Sin dall’antichità l’uomo ha sentito la necessità di trasmettere e ricevere informazioni, avendo ben presto capito che una notizia corretta e veloce può spesso portare notevoli vantaggi.
DIFFONDERE NOTIZIE NELL’ANTICHITÀ
Durante la preistoria un segno inciso o dipinto sul tronco di un albero o sulla superficie di una roccia avvertiva e informava l’uomo primitivo della presenza di un nemico oppure del passaggio di una preda.
Altri mezzi di comunicazione molto utilizzati in passato, e talvolta ancora oggi, sono quelli visivi (come il fuoco o il fumo) e uditivi (il suono dei tamburi o delle campane per esempio). Si pensi ai segnali di fumo dei nativi americani, ai campanili cittadini che suonavano sia per le feste sia per le emergenze, agli imperatori bizantini che difendevano i confini dell’impero grazie a un sistema di fari, o alla tradizionale fumata bianca o nera in occasione dell’elezione del Papa.
Per molto tempo comunque il compito di diffondere le notizie è spettato a uomini incaricati: i messaggeri. Menzione d’onore per l’oplite ateniese che coprì la distanza da Maratona fino ad Atene correndo, per annunciare ai concittadini la vittoria contro le truppe persiane nel 490 a.C.
Nella Grecia classica poi nacque il genere storiografico e aumentò l’interesse per i fatti di cronaca, potremmo infatti definire Erodoto e Tucidide, primi grandi storiografi greci, rispettivamente precursori dei reporter e dei giornalisti embedded, cioè corrispondenti di guerra. Il giornalista Rai Paolo Bolano parlando di Erodoto ha detto: «Non è soltanto lo storico da tutti riconosciuto, è anche il giornalista che per primo ha capito l’importanza di andare verso i luoghi dove si svolgono i fatti e intervistare la gente». Per quanto riguarda Tucidide, la sua opera La guerra del Peloponneso è di fatto il primo resoconto di un conflitto fatto sul campo, simile quindi all’odierno giornalismo di guerra, cui seguirono le Efemeridi reali, raccolta diaristica della vita di corte e dei particolari della vita privata di Alessandro Magno, e più tardi i celeberrimi commentari di Giulio Cesare: il De bello gallico e il De bello civili.
Passiamo dunque al mondo latino: nell’antica Roma ci fu una prima forma organizzata di comunicazione un po’ più simile al giornale di oggi. Si tratta degli Annales maximi ossia cronache dei principali avvenimenti dell’anno redatte dal pontefice massimo, figura religiosa romana. Gli eventi più significativi, insieme alla loro data, venivano scritti su tavole bianche, poi esposte in luoghi pubblici così che tutti potessero vederle. Con il passare degli anni furono raccolti in decine di volumi. Documenti simili agli annales erano gli Acta senatus, verbali relativi alle discussioni e alle decisioni del Senato, e gli Acta diurna, che riportavano contenuti in parte ufficiali (notizie giudiziarie, decreti imperiali, del Senato romano e dei magistrati) e in parte privati (annunci di nascita, di matrimonio e di morte).
Dopo la caduta dell’Impero Romano e durante il Medioevo la diffusione delle notizie era prevalentemente orale, ma dall’VII secolo cominciarono ad apparire cronache e annali. Nel Duecento furono organizzati i primi servizi postali tramite corrieri che trasmettevano lettere d’avviso o novelle a mano delle compagnie commerciali: le corrispondenze riguardavano prevalentemente uomini politici, banchieri e mercanti, ma spesso contenevano anche riferimenti di altro genere. In Germania, nel XV secolo, le grandi compagnie bancarie utilizzavano le lettere giornale per le comunicazioni quotidiane relative alle loro attività. I compilatori di quegli avvisi erano chiamati menanti e operavano nei luoghi dove si svolgevano i maggiori traffici di affari come Venezia, Genova, Roma, Anversa, Augusta.
LE GAZZETTE
L’evento fondamentale per la nascita del giornalismo moderno è senz’altro l’invenzione della stampa a caratteri mobili a opera del tipografo tedesco Johannes Gutenberg. Grazie ad essa durante il Cinquecento sorsero molte tipografie nelle più importanti città europee, sedi di attività commerciali o culturali, che diedero un grande impulso alla circolazione di fogli e di libri.
Un altro personaggio chiave fu Aldo Manuzio, stampatore veneziano, che sostituì il carattere gotico di Gutenberg con quello latino, da quel momento chiamato stile italico, cioè il corsivo. A lui viene inoltre attribuita la definitiva sistemazione della punteggiatura come la utilizziamo ancora oggi.
Fu così che dagli avvisi, fogli volanti e spesso anonimi, si passò alle gazzette, nate in seguito a un annuncio ufficiale della Repubblica di Venezia riguardo alla crisi con l’impero turco. Le gazzette erano fogli di avvisi di piccolo formato di due o quattro pagine: esse avevano assunto una certa periodicità, seppur irregolare, e venivano vendute a una gazeta, moneta veneziana dal valore di due soldi da cui prendono il nome. Successivamente, il termine passò a indicare qualsiasi giornale periodico recante le notizie che meritassero di essere conosciute dagli abitanti di una città (e del territorio che gravitava su di essa): dalle relazioni tra gli Stati, alle notizie riguardanti la corte, ai corsi delle valute estere.
Ciononostante le autorità imperiali diffidavano della circolazione della stampa e stabilirono un rigido controllo attraverso la censura preventiva allora già applicata ai libri. L’esercizio della stampa e l’attività giornalistica erano infatti possibili solamente dietro richiesta al principe. Se la richiesta veniva esaudita, lo stampatore otteneva il privilegio, che è propriamente il diritto di poter usare uno stemma proprio (la marca tipografica), l’esenzione delle imposte e l’esclusività di stampa e di vendita, nel territorio dello Stato, per un certo numero di anni.
Durante il XVII secolo l’attività giornalistica si diffuse e divenne una componente rilevante della vita pubblica grazie agli importanti avvenimenti del periodo come il maggior dinamismo della società e del commercio e le crescenti tensioni politiche interne (è il caso della guerra civile inglese, parlamentaristi contro realisti) in cui i periodici già scrivevano a favore di una o dell’altra parte.
In Olanda, dove la censura era meno rigida e la tecnologia più sviluppata, si diffusero fogli chiamati corantos (dall’olandese krant “giornale”), che fornivano, grazie a una fitta rete di corrispondenti, notizie di carattere internazionale. I corantos, stampati clandestinamente anche in inglese, francese, tedesco, riuscirono a circolare anche nei paesi dove era in vigore la censura. Fu così che cominciò a delinearsi il concetto di notizia: le informazioni non riguardavano più solo avvenimenti eccezionali o comunicazioni di affari, ma argomenti legati alla vita quotidiana che potevano attrarre l’interesse dei lettori.
I GIORNALI E I QUOTIDIANI ILLUMINISTI
Intorno alla metà del Seicento alle gazzette, che riportavano soltanto fatti di cronaca e notizie politiche e commerciali, si aggiunsero le riviste erudite scritte dai letterati in una prosa sostenuta e con uno stile elevato, chiamate giornali, termine che inizialmente designava un diario su cui si scrive ogni giorno.
Questa distinzione in Inghilterra e Francia venne meno nei primi decenni del Settecento quando nacquero periodici divulgativi, situati tra letteratura e giornalismo, con l’obiettivo non solo di informare ma anche di educare i lettori. A questo genere appartenevano il settimanale The Review di Daniel De Foe, l’Examiner di Jonathan Swift (entrambi famosi scrittori) e il quotidiano The Spectator di Joseph Addison. Quest’ultimo approfondiva in ogni numero un argomento attraverso la conversazione fra personaggi fissi (un commerciante, un militare, un aristocratico, una donna e uno spettatore) che si incontravano in un circolo o in un caffè. La formula, che consentiva di sviluppare tutti gli aspetti di un problema in modo meno pedante e accademico, piacque moltissimo e fu imitata anche all’estero.
In Italia questo modello fu ripreso da La Gazzetta veneta, da La Frusta letteraria e soprattutto da Il Caffè (1764-1766) di Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria.
Proprio ad esso è attribuito il merito di aver unito l’attenzione per la cronaca e l’apertura alla cultura più avanzata scrivendo in uno stile adatto a un pubblico ormai in gran parte borghese. L’ideale ispiratore dei fondatori era quello di promuovere un sapere innovativo e utile alla società in modo leggero e invitante, ambientandolo appunto in una immaginaria bottega del caffè milanese in cui oltre a gustare un «caffè vero verissimo di Levante», «si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio».
Il periodico era composto da otto pagine e usciva inizialmente ogni dieci giorni, poi con ritmo irregolare; quanto alla grande varietà di argomenti, di cui Pietro Verri parla subito in apertura del primo numero scrivendo «cose varie, cose disparatissime, cose inedite […] con ogni stile che non annoi.», Il caffè si ispirava all’Encyclopédie illuminista determinando come comune denominatore sempre la pubblica utilità, in modo che il sapere scientifico fosse funzionale a una riforma delle istituzioni. Inoltre ai nuovi concetti trattati corrispondeva una lingua antipuristica che decretava la supremazia delle cose e delle idee sulle parole.
In conclusione possiamo evincere che il XVI e il XVII furono secoli assai prosperi intellettualmente e infatti in essi affonda le proprie radici il giornalismo moderno.
BIBLIOGRAFIA
- Amor mi mosse vol. 3, Langella, Frare, Gresti, Motta
SITOGRAFIA
Commenti recenti