Passo dal «Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini» di Jean Jacques Rousseau, considerato il manifesto della democrazia moderna, recita «è contro la legge di natura che un bambino comandi a un vecchio, che un imbecille guidi un saggio, e che un pugno d’uomini rigurgiti di cose superflue, mentre la moltitudine affamata manca del necessario».
Nel 1754 l’Accademia di Digione, propone la trattazione di un tema: quale sia l’origine della disuguaglianza tra gli uomini e se sia fondata sulla legge naturale. Dalla riflessione stesa per l’elaborazione della risposta, Rousseau trae il suo primo scritto politico importante, il famoso “Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini”. A differenza di 4 anni prima, quando aveva vinto la competizione per essere stato il migliore a svolgere il tema assegnato, questa volta non fu premiato. Tuttavia l’anno dopo decide di pubblicare l’opera e in essa pone le basi per quella che poi sarà il suo scritto politico principale, “Il contratto sociale”.
Nella prima parte del “Discorso sull’origine delle disuguaglianze”, Rousseau propone di riflettere su com’è l’uomo nello stato di natura, dandone una descrizione accurata e dimostrando come tutti gli uomini vi nascano liberi e uguali, nella seconda parte, invece, analizza l’origine della società e delle conseguenti disuguaglianze.
Rousseau descrive l’uomo al suo nascere come un individuo che vive di istinti. Esso è consapevole della sua esistenza e la sua prima preoccupazione è quella di assicurarsi la sopravvivenza. Fa uso dei frutti che la terra gli offre e si congiunge con l’altro sesso solo a scopo riproduttivo a seguito di un puro istinto, privo di sentimenti. Dopo l’accoppiamento, i due individui tornano a essere due sconosciuti e anche i figli non sono più nulla per la propria madre una volta conquistata la loro indipendenza. Tra gli uomini non c’è quindi alcuna relazione.
Dopo questa prima fase, però, l’uomo inizia ad incontrare gli ostacoli della natura e impara a poco a poco a superarli: compete per il proprio nutrimento con altri uomini o animali, diventa più agile, veloce nella corsa e vigoroso nel combattimento. A mano a mano, che gli uomini si evolvono, devono sviluppare capacità diverse in base alle sfide poste dal territorio da loro abitato: i popoli che vivono in montagna si differenziano, ad esempio, da quelli che vivono in luoghi marittimi.
Successivamente la scoperta del fuoco segnerà un altro passaggio fondamentale nella consapevolezza dell’uomo, che inizia ad affermare la propria superiorità sugli altri animali, divenendo presto “padrone di quelli che potevano servirgli e flagello di quelli che potevano nuocergli”. Osservando i suoi simili e rispecchiandosi nei loro comportamenti, si accorge di quanto si assomiglino e facendo esperienza dei vantaggi derivanti da un agire comune, l’uomo apprende come la ricerca del benessere sia il movente fondamentale delle azioni umane e impara l’utilità derivante dall’aiuto reciproco.
Poco alla volta, si unisce in gruppo con altri uomini, inizialmente solo per il tempo necessario a soddisfare un bisogno comune e urgente. Per questa via, si arriva così alla prima grande rivoluzione nella storia dell’umanità: la nascita della famiglia. Mariti, mogli, padri, madri e figli iniziano a riunirsi nella stessa abitazione e da qui nascono i legami coniugali e paterni. Ogni famiglia diviene una piccola società e i due sessi iniziano a distinguersi, specializzandosi in diverse mansioni.
Con il passare del tempo, gli uomini perdono lentamente la propria ferocia e il proprio vigore necessari a difendersi da un mondo esterno del tutto ostile. Inizia così, secondo il giudizio di Rousseau, una nuova fase “irreversibile” dell’evoluzione umana: scoprendo i vantaggi della vita comunitaria, l’uomo si dedica alla graduale conquista del benessere materiale e si condanna all’ambizione di migliorare perpetuamente le proprie condizioni di vita, divenendo schiavo delle “comodità” e trasformandosi in un essere “molle”.
Le comodità infatti si trasformano in veri e propri bisogni, tanto che “la privazione ne diviene più crudele di quanto il possesso li renda felici”. Questa è per Rousseau l’origine di tutti i mali.
La vita comunitaria fece nascere nuovi costumi come quello di adunarsi davanti alle capanne e esibirsi nel canto e nella danza. In seguito a questo l’uomo fa, secondo Rousseau, il primo passo verso la disuguaglianza. Ognuno iniziò a guardare come si esibiva chi gli stava accanto e a volere essere a sua volta guardato. Nasceva la ricerca della stima pubblica. Ne derivò che chi danzava meglio, il più bello, il più forte, il più agile divenne quello ritenuto più degno di considerazione e da questo si generarono la vanità e il disprezzo, la vergogna e l’invidia.
Si formarono da qui le prime caratteristiche di una civiltà. L’uomo, che prima non aveva alcun tipo di relazione con i propri simili, inizia a vivere nel giudizio di questi ultimi e far vivere questi nel proprio. Ogni torto volontario diviene un oltraggio perché chi viene offeso non sente di ricevere un semplice torto ma anche di essere disprezzato. Di conseguenza ognuno inizia a punire l’offensore in proporzione alla stima che ha di se stesso e si scatenano così le più crudeli e sanguinarie vendette.
A seguito di queste osservazioni molti hanno concluso che l’uomo sia cattivo di natura, mentre invece, per Rousseau, l’uomo allo stato di natura è molto più giusto e equilibrato di quello in società. È portato dall’istinto e dalla ragione a difendersi da ciò che lo minaccia ed è trattenuto dalla pietà naturale a fare del male senza motivo.
Da questa analisi del progresso dell’uomo si capisce quindi che fino a quando gli uomini si impegnarono in attività che potevano svolgere solitariamente, essi vissero sani, liberi, buoni e felici; ma da quando un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro per un proprio interesse l’uguaglianza scomparve, si introdusse la proprietà e di conseguenza il lavoro divenne necessario.
L’obiettivo di Rousseau era quello di dimostrare che il progresso porta l’uomo al deterioramento e al radicale e negativo cambiamento delle sue caratteristiche.
Per supportare questa tesi prima di tutto sottolinea una importante qualità distintiva dell’uomo in natura da quello in società, ossia l’essere dotato di pietà naturale. Rousseau, infatti, spiega che la pietà è un sentimento naturale che tempera in ogni individuo la tendenza all’egoismo e che però, di conseguenza, concorre alla conservazione della specie.
È la pietà che porta un uomo a soccorrere, senza curarsi esclusivamente di ciò che gli potrebbe essere utile, chiunque veda soffrire o a non portare via a un bambino inerme o a un vecchio infermo il cibo acquisito con grande fatica quando sa di poterne trovare altrove. Rousseau sostiene che la pietà è talmente intrinseca nell’uomo che anche i costumi più corrotti della società faticano a distruggerne la forza, tanto che “ogni giorno nel nostro mondo si vedono intenerirsi e piangere sulle disgrazie degli sventurati, persone che, se fossero al posto del tiranno, rincrudirebbero anche dì più i tormenti del loro nemico”.
Rousseau sostiene infatti che sia la ragione, sviluppata con l’evolversi dell’uomo, a generare l’egoismo e che sia proprio in virtù della filosofia che l’uomo riesca a rivolgersi a un altro che soffre dicendo “crepa se vuoi, io sono al sicuro”. .
La massima, infatti, che, secondo Rousseau, vige nello stato di natura è “procura il tuo bene con il minor male possibile agli altri”. Un espressione che delinea perfettamente l’uomo allo stato di natura, spinto dagli istinti a agire anche con la forza ma solo se è necessario per la sua sopravvivenza.
Rousseau sostiene che l’uomo libero dai vincoli della società, trovandosi in uno stato di cose che non ammette relazioni tra i suoi simili, e non avendo quindi da essi alcun tipo di dipendenza o bisogno reciproco non comprenda e di conseguenza non riesca ad applicare il concetto di schiavitù. Come potrebbe infatti, in uno stato del genere, un individuo prevalere sull’altro? Come potrebbe un uomo opprimere un altro? Che dipendenza ci può essere tra uomini che non possiedono nulla? Nello stato di natura un uomo cacciato da un albero ne va cercare un altro, non crea un rapporto di conflittualità con chi lo caccia perché non ha la percezione di proprietà.
Quindi, poiché la schiavitù è opera della dipendenza tra gli uomini, è impossibile fare un uomo schiavo senza prima renderlo dipendente, e dato che questa condizione non esiste in natura, allora l’uomo nello stato di natura è libero e la legge del più forte è vana.
A seguito di questa constatazione, Rousseau fa una riflessione sulle disuguaglianze presenti in natura. Afferma che quest’ultime spesso vengono additate come la causa principale dell’origine delle disuguaglianze ma il filosofo lo smentisce totalmente. Sostiene infatti che non essendoci relazioni tra gli uomini, tutte le loro diversità non siano ne un vantaggio ne uno svantaggio per esso. Infatti, se anche la natura favorisse un individuo dotandolo di più vantaggi rispetto a un altro, a cosa servirebbero tutte queste qualità all’uomo isolato dai propri simili? A cosa sarebbe utile essere particolarmente belli, se non ci fosse amore? A cosa servirebbe l’astuzia se non si facessero affari?
È facile vedere che fra le differenze che distinguono gli uomini ne passano per naturali molte che in realtà sono unicamente effetto delle abitudini e dei generi di vita che gli uomini adottano nella società. Spesso un carattere molto forte e delineato e uno invece più delicato e fragile vengono considerati caratteristiche naturali e primitive quando invece molte volte sono il risultato del tipo di educazione ricevuta.
Tutto questo è facilmente dimostrabile osservando gli animali: essi non essendo organizzati in società vivono ancora al puro stato di natura. Se come loro, ci nutrissimo tutti degli stessi alimenti, vivessimo tutti nello stesso modo e facessimo esattamente tutti le stesse cose, sarebbe evidente come le disuguaglianze tra un uomo e l’altro sarebbero minori che nello stato di società e che quindi la disuguaglianza naturale aumenta nella specie umana a causa della disuguaglianza derivata dalla società.
Ciò che però Rousseau ci presenta come la causa dell’inasprimento dello sviluppo della società è la nascita della metallurgia e della agricoltura. Questo è dovuto al fatto che alla coltivazione delle terre segue la divisione di esse e da questo nasce la concezione di proprietà e di conseguenza le prime regole di giustizia.
Rousseau ci spiega qui uno dei punti cruciali del suo discorso, la proprietà nasce dall’idea di lavoro. Non ci sarebbe stato altro infatti che potesse rendere l’uomo proprietario di una terra se non il lavoro che esso vi impiegava per coltivarla.
Rousseau sostiene che in questo stato tuttavia, se le capacità di partenza fossero state uguali, le cose sarebbero potute rimanere com’erano, ma non fu così. Il più forte lavorava di più, il più ingegnoso lavorava più efficacemente, il più veloce produceva di più e così lavorando con lo stesso impegno alcuni guadagnavano di più e altri vivevano miseramente.
In conclusione quindi l’uomo da libero e indipendente com’era, diventa servo di tutti i suoi nuovi bisogni, della natura e dei suoi simili; Tanto lo schiavo quanto il padrone, poiché chi è ricco ha bisogno dei servizi dei poveri e chi è povero ha bisogno del soccorso dei ricchi.
Da questo ragionamento nasce la famosa affermazione di Rousseau: “Il primo che avendo cintato un terreno pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: “guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti!”.”
Il pensiero di Rousseau è attuale ancora oggi: la nostra società è sempre più fondata sulle disuguaglianze, ormai strutturali nel nostro sistema economico. La legge del merito pervade ogni aspetto della nostra vita, dalla scuola al mondo del lavoro, dalle relazioni sociali a quelle familiari e perciò tutti si sentono proprietari di ciò che credono di aver meritato in quanto frutto del proprio sudore. Ormai tutti sono completamente privi della pietà naturale che li caratterizzava al proprio nascere. Nessuno si preoccupa del fatto che “un pugno di uomini sia pieno di cose superflue mentre la moltitudine affamata manca del necessario”. Ciò che ha è tutto merito suo e nessuno può portarglielo via, gli spetta di diritto. Non si accorge che la vita in società l’ha reso crudele e egoista e gli ha fatto credere che essendo più forte, essendo più bello, essendo più ricco o colto, o semplicemente essendo nato nella parte “giusta” del mondo, con tutto ciò di cui ha bisogno per essere rispettato, abbia il diritto di vivere con ciò che ha senza condividere nulla con chi ha meno e anzi, in caso di necessità, rubando anche l’ultimo pezzo di pane al più povero tra gli uomini. Vede sempre solo i propri problemi e le proprie ingiustizie, ciò che a lui è stato sottratto e ciò che a lui sarebbe dovuto senza più conservare neanche un briciolo della sua originale umanità. È vero, la vita in società gli ha fatto perdere totalmente la sua ferocia animale, che lo portava ad agire prevalentemente di istinti e a causa di questi a comportarsi in modi che oggi riterremo spregevoli, ma ora, mentre si vanta del suo progresso, non si accorge della sua ipocrisia nel sentirsi superiore al suo antenato, e della sua schiavitù da tutte quelle comodità che ormai sono diventati suoi bisogni. Oggi ha molto più di quello che gli sarebbe necessario per vivere e carica la sostenibilità della sua vita su miliardi di spalle, che non sono le sue; E oggi è schiavo della sua vita, così legato a tutto ciò che ha che non saprebbe come vivere se gli fosse sottratto, ma troppo impegnato nei suoi problemi esistenziali per accorgersi che la vita che non vorrebbe mai la sta infliggendo a una marea di altre persone. E ancora peggio quando si rende conto che la sua ricchezza è frutto della disuguaglianza, ma non fa nulla per evitarlo. Alla fine la sua evidente ipocrisia si riflette su ogni aspetto della sua vita. “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” dice a suo figlio per educarlo, sentendosi fiero della sua grandissima magnanimità.
Non so e molto probabilmente non saprò mai dire con certezza come fosse l’uomo prima che si formasse la società ma di certo, ed è facile accorgersene nella vita di tutti i giorni, confrontando noi stessi con l’uomo allo stato di natura, non mi riesce difficile capire perché il visionario Rousseau criticasse così tanto ciò che siamo.
CONCLUSIONE
«Gli anziani si devono onorare, i giovani educare, i saggi interrogare e i pazzi tollerare».
DIEGO FUSARO: Rousseau, “Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini”
https://www.youtube.com/watch?v=7E2-wuNa5Nk
FONTI
“Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini” di Jean-Jacques Rousseau”
ARTICOLO DI VIOLA CORTIANA DELLA CLASSE IV B DEL LICEO CLASSICO
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