È negli anni della rivoluzione francese, in un periodo storico florido per la nascita di nuove idee intellettuali e politiche in contrapposizione al sistema feudale aristocratico dell’ancien régime, che nasce uno dei primi pensieri socialisti collettivisti. Grezze fondamenta di quegli ideali che avrebbero segnato, dalla rivoluzione industriale in avanti, per quasi due secoli le basi delle teorie dei più grandi pensatori e filosofi in seno alle problematiche sociali e operaie.
François-Noël Babeuf, noto anche con il soprannome di Gracchus, in onore al celebre tribuno della plebe romano, può essere considerato senza alcun dubbio il primo proto-socialista della storia contemporanea. Nato nel 1760 in una famiglia della bassa borghesia di campagna, ebbe come unico precettore il padre esattore delle imposte. Avendo maturato conoscenze nel campo fiscale e del diritto feudale dopo la morte del padre avvenuta nel 1780 divenne contabile dei registri catastali dei nobili locali. Il suo lavoro consisteva infatti nel determinare i diritti signorili, che gravavano sulle terre, diritti spesso soggetti a prescrizioni, a trascuratezza e a contestazioni. è in questo contesto che Babeuf si trovò di fronte alle evidenti e ingiuste differenze gerarchiche sociali del sistema feudale maturando una consapevolezza molto avanzata anche per il periodo dei lumi nel quale viveva. Citando una frase scritta da lui nel 1795 “fu proprio nella polvere degli archivi signorili che scoprii i misteri delle usurpazioni della casta nobiliare.”
Infatti nella situazione economica francese, pur essedo iniziato il processo verso forme produttive di stampo capitalistico avanzato, l’agricoltura era ancora l’attività principale, con una situazione di diritti palesemente a svantaggio dei contadini e con il problema del sovrappopolamento che aveva creato un elevato numero di nullatenenti. Si innescò così una reazione a catena: eventi che alzarono il costo dei terreni di mezzadria, diminuirono le possibilità di godere di terreni comuni, accessibili a tutti. Ne conseguì la concentrazione dei terreni in grandi proprietà, processo che avrebbe portato al tracollo il già teso rapporto tra contadini e aristocrazia.
Proprio per far fronte a questo problema nel 1785, Babeuf entra in corrispondenza con il segretario dell’Accademia di Arras, che si occupa di raccogliere e comunicare analisi sulla situazione delle campagne e di proporre dei progetti atti a migliorarne la situazione.
In questo ambiente mostra la sua vicinanza alle idee di Rousseau, infatti nel 1786 scrive: «fautore di un sistema assai noto, che si alimenta dell’idea della felicità sociale e consiste nella pretesa che la popolazione è la misura dell’aumento della ricchezza comune», in opposizione alle opinioni fisiocratiche, che credono che minore è la popolazione e maggiore sarà la ricchezza nazionale relativa, considerando inoltre l’Emile il sistema di istruzione più moderno possibile. Pur approvando in gran parte Rousseau, non ne condivise né il pessimismo, fiducioso com’era che una cultura diffusa comportasse necessariamente il progresso del genere umano, né l’ispirazione religiosa, alla quale opponeva una dura critica con il materialismo ateo.
Nel 1787 inizia a elaborare, con una lettera all’università strutturata in tre punti, i primi pensieri sulla ridistribuzione delle terre, sul bene collettivo e sulla proprietà privata : nel primo suggerisce di abolire l’uso di lasciare annualmente incolto, a maggese, un terzo delle terre coltivabili; nel secondo, si pone il problema di stabilire «la più giusta determinazione della quantità, della situazione locale, dei limiti, dei diritti e dei doveri di tutte le parti»; nel terzo si esprime a favore, pur mantenendo una forma dubitativa, della coltivazione collettiva della terra.
La corrispondenza con l’Accademia di Arras si interrompe definitivamente il 21 aprile 1788: Babeuf aveva compreso la vacuità di quell’Istituzione che, come tante altre, discuteva e proponeva di tutto senza avere la volontà di concludere alcunché.
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Nel 1789 alle porte della rivoluzione, scrisse un discorso da presentare poi all’assemblea nazionale per rivendicare i principi democratici che doveva seguire la nuova nazione: richiesta di un’imposta proporzionale – non però progressiva. «Che non si vendano più i beni spirituali della Religione, che sia cioè permesso di nascere e morire senz’obbligo di mettere mano alla tasca per pagare le cerimonie d’uso in tali circostanze. Che s’istituisca una cassa nazionale per le sussistenze dei Poveri. Che si stipendino, a carico dei fondi pubblici, i Medici, i Farmacisti e i Chirurghi, perché possano somministrare gratis i loro servigi. Che sia fatto un piano di educazione nazionale di cui possano profittare tutti i Cittadini. Che i Magistrati siano del pari stipendiati con le pubbliche entrate, così da rendere la Giustizia gratuita».
A ottobre ritorna a Roye, impegnandosi nella richiesta di abolizione delle vecchie tasse feudali; a questo scopo si fa promotore di una petizione, indirizzata all’Assemblea Nazionale, sostenendo che le imposte indirette, le gabelles, una quantità di tasse date in appalto, e i droits d’entrées aux villes, i dazi comunali, tutte tasse mantenute dall’Assemblea in attesa di una riforma fiscale generale, erano illegittime e «non potevano essere mantenute, nemmeno provvisoriamente, dai Francesi divenuti liberi».
Il Comitato delle ricerche dell’Assemblea Nazionale – una commissione incaricata di proporre l’incriminazione degli imputati di reati politici – definì la Petizione un «libello incendiario»; il 10 maggio 1790 Babeuf si autodenuncia autore della petizione e risponde che un libello «non è uno scritto il cui autore si faccia conoscere pubblicamente, non è uno scritto che tutti si affrettano a sottoscrivere» e denuncia che nemmeno prima della Rivoluzione «l’inquieta tirannide spinse le precauzioni al punto di chiudere decisamente la bocca alle proteste». Arrestato il 19 maggio, è condannato, ma viene liberato il 7 luglio.
Nel suo giornale Le Correspondant picard protesta contro la Dichiarazione dei diritti che solo in apparenza riconosceva l’eguaglianza di tutti i cittadini, dal momento che essi vengono distinti in «attivi», dotati di un reddito e in «passivi», quelli che non hanno nulla e non hanno diritto di voto. Del resto, tra i cittadini attivi, solo l’uno per cento dei più agiati poteva essere ammesso alle urne.
Attacca anche il Robespierre di quegli anni, cui rimprovera di non aver «insistito sulla conseguenza capitale che discende naturalmente dal principio dell’eguaglianza dei diritti: a tutti un’eguale educazione e una sussistenza assicurata. Una simile disposizione, introdotta nella costituzione, avrebbe rappresentato il più grande dei benefici, l’avrebbe resa inviolabile».
Pubblicò il primo numero del suo Journal de la Liberté de la Presse Gracco Babeuf prese le parti del regime caduto, attaccando violentemente i fautori della politica termidoriana, che tanti privilegi aveva consentito. Il suo atteggiamento ebbe pochi consensi anche tra i giacobini così in ottobre venne nuovamente arrestato e imprigionato ad Arras. In carcere conobbe filippo Buonarroti, grande rivoluzionario che divenne in seguito suo amico intimo e valido collaboratore.
Il nuovo governo, infatti, si impegnò ad abolire i privilegi di cui Parigi si era alimentata a scapito di tutta la Francia e, dal 20 febbraio 1796, divenne necessario porre un maximum sui prezzi del pane e della carne. L’annuncio causò malcontento diffuso, non soltanto per gli operai e la vasta classe di proletari, che erano emigrati a Parigi in cerca di fortuna, ma anche per gli impiegati statali, che venivano pagati tramite assegnati fissati dal governo. Tutti gli espedienti che dovevano attenuare la crisi, pertanto, non fecero che ingigantire l’allarme.
La miseria diffusa divenne il principale palcoscenico per i pesanti attacchi di Babeuf, che, in quegli anni, si era guadagnato numerosi ammiratori. Aveva intorno a sé un piccolo circolo di seguaci, conosciuto come Societé des égaux. Nel mese di novembre del 1795 venne segnalato dalla polizia per aver predicato apertamente all’insurrezione, la sommossa e la costituzione del 1793. La Società venne influenzata dagli scritti di Sylvain Maréchal autore di Le Manifeste des Egaux, nonché simpatizzante di Babeuf.
Per un certo tempo, il governo si tenne informato delle attività del gruppo, seppure non intervenendo direttamente. Il Direttorio lasciò crescere l’ideale socialista con lo scopo di dissuadere la gente dall’associarsi ai movimenti monarchici che desideravano il rovesciamento del regime in vigore, cercando così, in aggiunta, di mantenere i due schieramenti dei rossi e dei bianchi in contrasto reciproco.
Con la crescita della crisi economica, tuttavia, l’influenza di Babeuf aumentò e, dopo che Napoleone Bonaparte chiuse la società il 27 febbraio 1796, anche l’aggressività del gruppo raddoppiò. Il seguito a quest’aumento della violenza del movimento babuista e al tradimento di uno dei membri che aveva informato il direttorio che presto sarebbe stato organizzato un massiccio tentativo insurrezionale, Babeuf e altri importanti leader vennero arrestati, Il provvedimento severo preso dal governo riuscì. Il processo di Babeuf e gli altri cominciò il 20 febbraio 1797 e durò due mesi. Babeuf e Darthè vennero condannati a morte; alcuni, come Buonarroti, furono esiliati, gli altri, tra cui Vadier, incarcerati. Subito dopo la lettura della sentenza, Babeuf e Darthè tentarono il suicidio con i pugnali. Buonarroti protestò e si appellò agli spettatori presenti in tribunale, ma le baionette subito alzate impedirono loro qualsiasi reazione.
Fu così che il giorno dopo la lettura della sentenza sotto la lama della ghigliottina perì il precursore del socialismo europeo.
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