondare a Biella un pubblico Liceo furono Severino Pozzo, ispettore delle Regie Scuole, e Giuseppe Venanzio Sella, fratello del più noto Quintino.
Quest’ultimo presentò al consiglio comunale in data 30 settembre 1872 la proposta di istituire un “corso liceale civico”, cioè sostenuto dal Comune, il quale avrebbe dovuto provvedere già per l’anno scolastico 1873/1874 tre o quattro professori e cinque per gli anni successivi. La soluzione avanzata dall’industriale biellese trovò accoglimento e nell’ottobre del 1873, sotto la guida del preside, prof. Cristoforo Michelotti, presero il via i corsi del Liceo, insediato nei locali ricavati da un’ala dell’ex convento di San Francesco (che si affacciava sull’attuale piazza Martiri della Libertà).
Il principale problema da risolvere era, però, quello concernente il valore legale degli esami di maturità: per ottenerlo era necessario che il Liceo fosse pareggiato (oggi diremmo “parificato”) ai Licei Regi. Il sindaco di Biella, Tommaso della Marmora, si mobilitò per reperire le 10.000 Lire necessarie allo scopo (il Comune era già impegnato a versare 20.000 Lire annue per la gestione delle scuole tecniche), coinvolgendo i comuni del circondario e promuovendo una sottoscrizione fra i privati. Nel maggio del 1876, dopo che la prima richiesta di pareggiamento, avanzata sempre da Giuseppe Venanzio Sella nel novembre dell’anno precedente, aveva ricevuto risposta negativa, finalmente il Liceo di Biella fu ordinato secondo le norme dei Licei Regi.
Il 16 settembre 1935, dopo sessant’anni di attività, durante i quali fu attivissimo centro di cultura nella vita cittadina, il Liceo pareggiato si fuse con il Regio Ginnasio, dando vita al Regio Liceo Ginnasio, che un anno e mezzo più tardi fu intitolato a “Giuseppe e Quintino Sella” (16 aprile 1937).
Nell’ottobre del 1953 il prof. Celestino Negro assunse la guida dell’Istituto, subentrando al prof. Bernardino Alasia. Entrato a far parte del corpo docente del Liceo di Biella nel 1932 in qualità di insegnante di Latino e Greco, il prof. Negro aveva già ricoperto il ruolo di preside dal novembre 1945 al febbraio 1946, dopo gli anni caotici e difficilissimi della seconda guerra mondiale, nei quali il Liceo Ginnasio si vide improvvisamente frequentato da una ipertrofica ed eterogenea massa di alunni sfollati da ogni parte d’Italia. Animato da un forte spirito patriottico e da un profondo amore per la cultura classica, il prof. Negro fu l’ispiratore e l’organizzatore delle celebrazioni per l’ottantesimo anniversario di fondazione del Liceo di Biella, che ebbero luogo nel maggio del 1954. L’iniziativa riscosse l’apprezzamento della cittadinanza, che considerava il Liceo una delle istituzioni educative più rappresentative del territorio: «Gli studi classici – sottolineò “Eco di Biella” – hanno sempre avuto a Biella comprensione e simpatia». «Non sono stati né sono pochi – aggiunse “il Biellese” – gli industriali, che, pur avendo bisogno per i loro figli di un corso di studi più breve e più tecnico, li mandano invece al Ginnasio e al Liceo perché approfondiscano ed estendano la loro cultura, preparandosi agli studi superiori».
Il programma dell’evento, fissato per domenica 9 maggio, prevedeva alle ore 9 l’accoglimento presso i locali del Liceo degli ex allievi e delle autorità e l’inaugurazione della lapide commemorativa con epigrafe latina, dettata dal prof. Negro. Un’ora più tardi, al Teatro Sociale, lo stesso prof. Negro avrebbe tenuto una conferenza dal titolo “Perché si studia il latino?”, cui avrebbe fatto seguito il banchetto allestito all’albergo dell’Angelo.
Le adesioni da parte degli ex allievi furono elevate. La mattina di domenica 9 maggio, le tanto attese celebrazioni poterono finalmente avere inizio. Gli ospiti furono accolti dai centodue allievi dell’Istituto, disposti su due file nell’atrio e lungo lo scalone, con in testa le bustine bianche (il “goliardo”). Tra le personalità convenute spiccavano gli ex presidi Cavallo, Simone, Esposito e Alasia; il prof. Prisinzano, rappresentante del Ministro della Pubblica Istruzione; il sindaco di Biella, Blotto Baldo, e il presidente della provincia Aimone; il prefetto De Bernart; monsignor Giuseppe Botta, in rappresentanza del vescovo Rossi; gli industriali Guido Alberto Rivetti, Bertotto e Piana; Massimo e Venanzio Sella, nipoti di Giuseppe. Il ministro Giuseppe Pella, trattenuto a Roma, fece pervenire una lettera che esprimeva la sua ideale adesione; similmente fecero il senatore Caron, l’onorevole Carpano, l’ambasciatore Carandini e gli ex allievi in America e nell’Africa che hanno voluto essere considerati presenti.
La cerimonia si aprì quindi con lo scoprimento della lapide commemorativa. Dopo la benedizione impartita da monsignor Botta, spettò all’assessore Beppe Mongilardi, presente in veste non solo di assessore comunale ma anche di ex allievo del Liceo, pronunciare un breve discorso sulle origini del Liceo e sull’importanza degli studi classici.
“Trentaquattro anni or sono, al 4 Novembre 1920, già a me toccava l’immeritato compito di farmi interprete degli ex allievi del Liceo nella cerimonia inaugurale della vicina lapide, murata a ricordo degli ex allievi caduti nella prima guerra mondiale: lapide che – gloriosa di nomi quali quelli di Costantino Crosa e di Mario Cucco – noi possiamo considerare come celebrativa anche degli ex allievi caduti nella seconda e, Dio voglia, ultima guerra, in modo da richiamare spiritualmente oggi qui, primi fra noi, gli uni e gli altri, uniti tutti, senza distinzione, nella luminosa aureola del loro comune sacrifico.
Però, se già sentii in quegli anni lontani immeritato il mio compito di allora, ancor più immeritato sento il compito di interpretare nella cerimonia odierna il pensiero di tutti gli ex allievi usciti in ottanta anni da questo istituto, perché molti, troppi, sarebbero assai più degni di me di essere ora qui al mio posto: ma l’invito del benmerito Preside, ideatore ed animatore di questo simpatico raduno, era troppo lusinghiero per me, perché, anche nella qualità di assessore del nostro Comune, non sentissi tutte l’intima soddisfazione di inaugurare, dopo la prima, questa seconda lapide, che ricorda in nobilissimi termini un evento che fu, ottanta anni or sono, per la nostra città, altamente significativo. E penso che, nel compiere quest’atto, non sia vano che io brevemente vi ricordi quale sempre sia stata nella nostra regione la tradizione classica, ed in quale atmosfera spirituale sia sorto il nostro ormai vecchi liceo.
Forse l’accenno ad una tradizione classica biellese può suscitare, in qualcuno dei presenti, un senso di incredulità, perché l’eccezionale sviluppo industriale della nostra regione, accentuatasi ancora in questi ultimi decenni, può fra sorgere il dubbio che la fiaccola del classicismo abbia sempre
brillato qui fra noi di luce assai scialba. Ma così non fu in passato, e così – per fortuna nostra – non è neppure oggi, perché si può dire che non vi sia borgo della nostra regione che non si possa vantare di avere, in anni più o meno lontani, dato i natali a studiosi di chiara fama e di alto intelletto, versati particolarmente nella teologia, nella giurisprudenza e nella medicina – discipline, queste che ebbero sempre, fra i biellese, più diffuso favore – ma pur anche non disdegnosi di letteratura, di filologia, di storia: uomini tutti che seppero portare, nei consigli della Corona come nelle aule degli atenei, nelle biblioteche dei conventi come nelle corsie degli ospedali, quella stessa indomita operosità, non disgiunta da dignità di costume e di vita, che valse, in altri biellesi, a creare le basi della grande industria attuale.
Ma qui è pur doveroso lealmente riconoscere come a tanto fervore di studi ben poco corrispondessero in passato gli istituti scolastici locali, per modo che gli studenti biellesi erano costretti, ancora in giovanissima età, ad allontanarsi dalle regione per completare in altre località la loro istruzione: occorre però nel contempo ricordare che Biella, cent’anni or sono, era ancora, nella graduatoria demografica, il 29° comune del Piemonte, mentre – per le scarse comunicazioni di allora – gli istituti scolastico dovevano necessariamente sorgere in seno, o, quanto meno, nelle
immediate vicinanze, di centri cospicuamente abitati.
Ma in soli cento anni quanto cammino! Mentre demograficamente Biella saliva da quel 29° posto al 6° di oggi, si può con ragione affermare che non è passato, in questi cento anni, un solo decennio senza che qualche nuovo istituto scolastico non venisse ed accrescere il patrimonio culturale della nostra città: è così, pur soffermandoci soltanto ai tempi più lontani – ai tempi in cui ancora aleggiava su questa nostra vecchia provincia piemontese l’atmosfera eroica del Risorgimento – vi dirò che nel 1860 veniva istituito nella sua forma definitiva il ginnasio, di cui fu primo direttore
Pietro Negro, prozio del nostro Preside: che nel 1869 sorgeva, sulla base di un’antica e benemerita scuola d’arti e mestieri la Scuola Professionale, ora Istituto Industriale: e che finalmente, nel 1874, aveva origine, su incitamento di Severino Pozzo, ma soprattutto per merito dello spirito di iniziativa di Quintino Sella, e della generosità del fratello di lui, Giuseppe Venanzio, anche il nostro liceo, affidato, agli inizi, alla provvisoria giuda del Ginnasio Cristoforo Michelotti.
Parlare a lungo qui di Quintino Sella, così benemerito, per tanti titoli, non solo del nostro Biellese ma di tutta l’Italia, penso che sia inutile: non inutile però il ricordare a tutti voi come il nostro grande statista sapesse così bene contemperare le sue conoscenze scientifiche e la sua attività
politica con la cultura classica da portar sempre con sé nei suoi viaggi le opere predilette di Orazio e di Dante, che pur sapeva in gran parte a memoria.
Né, di questa sua devozione al classicismo, egli, minerologo ed ingegnere, faceva mistero, poiché più volte sostenne in Parlamento che, sebbene i suoi studi fossero stati tutti nel campo delle scienze positive, tuttavia egli riteneva essenziale, essenzialissimo, per una Nazione civile il mantenere
fiorenti gli studi classici, tanto che il lasciarli nell’abbandono avrebbe, secondo lui, segnato la decadenza intellettuale dell’Italia.
Un più diffuso e direi anche più doveroso cenno, merita oggi qui Giuseppe Venanzio. Se la sua personalità fu, fatalmente, non poco offuscata da quella del grande fratello, che pur lo considerava e lo amava come un secondo padre, Giuseppe Venanzio Sella deve pur sempre essere onorato come uno dei migliori biellesi del secolo scorso, quale avveduto industriale, quale saggio amministratore di istituti di credito, quale chimico e fotografo di non comune valore ed anche quale solerte ed ascoltato membro del nostro Consiglio Comunale. Ma il suo più alto titolo di benemerenza rimarrà, a mio giudizio, l’appoggio generoso da lui sempre dato a tutto quanto rifletteva lo sviluppo sociale e culturale cittadino, onde l’istituzione del liceo non fu che il coronamento di tante altre sue iniziative filantropiche e scolastiche, poiché la morte lo colse, poco più che cinquantenne, nel 1876, a solo due anni dall’inizio dei corsi. Ed ancora, morendo – a continuazione di quanto aveva fatto in vita – lasciò alla città la sua ricca biblioteca, una dei nuclei fondamentali della nostra Biblioteca Civica. Tale l’uomo a cui il nostro liceo deve in modo precipuo la sua vita; ma questa vita doveva poi trarre, negli anni successivi, costante alimento anche da coloro che profusero qui nell’ardua missione dell’insegnamento i tesori della loro intelligenza e della loro preparazione culturale. Io sono certo che in questo momento, trovandosi qui, ognuno degli ex allievi non può fare a meno di rivolgere un pensiero di riconoscente gratitudine ai suoi professori. Ricordare ora, ad uno a d uno, tutti i docenti che in ottant’anni, si sono avvicendati in queste aule non è possibile, e non giusto sarebbe che io, approfittando dell’incarico auto, risodassi soltanto quelli che furono i miei: mi limiterò quindi a richiamare alla vostra memoria i soli nomi di coloro che rivestirono l’incarico di presidi.
Ma chi, fra i presenti, ricorda ancora i primi di essi, Giacomo Alforno, preside dal 1875 al 1880 e Andrea Novaro, preside dal 1880 al 1883? Oh! Se la tardissima età non gli avesse impedito di venire oggi qui fra noi, come pur tanto desiderava, ben li ricorderebbe il nostro venerato decano, il novantenne ingegnere Quinto Grupallo, a cui – sicuro interprete del vostro unanime sentimento – mi è caro mandare un deferente saluto. Ma, dopo i primi due presidi, la mia rievocazione si porta ad un nome indimenticabile per tutti coloro che, come me, hanno varcato, o che stanno varcando la soglia del mezzo secolo: Fortunato Maglioli, preside per oltre quarant’anni, dal 1883 al 1924, educatore integerrimo, studioso di alto intelletto e così biellese di natali e di cuore da rifiutare costantemente ogni incarico di insegnamento universitario per rimanere nella terra prediletta. Ed io sono certo che per tutti noi, che tanto lo stimammo, la sua cara e buona immagine paterna non potrà mai dissociarsi da queste aule, dove egli svolse con tanto zelo la sua missione.
Dopo di lui, dal 1924 al 1929, fu preside Alessandro Roccavilla, storico dell’arte biellese, uomo di molteplici iniziative ed appassionato direttore della Biblioteca Civica; poi, dal 1929 al 1939, Ruggero Battistella, sotto la cui presidenza il Liceo, che prima era solo “pareggiato” venne “regificato”; ed infine, in questi ultimi quindici anni, Alberto Simone, Arturo Cavallo, Giuseppe Esposito e Bernardino Alasia.
Ed ora, per la seconda volta, un biellese ancora regge il nostro vecchio istituto ed io ritengo che fu appunto la filiale devozione per questa sua e nostra terra natale a consigliare a Celestino Negro la cerimonia odierna, valorizzata da tanti illustri consensi e sicuramente augurale per il sempre
maggiore sviluppo del nostro Liceo Classico. E qui il mio compito sarebbe finito ma consentitemi che, a titolo di conclusione io vi legga alcuni brani di un discorso che 77 anni or sono, in occasione della 1° cerimonia accademica del Liceo, pronunciava in queste stesse aule un docente che merita particolare ricordo per essere stato – solo fra tutti – chiamato qualche anno più tardi a rappresentare un collegio biellese nel Parlamento Nazionale, Luigi Guelpa.
Così egli si esprimeva:
«Si assicurino, gli uomini della tecnologia, che il classicismo non si oppone per niente all’attuazione dell’utilità della vita. Piuttosto il classicismo vorrebbe, con l’eccellenza dei suoi studi, compiere ciò che manca alla tecnologia: ergere qualche volta alla contemplazione dei fini quell’intelletto troppo assiduamente prono ed implicato negli strumenti della ricchezza: consigliare quella moderazione che pone il pregio delle dovizie acquisite non tanto nei termini del materiale acquisito quanto nelle ragioni che mostrano a qual fine di bene per noi e per il prossimo quelle possono essere adoperate. Il peggior male del presente è di voler fare tutto materiale, tutto meccanico: è tale che la nostra vita non ha e non può aver più nulla di nobile, di generoso e di contemplativo. Gli studi classici vogliono recare alla luce delle idee questo male: tutto l’orrore mostrarne, conchiudendo non volgare ma illustre dover essere questo nostro pellegrinaggio, perché divina è l’anima nostra, divina l’immagine da cui traspare in ogni atto, e divino il fine a cui tanta perfezione di organi ed intelligenza è indirizzata».
Ed aggiungeva più oltre:
«O voi, che avete dovizie, onori ed autorità, proteggete gli studi classici! E voi, o giovani carissimi, coltivateli: coltivateli per amore vostro, per utile ed ornamento di voi, e per decoro di questa patria classica per eccellenza, perché è solo col sussidio di noi che voi ne potrete conoscere le origini e le glorie antichissime, riposte nel seno profondo dei secoli».
Nobilissime parole che, pur vecchie di 77 anni, hanno ancora oggi, ed avranno sempre, una loro viva, profonda inalterabile attualità!”
Terminata la visita alle aule e ai laboratori, studenti, ex allievi e autorità si trasferirono al Teatro Sociale per assistere alla conferenza del prof. Negro; l’apparizione sul palco del preside del Liceo fu accolta da lunghi applausi, accompagnati dal grido “Kalá pánta kai ierá” (“Tutte le cose belle sono anche sacre”) ripetuto più volte dagli studenti. Il pubblico presente in sala seguì con attenzione e interesse l’intervento dell’insigne professore riservandogli un’interminabile ovazione, alla quale andarono ad aggiungersi i complimenti da parte del sindaco, dei colleghi professori, degli ex allievi e degli studenti.
Silvano Esposito, giornalista professionista ed ex direttore de “il Biellese”, nelle sue memorie dal titolo “Gli anni delle braghe corte” scrive, a proposito della vecchia sede del Liceo Classico in piazza Martiri della Libertà:
“[…] Ci sono alcuni luoghi, tra gli altri, che ritengo significativi per la mia esperienza di vita vissuta e sui quali mi piace spesso abbandonarmi al ricordo di numerosi episodi della mia giovinezza. […] Il primo è un luogo pubblico, che, sono sicuro, potrebbe riportare alla luce emozioni e ricordi analoghi ai miei per molte persone che nel corso degli anni lo hanno frequentato. Parlo della vecchia sede del Liceo Classico Giuseppe e Quintino Sella, nell’edificio ricavato dall’ex convento di San Francesco in piazza Martiri della Libertà a Biella, che oggi ospita una scuola media. Ci misi piede per la prima volta nell’autunno del 1970, come giovanissimo allievo che accedeva agli studi superiori. Si entrava dall’ingresso di piazza Martiri, in un androne non esageratamente ampio, su cui si affacciava la porta d’ingresso della casa del custode. […] In fondo all’androne, una porticina conduceva in un locale che solitamente veniva adibito ad ambulatorio per le periodiche visite mediche a cui venivano sottoposti gli allievi da parte di medici di base, impegnati in un lavoro di prevenzione che riguardava soprattutto la salute dei denti, della colonna vertebrale e della vista. […] Superata anche questa porticina si accedeva a un breve corridoio, da cui partiva un imponente scalone in marmo in due rampe, lungo il quale erano posizionati busti di alunni insigni e benefattori, che conduceva fino al piano superiore dove si entrava in un ampio corridoio con un pavimento a mattonelle bianche e nere, sul quale si affacciavano le varie aule scolastiche, da un lato, e ampie e alte finestre dall’altro, che davano sul cortile interno. Il corridoio correva tutto intorno a questo cortile formando un quadrato che ricalcava la forma dell’antico chiostro sottostante. […] Il largo corridoio correva per tre lati tra aule e finestre sul cortile. Il quarto lato non era percorribile, in quanto occupato dalle aule cosiddette “tecniche”, in cui si svolgevano le lezioni di chimica, fisica e biologia. Erano ampi e bui stanzoni, occupati da armadi con teche di cristallo a protezione di apparecchiature e reperti fossili o altro; in mezzo c’erano ingombranti banchi di legno massiccio con annesse panche, la cui caratteristica più particolare era costituita da un infinito numero di graffiti e iscrizioni, realizzate con temperini e altri utensili di fortuna durante le lezioni dagli allievi. C’era di tutto, con prevalenza di frasi colorite e boccaccesche e di epiteti rivolti ai professori, che, seppur molto irriverenti, evidenziavano comunque una spiccata fantasia umoristica da parte degli autori. Chissà che fine hanno fatto quei banchi? Magari sono finiti ad ardere in qualche stufa o caminetto. Se fossero ritrovati potrebbero costituire la base per una ricerca sociologica sulle espressioni ludico-goliardiche che hanno impegnato i ragazzi di buona famiglia che per decenni hanno frequentato il Liceo Classico di Biella. E a proposito di goliardia, quello era anche il tempo dei cappelli piumati, delle feste, degli scherzi di carnevale. […] Io e i miei coetanei cercammo di arrivare alla fine dei cinque anni di Liceo conservando questa tradizione e, in terza Liceo, formammo uno degli ultimi consigli goliardici inalberando con orgoglio i nostri cappelli bianchi (il colore del Classico) con le piume rosse, organizzando feste e raccolte di fondi con le famose tessere sconto per i principali negozi cittadini”.
ARTICOLO DI BILLIA NOEMI DELLA CLASSE IIIA DEL LICEO CLASSICO
SITOGRAFIA:
https://www.amicidelvernato.it/pagine/evento.php?id=15
https://www.frammentidistoriabiellese.it/eventi/il-liceo-classico-g-e-q-sella-compie-80-anni-1954/
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