Adolf Hitler fin da piccolo aveva un sogno: voleva diventare un pittore. Era affascinato dall’ arte, dal dipingere e forse ancora di più era rapito dall’ architettura. Tanto che decise di iscriversi all’ accademia di belle arti di Vienna. Prima di ciò frequentava una scuola tecnica, nella quale egli spiccava per la dote del disegno appunto, ma da cui venne espulso perché considerato con un atteggiamento problematico. Alla prova per entrare nell’ accademia egli partecipò con sicurezza, anche troppa, convinto di poterla superare a pieni voti. L’ esito fu invece: non ammesso, si presentò dal rettore e gli chiese di chiarire i motivi della sua bocciatura, ed egli assicurò che dai disegni che aveva presentato risultava con ogni evidenza che non era assolutamente adatto a fare il pittore, ma che il suo talento era invece improntato verso l’architettura. Il docente aveva notato il segno rigido, il solco lasciato dalla mina così preciso e privo di immaginazione, una linea tipica di chi pensa con la mente chiusa del disegno tecnico.
L’architettura sembra pertanto la via adatta a Hitler. Eppure anche questa opportunità finisce per infrangersi nel momento in cui Hitler apprende che “l’ammissione alla scuola di architettura presupponeva la licenza della sezione architettonica della scuola tecnica; ma per l’entrata in questa si esigeva la licenza di scuola media. Tutto ciò mi mancava completamente. ” L’adempimento del mio bel sogno non era più possibile”. Si trasferisce definitivamente a Vienna. Coincide molto probabilmente con questo periodo il peggioramento del suo quadro psicologico, dettato da una situazione difficile; infatti egli vivrà da vagabondo per anni. Per poter guadagnare qualcosa cerca comunque, di mettere a frutto la predisposizione per il disegno e la pittura; dipinge cartoline e piccoli quadri-souvenir che vende poi lungo le strade con l’aiuto di Reinhold Hanissch, un compagno di disavventure conosciuto nell’ambiente antropologicamente devastato di un pubblico dormitorio. Queste opere raffigurano paesaggi urbani, edifici monumentali e qualche scorcio bucolico che rivela un sensibile uso degli accordi cromatici. A Hitler potrebbe aprirsi uno spazio formativo che potrebbe condurlo a una professione. Ma il suo carattere solitario e risentito, nonchè l’ambiente degradato in cui vive senza condivisione delle umiliazioni che subisce un artista lo portano a considerare l’arte come un desiderio e una frustrazione; un rapporto di amore ed odio controverso.
Dal 1911, realizza opere più impegnative. I committenti sono i corniciai che, non accontentandosi di esibire una cornice orfana, dotano l’opera lignea di un dipinto e i mobilieri che realizzano divani con quadretti inseriti nello schienale, come ava di moda a quei tempi.
Nel 1913, Hitler si trasferisce a Monaco per sfuggire al servizio di leva e qui si specializza nella copia di antichi dipinti di soggetto religioso e in paesaggi. Per tutta la vita, il dittatore si sentirà comunque un artista. Le opere devozionali vengono vendute da Hitler, all’esterno dell’Ufficio di Stato civile del Comune di Monaco, ai novelli sposi. Appartiene a questi anni il quadro “Maria Madre con il Santo Figlio Gesù Cristo”, nel quale vengono raffigurati: la Madonna che cinge il bambino con entrambe le braccia e che appoggia il mento sul capo del piccolo, in atteggiamento materno di protezione e di amore; protagonisti dell’opera non sono soltanto le due sacre figure, descritte attraverso un accurato rilievo dei dettagli, ma anche il paesaggio bucolico dello sfondo, sognante e simbolico. La precisione con la quale vengono resi i petali delle margherite, alle spalle di Maria, è tipica del disegnatore tecnico che non concede nulla propria soggettività espressiva, ma che intende aderire alla statica oggettività della raffigurazione.
Nel 1914, con l’entrata in guerra della Germania, Hitler si arruolo nell’esercito tedesco, senza rinunciare alla pittura. Libero ormai da necessità economiche, a diretto contatto con le brutalità del conflitto bellico, il pittore produce rappresentazioni scarne, crude e desolanti.
Lo stile pittorico
Sono circa tremila i disegni e i dipinti realizzati da Hitler che riproducono vedute di Linz, Vienna e Monaco nonché alcune scene della prima guerra mondiale, ma anche molti monumenti architettonici che egli amava raffigurare con assoluta rigidità e precisione. Ha utilizzato varie tecniche di realizzazione come: il carboncino, gli acquerelli con i quali realizzò moltissime cartoline , i colori ad olio; ma utilizzò anche differenti materiali e tipi di supporti ossia: carta, tela e legno. Il suo stile pittorico mostra una forte attrazione verso un rigido ordine compositivo, che gli è stato di base all’ istituto tecnico, i soggetti raffigurati rivelano il carattere fortemente conservatore dell’artista, deve dipingere per vivere, uniformandosi pertanto alle richieste meno qualificanti del mercato. Sotto il profilo tecnico Hitler dopo l’accurata stesura di un disegno preparatorio preciso, passa al colore . Amava le scene di vita quotidiana della pittura Biedermeier che rappresentava gruppi familiari tedeschi o austriaci, intenti serenamente nel lavoro al tavolo, nel gioco costruttivo o in amabili colloqui. amava le rappresentazioni di contadini e piccolo borghesi; proprio quel popolo a quei tempi poco incline alla politica, riservato e lavoratore che, a giudizio di Adolf, costituiva l’asse produttiva del Paese, ma era dominato, a livello di rappresentanze parlamentari e di Governo, da altre etnie.
L’arte del Terzo Reich era caratterizzata da un romanticismo realistico basato sui modelli classici. Erano assolutamente vietati i moderni che erano reputati come arte degenerata, i nazisti promuovevano dipinti che erano strettamente tradizionali e che esaltavano i valori di “sangue e suolo” di purezza razziale, militarismo e obbedienza. Altri temi popolari nell’arte nazista erano il Volk (“popolo”) all’opera nei campi, un ritorno alle virtù semplici : l’amore per la patria; le virtù virili della lotta nazionalsocialista e l’elogio delle attività femminili di crescere e crescere i figli simboleggiate dalla frase Kinder, Küche, Kirche (“bambini, cucina, chiesa”).
In generale, la pittura era basata sulla pittura di genere tradizionale. I titoli erano mirati: “Terra fertile”, “Terra liberata”, “Guardia permanente”, “Attraverso il vento e il tempo”, “Benedizione della terra” e simili. Il pittore preferito di Hitler era Adolf Ziegler e lo stesso Führer possedeva alcune delle sue opere. La pittura paesaggistica ebbe un ruolo di primo piano nella Grande mostra d’arte tedesca. Attingendo alle tradizioni del romanticismo tedesco, doveva essere saldamente basata sullo “spazio vitale”, il Lebensraum, dei tedeschi, senza umori religiosi. Erano anche diffuse le raffigurazioni di contadini, che riflettono uno stile di vita semplice in armonia con la natura. Quest’arte non mostrava alcun segno della meccanizzazione del lavoro agricolo. Il contadino lavorava a mano, sforzandosi e lottando. Nemmeno un dipinto nella prima Mostra raffigurava la vita urbana o industrializzata, e v’è n’erano solo due di questo tipo durante quella del 1938.
La teoria nazista ripudiava esplicitamente il “materialismo” e, quindi, nonostante il trattamento realistico delle immagini, il termine “realismo” veniva usato raramente. Un pittore doveva creare un’immagine ideale, eterna. Le immagini degli uomini, e ancor più quelle delle donne, erano fortemente stereotipate, e i fisici dei nudi dovevano seguire dei criteri di perfezione. Questa potrebbe essere stata la causa della presenza di pochissimi dipinti antisemiti; mentre opere come Um Haus e Hof, raffiguranti uno speculatore ebreo che espropria una coppia di contadini anziani, sono poche, forse è perché l’arte avrebbe dovuto essere su un piano più alto. I dipinti esplicitamente politici erano più comuni ma ancora molto rari. Le immagini eroiche, d’altra parte, erano abbastanza comuni al punto da essere commentate così da un critico: L’elemento eroico si distingue: l’operaio, il contadino, il soldato sono i temi . I soggetti eroici dominano quelli sentimentali.
Con l’avvento del grande conflitto, i dipinti sulla guerra divennero molto più comuni. Le immagini divennero romantiche, e raffiguranti soggetti eroici che si sacrificavano e colti nel momento della vittoria. Tuttavia, i paesaggi predominavano, e tra i pittori esentati dal servizio di guerra tutti erano noti per i paesaggi o altri soggetti pacifici. Persino Hitler e Goebbels trovarono deludenti i nuovi dipinti, anche se Goebbels cercò di fare un buon viso asserendo che i tedeschi avevano sgomberato il campo, e che questi tempi disperati attiravano molti talenti nella vita politica piuttosto che in quella culturale. In un discorso tenuto alla Grande Esposizione d’Arte tedesca, a Monaco, Hitler disse nel 1939:”
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Nel 1938, furono sequestrate quasi 16.000 opere di artisti tedeschi e non tedeschi da gallerie tedesche e vendute all’estero o distrutte.
Hitler viveva in totale solitudine e questa caratteristica la riporta anche alla sua arte. Non voleva nessun confronto. questa sua mentalità portò poi all’elaborazione di un pensiero assolutamente negativo rispetto a
tutto ciò che non appartenga alla tradizione. Egli sviluppa una certa passione per gli artisti: Durer e da Holbein. Per quanto riguarda Durer egli è conscio che il pittore abbia unito la forza dell’arte tedesca al rinascimento italiano, di ispirazione greca. Tutto ciò che non parte dai quei presupposti e non si sviluppa in un realismo eroico, atemporale, tutto ciò che deforma la linea del reale per soggettive interpretazioni è da lui considerata “arte degenerata”. Il concetto di degenerazione sembra poi delinearsi, con un termine che ha la valenza di una diagnosi medica e antropologica, in direzione di altre degenerazioni, quelle razziali. L’atteggiamento di Hitler rispetto alle proprie opere del passato e l’attenzione che egli poneva nei confronti degli edifici del barocco tedesco mutarono, negativamente, quando rimase folgorato dalla pulizia e dal rigore magniloquente, del classicismo dell’architetto Paul Troost. Cambiò il suo gusto estetico; cambiarono anche gli schizzi architettonici che amava stendere.
L’architetto Speer, testimone diretto del mutamento, racconta:
” Il suo atteggiamento nei confronti di Troost era simile a quello dell’allievo rispetto all’insegnante e mi ricordava l’ammirazione e l’incapacità di critica che io provavo per il mio maestro Tessenow. Tale aspetto di Hitler mi piaceva molto. Rimanevo stupito che questo uomo, che era oggetto di venerazione da parte dei suoi seguaci, potesse provare, a sua volta, un sentimento di adorazione.”
Poichè Hitler si sentiva architetto, egli si inchinava, in questa disciplina, alla superiorità del maestro. Certo, nel campo della politica non l’avrebbe mai fatto. Con grande semplicità. Hitler narrava che nel momento in cui aveva visto i lavori di Troost, gli era “caduta la benda dagli occhi. E aggiungeva:
‘‘Da quell’istante non fui più in grado di sopportare ciò che avevo disegnato, fino ad allora. Che fortuna aver conosciuto quell’uomo.”
L’arte degenerata
Così si espresse Adolf Hitler durante il congresso sulla cultura, nel 1935:
“Sono certo che pochi anni di governo politico e sociale nazionalsocialista porteranno ricche innovazioni nel campo della produzione artistica e grandi miglioramenti nel settore rispetto ai risultati degli ultimi anni del regime giudaico. (…) Per raggiungere tale fine, l’arte deve proclamare imponenza e bellezza e quindi rappresentare purezza e benessere. Se questa è tale, allora nessun’offerta è per essa troppo grande. E se essa tale non è, allora è peccato sprecarvi un solo marco. Perché allora essa non è un elemento di benessere, e quindi del progetto del futuro, ma un segno di degenerazione e decadenza.
(…) Chiunque ad esempio volesse giustificare i disegni o le sculture dei nostri dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati espressionisti, sostenendo lo stile primitivista, non capisce che il compito dell’arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma quello di trasmettere benessere e bellezza. Se tale sorta di rovina artistica pretende di portare all’espressione del “primitivo” nel sentimento del popolo, allora il nostro popolo è cresciuto oltre la primitività di tali “barbari”.
Le conseguenze del pensiero artistico del dittatore assolutamente conservatore della classicità si rivolgono alla battaglia contro le nuove correnti artistiche del 900 , moderne e completamente differenti dall’ idea di arte e bellezza di Adolf Hitler ; il cubismo, , il primitivismo , l’espressionismo ,il dadaismo . Egli come ex artista si occupò personalmente di indicare le linee dell’ estetica e chi condannare, ossia i pittori che sono da essa lontana, le cui opere furono esposte nel 1937 alla mostra dell’arte degenerata che richiamò un milione e 200mila visitatori. Con l’avvento del nuovo regime nazionalsocialista in Germania, i nazisti iniziarono un programma di pulizia etnica anche nell’ambito dell’arte, pulendo i musei tedeschi da tutte le opere moderne: cubiste, espressioniste, dadaiste, astrattiste e primitiviste.
Vennero confiscate più di seimila opere, tra quadri e sculture, in parte destinate al rogo, in parte vendute all’asta a musei americani e svizzeri e in parte esposte al pubblico ludibrio nella mostra di Arte degenerata. Nel 1937 a Monaco i nazisti organizzano una mostra di arte degenerata. Lo scopo della mostra è quello di far sapere ai tedeschi che certe forme e generi artistici non sono accettati dalla razza superiore, quest’arte è degenerata in quanto ebraica, bolscevica o comunque di razza inferiore. Qualsiasi cosa che non rientri nel modo di pensare di Hitler è considerato “degenerato”, perché l’arte deve esaltare lo stile di vita ariano. Gli autori delle opere proibite, dichiarati malati, sono per la maggior parte espressionisti, proprio quegli artisti che oggi tutti riconoscono come personalità di spicco: Ernst Barlach, Max Beckmann, Otto Dix, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Käthe Kollowitz, Max Liebermann, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Edward Munch e molti altri senza escludere “il più degenerato degli artisti”, Pablo Picasso.
Inaugurata da Hitler e Göbbels, l’esposizione è accompagnata da un catalogo illustrato, che in un capitolo introduttivo spiega i fini di della manifestazione e presenta l’insieme delle opere raggruppandole sotto vari temi .
Le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e da elevatissime indicazioni di prezzo, costi che i musei avevano precedentemente pagato agli «speculatori ebrei». L’esposizione si proponeva di mostrare al pubblico quei generi artistici non ammessi dalla nuova «razza superiore». L’apertura dell’esposizione avvenne il giorno dopo l’inaugurazione di una Grande Rassegna di arte Germanica, che comprendeva invece opere gradite al regime. Per effetto indesiderato, e per questo destinato a diventare un boomerang, la mostra di arte degenerata ebbe un successo di gran lunga maggiore di quella di arte ufficiale; la sua apertura dovette essere prolungata ed il pubblico (si conteranno alla fine più di un milione duecentomila persone) fu costretto a lunghe attese prima di vederla, attratto soprattutto dallo scandalismo per il quale essa era stata vietata ai più giovani. Il risultato di tale programma fu l’enorme pubblicità all’estetica “degenerata”, destinata a diffondersi ovunque a distanza di pochi anni, a regime nazista finito.
Poiché Hitler si sentiva particolarmente competente nel settore dell’arte e dell’architettura, intervenne in modo smodato nelle attività artistiche: impose l’annientamento di ogni influsso stilistico moderno internazionale, che doveva essere schiacciato dalla rappresentazione del patetico eroismo dell’anima e del corpo.
Il museo privato di Hitler: il furto più grande della storia
Già nel 1939, con l’invasione della Polonia, Hitler diede ordine di razziare le opere d’arte del Paese, tra cui la Dama con l’ermellino di Leonardo e altri capolavori di Raffaello e Rembrandt facenti parte della famosa collezione Czartoryski. A poco a poco i Tedeschi si impossessarono di un numero impressionante di capolavori artistici. Si stima che i convogli diretti in Germania trasportarono complessivamente cinque milioni di opere. Molte di queste provenivano dalle case e dalle collezioni degli Ebrei deportati nei campi di concentramento, molte altre erano finite nelle mani dei nazisti grazie ad antiquari e mercanti. Ma c’ erano anche le opere donate a Hitler da parte dei governanti alleati, primo fra tutti Mussolini, che gli donò un trittico del pittore austriaco Hans Makart, La peste a Firenze, e un altro importante dipinto, il Ritratto di Giovanni Carlo Doria a cavallo di Rubens.
Il Führer non era il solo a manifestare un enorme interesse verso il mondo dell’arte, anche i suoi più fidati collaboratori Göring e Himmler dimostrarono una certa passione per il collezionismo e l’arte, questo alimentò ulteriormente le razzie delle opere europee e il loro trasferimento in territorio tedesco. La ricerca sconsiderata di capolavori artistici da parte di questi due personaggi (e non solo) venne ufficializzata nel 1939 con una lettera di Hitler indirizzata ad Hans Posse, uno storico dell’arte e curatore di musei, in cui Hitler scrisse:
“Incarico il dottor Posse, direttore della Galleria di Dresda, di costruire il nuovo museo d’arte di Linz Donau. Tutti i servizi del Partito e dello Stato hanno l’ordine di assistere il Dottor Posse nell’adempimento della sua missione”.
Himmler, ossessionato dall’arianità, si occupò di depredare i gioielli della corona del Sacro Romano Impero e di dare la caccia all’arte germanica. Göring esaudì i desideri del Führer ma si spinse ben oltre, utilizzando enormi somme di denaro pubblico per la creazione di una imponente collezione privata in un edificio chiamato Carinhall in onore della sua prima moglie svedese morta prematuramente. Per conseguire i suoi scopi si servì anche di mezzi meno leciti come il ricatto, la sottrazione indebita, il baratto e l’inganno. Verso la fine del 1943 Hitler, con l’aiuto del suo inviato Walter Andreas Hofer, si rese protagonista di un furto sorprendente. Con grande abilità, i Tedeschi riuscirono a convincere l’abate di Montecassino a trasferire a Roma i tesori che erano vi conservati, al fine di evitare che andassero distrutti a causa dei bombardamenti anglo-americani. Si trattava di opere provenienti dalla Galleria Nazionale di Capodimonte e dal Museo Archeologico di Napoli, reperti di Pompei ed Ercolano, il tesoro di San Gennaro, il Monetiere di Siracusa e tele di Tiziano, El Greco e Goya.
L’8 dicembre giunsero a Roma le casse contenenti i tesori dell’Abbazia di proprietà della Chiesa.
Il 4 gennaio giunse in Piazza Venezia un altro convoglio con le rimanenti opere dello Stato. Tuttavia, le casse partite da Montecassino erano 187 e a Roma ne giunsero solamente 172. Le quindici mancanti infatti avevano preso la via di Berlino per essere poi esibite nella casa di Göring il giorno del suo cinquantunesimo compleanno. Lo stratagemma del salvataggio di opere dalla distruzione degli alleati venne ampiamente utilizzato durante la guerra. Fu il caso per esempio della sottrazione della Madonna di Michelangelo dalla Chiesa di Bruges. Il parroco e il sacrestano furono costretti a cedere ai Tedeschi la preziosa statua, che venne immediatamente spedita in Germania avvolta in alcuni materassi nel settembre del 1944, in piena avanzata degli alleati, quando le sorti della guerra sembravano ormai segnate per il Terzo Reich. Questi episodi rappresentano solamente una goccia nel mare nei confronti di tutte le opere rubate da parte dei nazisti.
I Monuments men
Tuttavia, i Tedeschi furono osteggiati da un gruppo di uomini e donne chiamati: i Monuments men. Tutto ebbe inizio nel 1941, in seguito al tremendo attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor. Gli americani si resero conto che era tempo di entrare in guerra, scongiurando una possibile invasione da parte giapponese o tedesca. Alcuni massimi esponenti del mondo della cultura americana erano venuti a conoscenza del prezzo che l’arte europea stava pagando a causa dell’avanzata nazista e decisero così di entrare in azione per tentare di salvare un patrimonio immenso che altrimenti l’umanità intera non avrebbe più avuto modo di ammirare. L’impresa venne formalizzata nel 1943 con la creazione della sezione MFAA (Monuments, Fine Arts and Archives), approvata da Roosevelt, cui aderirono più di trecento persone di tredici nazionalità diverse, per lo più intellettuali, restauratori, archivisti, direttori di musei, ognuno dei quali aveva il compito di localizzare nei diversi paesi europei i beni trafugati e metterli al sicuro.
Nel 1945, alcuni membri della Monumenti scovarono uno dei principali depositi nazisti di tesori rubati dalla Francia: il meraviglioso castello fiabesco di Neuschwanstein, in Baviera. Un altro immenso deposito fu trovato nelle miniere di salgemma di Altaussee, vicino a Salisburgo. Lì, in un intrico di sale ricavate nella roccia, vennero alla luce più di 6000 opere, tra quadri, statue e oggetti preziosi. Proprio ad Altaussee venne ritrovata la Madonna di Bruges, che venne restituita al Belgio. Tra gli inestimabili capolavori sottratti figuravano anche L’Astronomo di Vermeer e il Polittico dell’Agnello Mistico di Van Eyck. Questo sogno immenso di Hitler sarebbe stato il più grande museo sia in termini di dimensioni che di raccolta del mondo. Il distretto culturale doveva far parte di un piano generale per ricreare Linz, trasformandolo in una capitale culturale del Terzo Reich e uno dei più grandi centri d’arte d’Europa. Il piano era quello di mettere in ombra Vienna, per la quale Hitler aveva un disgusto personale, soprattutto a causa della sua incapacità di ottenere l’ammissione all’Accademia di Belle Arti di Vienna.
La data prevista per l’apertura del museo era il 1950, ma con la caduta del Terzo Reich non fu mai completato il progetto. Hitler come pittore incompiuto, continuava ad amare l’arte. Già nel 1925 aveva ideato una “Galleria nazionale tedesca”. Ma dopo aveva concepito l’idea di costruire il museo dei suoi sogni non in Germania, ma in Austria proprio a Linz nella sua città natale. E divenne ossessionato da questa idea. Il museo doveva includere un teatro dell’opera, un hotel, un campo da parata, una biblioteca e naturalmente con la sua facciata del piede con colonnati in stile neoclassico fascista. Il piano comprendeva circa 36 chilometri di gallerie che dovevano contenere circa 27.000 oggetti d’arte. Più Hitler vedeva la sconfitta della Germania più si fissava sul modello del museo che stava progettando, divenne il suo unico sollievo trascorrendo le sue giornate nel bunker sotto la Cancelleria del terzo Reich. La collezione per il museo in programma a Linz é stata raccolta attraverso varie strategie. Lo stesso Hitler inviò in principio i suoi soldati in viaggio in Italia e Francia per acquistare, a sue spese, opere d’arte di inestimabile valore. Le spedizione dei soldati per questo scopo furono moltissime anche in Oriente. Le opere d’arte furono restituite agli stessi musei dopo la guerra. Il circolo d’arte di Hitler contava circa venti specialisti: curatori di dipinti, stampe, monete e armature, bibliotecari, architetti, amministratori, fotografi e restauratori. Hitler riceveva regolarmente album fotografici con annotazioni dell’arte confiscata. Sono stati preparati un totale di 31 album e 19 sopravvivono oggi. Oggi si stima che circa cinque milioni di oggetti culturali furono saccheggiati, persi o maltrattati durante la guerra. Per Hitler, il su progetto museale a Linz era un vero affare, una vera prova della sua megalomania.
Il quadro preferito di Hitler: L’ isola dei morti
Da un punto di vista psicologico, l’Isola dei Morti di Boecklin, è un quadro particolarmente interessante, sappiamo infatti che questo quadro è stato dipinto deliberatamente perchè si potesse sognare guardandolo, infatti così gli era stato chiesto dalla committente. Il quadro fu commissionato da una nobildonna tedesca, Marie Berna, che aveva chiesto a Böcklin di realizzare un dipinto in commemorazione del defunto marito Georg Von Berna, morto di difterite quindici anni prima. Marie Berna rimase molto colpita da un’opera che il pittore esponeva nel suo studio a Firenze, si trattava della prima versione che era stata commissionata dal mecenate Alexander Günter. La vedova Berna disse di volere un quadro “per sognare” e quel quadro, effettivamente, nella sua statica pace aveva qualcosa di onirico. Chiese però che venisse fatta una modifica, ovvero che venisse aggiunta una bara traghettata verso l’isola.Böcklin aveva avuto a che fare con la morte. La perdita di sei dei suoi dodici figli lo avvicinava più di chiunque altro a quella pace onirica che la nobildonna cercava nel quadro. Il risultato fu una delle opere più enigmatiche mai dipinte il cui intento era una meditazione sull’aldilà.
Un’isola rocciosa in mezzo ad acque immobili solcate da una piccola imbarcazione che trasporta una bara e una figura in piedi, avvolta in un sudario. Ipnosi, silenzio, sussurro. Era il capolavoro assoluto del simbolismo tedesco. L’artista decise di inserire la bara anche nel primo quadro, quello che aveva colpito Marie Berna. Il quadro era in grado di evocare stati d’animo diversi a seconda della visione della vita e della morte dello spettatore.
E’ un’ iconografia che affonda le radici nella tradizione antica greca e romana sulla visione dell’aldilà e per i suoi rimandi esoterici legati alle teorie dell’occultista Swedenborg sulle connessioni tra vita reale e sogno, l’opera incarnò nella mente dei nazionalisti tedeschi il simbolo dell’arte germanica. La terza versione del dipinto, realizzata nel 1883 per il mercante Gürlitt, che mostra nella parete rocciosa a destra la firma dell’autore “A.B.”, finì all’asta nel 1936. A fare la sua offerta, comparve tra gli sguardi sbigottiti dei presenti, il Führer in abiti civili, che era ormai ossessionato dall’opera e voleva possederla a tutti i costi. Hitler aveva intenzione di mettere l’Isola dei Morti nel museo privato che voleva farsi costruire. Il fascino che questo quadro suscitava in Hitler è certamente legato al tema della morte, così importante nella cultura tedesca e così bene illustrato in quest’opera. Sul finire del mese di aprile del 1945 ormai per la Germania tutto è perduto, Berlino brucia e la notte tra il 29 e il 30 aprile Hitler sposa la sua compagna Eva Braun all’interno del Führerbunker. Alle 15,30 del 30 aprile del 1945, Hitler si spara nella stanza in cui custodiva il quadro a cui tanto teneva.
Hitler era molto affascinato da questo quadro poiché per lui molto probabilmente l’isola rappresentava il Pantheon ideale dove riposare per sempre,come un antico Dio nordico venerato ma irraggiungibile dai comuni mortali. L’ artista invece intendeva dare vita ad un quadro per sognare in grado di evocare stati d’animo diversi in funzione della visione della vita e della morte, dell’osservatore coinvolto che in questo modo ,può decifrare gli enigmatici contenuti proposti nel segno di una completa autonomia interpretativa.La forza curiosa e intensa di questa immagine risiede nel l’idea del traghettamento Che include il gesso della propria fuga fuga in un senza tempo.
ARTICOLO DI RE SARA DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO
Sitografia:
stilearte.it
https://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede/pittore.htm
https://it.wikipedia.org/wiki/Arte_nella_Germania_nazista
https://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede/pittore.htm
https://www.antigonecultura.it/2020/06/14/monuments-men-gli-eroi-che-salvarono-larte-dalle-brame-di-hitler/
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