Qual è il motivo per cui ridiamo, urliamo e piangiamo? Come mai appena una persona ci fa un complimento sentiamo le nostre guance arrossire? Per quale ragione sentiamo un desiderio incolmabile di conoscere e di scoprire ciò che ci circonda?
Almeno una volta nella nostra vita ci sono sorte spontanee queste domande, magari mentre osservavamo qualcuno piangere senza capirne il motivo, o magari mentre ci veniva da ridere in un momento non molto opportuno. Sono tanti i filosofi, che nel corso della storia, hanno provato a spiegare questi sentimenti umani, cercando di assegnare un significato concreto a queste passioni. Utilizzando come esempio l’azione di ridere, nel corso del tempo molti personaggi hanno associato a questa passione diverse connotazioni. Infatti, Aristotele, nella Poetica, esorta gli uomini a gioire poiché crede fortemente che il riso giovi alla salute e ai rapporti interpersonali. Successivamente, la filosofia cristiana si distacca dalla visione aristotelica del riso, condannandolo e indicandolo come un atteggiamento eccessivo e incontrollato tipico degli uomini disinteressati alla preghiera e indifferenti a instaurare un legame con Dio. Tenendo sempre in considerazione la passione del ridere, agli inizi del Rinascimento, Erasmo Da Rotterdam dà un ulteriore significato al riso, descrivendolo come quel sentimento che guida gli uomini e unico mezzo per accettare la tragicità della vita.
Quindi, nel corso del tempo, le passioni che caratterizzano sin dalla nascita ogni uomo sono state soggette a vari significati e interpretazioni e, probabilmente, ancora oggi non si può essere sicuri del vero motivo per cui ci offendiamo, ci vergogniamo o amiamo follemente.
In ogni caso, anche Hobbes prova a dare un senso a queste passioni. Infatti, nel Leviatano, il filosofo dedica dei capitoli all’indagine razionale di tutte quelle sensazioni che ci accompagnano durante le giornate. Prima di tutto, per comprendere l’ideologia hobbesiana, bisogna rispondere alla domanda principale: come mai, secondo il pensiero di Hobbes, si sentono queste passioni? L’uomo possiede la capacità di pensare in modo causale, cioè ha la possibilità di considerare i fenomeni come cause di possibili effetti, dai quali possono scaturire sensazioni di gioia e di dolore. Queste sensazioni vengono prodotte in base al principio della legge emotiva, non differente dalla legge meccanicistica che determina i fenomeni naturali: le passioni sono generate da stimoli provenienti dall’ambiente esterno; allo stesso modo, ogni scelta che compiamo è determinata da cause precedenti presenti nella nostra immaginazione.
Hobbes individua delle passioni fondamentali in base alle quali cercherà di spiegare ogni altra passione. Queste sono la gioia e il dolore, le quali si provano nel caso che un evento o un oggetto favorisca o ostacoli la conservazione vitale dell’uomo. Non bisogna appunto dimenticare la concezione hobbesiana dell’uomo come animale in cui prevale il principio di conservazione. In seguito secondo un meccanismo di ispezione all’interno della nostra mente, meccanismo con il quale ricerchiamo quelle immagini che hanno provocato in noi gioia o dolori, nascono altre passioni. Infatti, ciò che abbiamo sempre desiderato è per noi buono e provoca felicità; invece, quello che abbiamo sempre rifiutato è per noi cattivo e genera tristezza. Riassumendo si può quindi affermare che quello che si desidera si chiama “bene”, mentre quello che si odia si chiama “male”. Bisogna però tenere conto del fatto che non per forza quello che per noi genera piacere, quindi quello che per noi è “bene”, per un’altra persona è qualcosa di positivo allo stesso modo. Infatti, le passioni morali sono soggettive, cioè relative all’individuo che le prova e relative alla situazione che si ha vissuto e che si sta vivendo. Nonostante questa relatività delle passioni umane Hobbes ha comunque provato a dare una descrizione oggettiva delle cause e delle conseguenti sensazioni che si possono avere e provare nel corso della vita.
Cosa succede nella nostra mente quando amiamo o odiamo?
Appena noi nasciamo decidiamo ciò che desideriamo o ciò che rifiutiamo tramite il “conato”, che può essere tradotto in “desiderio” o “appetito”. Secondo questo desiderio nasce l’amore per una determinata cosa. Bisogna però tenere in considerazione una differenza ulteriore, giacché il desiderio si prova in assenza dell’oggetto desiderato, mentre l’amore nasce con la presenza dell’oggetto stesso. L’odio, invece, nasce per qualcosa per cui noi proviamo avversione; questa repulsione si genera per oggetti di cui sappiamo che ci hanno danneggiato ma anche per quelli di cui ignoriamo il fatto che ci possano danneggiare o meno. Mentre per tutti quelli oggetti per i quali non proviamo né desiderio né avversione nasce il disprezzo, cioè la completa indifferenza del nostro cuore per questi.
Perché piangiamo o ridiamo?
Il riso è generato dalla gloria improvvisa, cioè da quella sensazione che deriva dall’immaginare le proprie abilità e il proprio potere. La passione del riso è indicata da Hobbes come qualcosa di negativo perché nasce soprattutto da un confronto che si fa rispetto ad altre persone e scaturisce quindi dall’amor di sé. In un passo racchiuso ne Elementi di legge naturale e politica di Hobbes, il filosofo scrive appunto che:
“la passione del riso non è altro che un improvviso senso di gloria, che sorge da un’improvvisa consapevolezza di qualche superiorità insita in noi, al paragone con le debolezze altrui o con una nostra precedente. “
Il riso diventa in questo modo una passione che serve, specialmente a coloro che possiedono poche abilità, per conservare la stima di sé stessi limitandosi a paragonarsi alle imperfezioni degli altri. Il pianto, a differenza il riso, nasce dalla depressione improvvisa che è causata dalla consapevolezza di qualche mancanza. Secondo questa sua idea Hobbes afferma che le persone più soggette al pianto sono soprattutto donne e bambini; infatti, sempre nella sua opera Elementi di legge naturale e politica, scrive:
“I bambini piangono spesso poiché essi pensano che ogni cosa che desiderino debba esser data loro, necessariamente ogni rifiuto deve essere un improvviso ostacolo alla loro aspettativa, e fa loro ricordare di essere troppo deboli per impadronirsi di tutto ciò che cercano.”
Dunque, per Hobbes, la passione del riso e quella del pianto possono essere riassunte in due semplici frasi:
” Al cadere all’improvviso corrisponde la disposizione al pianto.”
“Al vedere un altro cadere, corrisponde la disposizione al riso.”
Ma come possiamo esprimere tutte queste passioni? Hobbes non si limita a dare una descrizione delle sensazioni che ci accompagnano durante le giornate ma si sofferma anche sulle varie forme di linguaggio con cui possiamo esprimere tutto ciò che sentiamo. Infatti, per il filosofo, i modi più comuni per esprimere le passioni sono dire” Amo, temo, mi rallegro, delibero, voglio, comando.” Però, se si indaga più a fondo si viene a conoscenza della necessità di alcune passioni di utilizzare un linguaggio più specifico e particolare. Ad esempio, tutto il processo con cui prendiamo una decisione viene espresso tramite il congiuntivo: “se si fa questo, allora conseguirà quest’altro”. Il linguaggio con cui descriviamo un desiderio o un’avversione è quello tipico dell’imperativo, infatti per affermare la nostra volontà siamo soliti dire:” Fa questo!”. Altrimenti, la forma con cui esprimiamo la nostra curiosità nel conoscere un qualcosa è quella dell’interrogativa, come:” Che cosa è? Perché è così?”. In aggiunta a queste svariate forme di comunicazione si aggiunge la forma più importante ed essenziale, che è quella del volto, il quale ci permette di esprimere tutte le nostre passioni nel modo più efficacie che ci sia.
Dunque Hobbes, già agli inizi del XVII secolo, diede quella che può essere definita come analisi interiore di tutte le sensazioni positive e negative che tutto ‘ora siamo soliti provare. Seppur il suo pensiero filosofico è caratterizzato dall’antropologia negativa si può comunque capire meglio e più a fondo il motivo per cui spesso, anche nell’arco di una singola giornata, proviamo un’infinità di emozioni.
ARTICOLO DI ASIA TROTTO DELLA CLASSE IV DEL LICEO CLASSICO
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