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In ogni grande autore ci sono passi che contengono i cardini del suo pensiero. Così avviene anche in Platone, malgrado la sua riluttanza nei confronti della scrittura. Si pone in primo piano un passo del Fedone, in cui Platone descrive quella che, con un’immagine emblematica, ha chiamato la sua “seconda navigazione” e che lo ha portato ad individuare la causa ultima delle cose.

Nel Fedone troviamo soprattutto argomenti a favore dell’immortalità dell’anima: buona parte di essi si fonda sui concetti di vita e movimento, che Platone recupera dalla concezione tradizionale dell’anima. Per quanto riguarda la vita, Platone tenta di dimostrare che è per sua natura eterna, e dunque che all’atto del morire deve conseguire necessariamente quello del rivivere. Ciò proverebbe, appunto, che c’è qualcosa che non muore mai: l’anima. Il Fedone è un dialogo giovanile di Platone, che, come il Fedro o la Repubblica, riesce in qualche modo a risolvere il problema proposto ed affianca al metodo critico-confutatorio di Socrate l’elaborazione di una vera e propria dottrina. In questo caso, in cui si affronta la ricerca della vera causa, Platone si rende conto che i sofisti e Anassagora avevano torto e si imbatte così nella dottrina delle idee.  L’opera è ambientata nel periodo dopo la condanna e prima della morte di Socrate: il maestro parla con alcuni amici, tra i quali Fedone, e naturalmente si serve di esempi per convalidare le proprie affermazioni. L’esempio della “seconda navigazione” descrive il percorso teorico che conduce Socrate, quindi Platone, ad individuare nelle idee la causa ultima delle cose.

Platone (a sinistra) e Aristotele.

Platone riporta le parole dello stesso Fedone, incontrato pochi mesi dopo la morte del maestro, il quale si incarica di offrire un racconto del processo, della carcerazione e della morte di Socrate. Fedone rammenta che, andato in carcere di buon ora, aveva trovato il maestro libero dai ceppi, in compagnia della moglie, Santippe, del più giovane dei suoi figli e di diversi amici. Dopo la partenza della moglie e del figlioletto, Socrate, per ribattere all’obiezione fatta da Cebete, uno dei presenti, e per far vedere come fosse giunto alle sue convinzioni, riassume la storia del suo sviluppo intellettuale e spirituale. Racconta di essersi appassionato, da giovane, all’indagine sulla natura, alla maniera dei presocratici : gli sembrava magnifico conoscere le cause di tutto, cioè perché ogni cosa è, viene a essere e perisce. Così si chiedeva, per esempio, se la putrefazione dovuta al caldo e al freddo facesse nascere e crescere gli esseri viventi, se pensassimo con il sangue, l’aria o il fuoco o se invece fosse il cervello a fornire le percezioni della vista, dell’udito e dell’odorato, da cui derivano la memoria, le opinioni e la conoscenza. Ma Socrate si rese presto conto che quegli studi, che avevano l’effetto di fargli quasi disimparare quanto già sapeva, non erano nelle sue corde. Di fatto, gli risultava oscuro in che modo il numero si possa applicare agli oggetti. Quando sommo un’unità a un’altra e ottengo un due, è il primo addendo della somma che diventa due, oppure il secondo? Come fa ciascuno dei due addendi a essere uno quando è separato dall’altro e a diventare due quando vengono reciprocamente accostati? E perché, se invece prendo un’unità e la divido a metà, questa diviene, da uno, due? E come fa un’unità a venire a essere, a distruggersi e a esistere? 

Un giorno, Socrate sentì qualcuno leggere un libro attribuito ad Anassagora, in cui il pluralista sosteneva che è un nous (mente, intelligenza) a ordinare e causare tutte le cose. Socrate fu immediatamente attratto da questa teoria, perché sembrava offrire un ordine razionale del mondo, secondo cause che fungono a un tempo da spiegazione e da giustificazione. Sperava che Anassagora gli avrebbe offerto delle descrizioni accurate del mondo, per esempio se la Terra è piatta oppure sferica, e gli avrebbe mostrato la loro causa e la loro necessità. Infine, sperava che gli avrebbe indicato perché questo stato di cose fosse il migliore. Con questa speranza, Socrate si era immerso nella lettura dei libri di Anassagora. Purtroppo, rimase terribilmente deluso: Anassagora, infatti, non faceva mai agire il nous come causa, ma sempre qualcos’altro, qualcosa di concreto, come l’aria, l’acqua o l’etere. Era come se Anassagora, dopo aver annunciato che Socrate fa tutto quello che fa utilizzando il suo nous, spiegasse il fatto che egli si trova seduto in carcere con cause di carattere fisiologico e meccanico, connesse alla sua struttura scheletrica e muscolare. Oppure, come se ricercasse le cause della sua discussione con gli amici nella fisiologia della fonazione e nelle leggi fisiche che governano la propagazione delle onde sonore nell’aria. Spiegazioni di questo tipo, pur non essendo inesatte, non sono tuttavia esaurienti per Socrate, perché non comprendono le “cause vere”. Socrate è in carcere perché gli Ateniesi l’hanno processato e condannato e perché lui ha deciso di non sottrarsi alla pena. Le sue ossa e i suoi tendini sarebbero da un bel pezzo a Megara o in Beozia, seguendo le medesime leggi fisiologiche che lo fanno stare seduto in carcere, se solo avesse voluto, preferendo l’evasione e la latitanza alla reclusione.

È vero, aggiunge Socrate, che i movimenti dipendono dalle ossa, dai tendini e da ciò che li fa funzionare, ma, nel momento in cui viene riconosciuta un’intelligenza nel mondo, è grossolanamente inaccurato trascurare proprio la causa finale e negare quanto il suo ruolo sia determinante. Se non ci si accontenta della descrizione e della spiegazione, occorre andare oltre la filosofia naturale, per interrogarsi sul senso delle cose, cioè su che cosa sia il bene che le lega e le tiene insieme. Platone, dunque, rendendosi conto che la filosofia naturale non può dare risposta alle sue questioni, abbandona Anassagora, per cominciare, attraverso Socrate, una seconda navigazione alla ricerca della “causa ultima”.

La seconda navigazione é una metafora desunta dal linguaggio marinaresco e indica quella navigazione che si intraprende quando cadono i venti e la nave rimane ferma: in tale circostanza, si deve por mano ai remi e, con la forza delle braccia, uscire dalla situazione prodotta dall’incombere della bonaccia. La “prima navigazione”, fatta con le vele al vento, corrisponde al tragitto compiuto da Platone sulla scia dei naturalisti, servendosi del loro metodo, che lo ha lasciato in posizione di stallo. La “seconda navigazione”, assai più faticosa ed impegnativa, é quella condotta con il nuovo metodo dei ragionamenti che portano al trascendimento della sfera del sensibile e alla conquista del soprasensibile. Con ciò, Platone voleva indicare quell’esperienza di conoscenza che porta a cogliere la verità, che rende liberi e felici in modo perdurante, che conduce, insomma, all’eudaimonìa. Questo passo é per molti una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale: segna una svolta decisiva perché costituisce la prima dimostrazione razionale dell’esistenza di un essere oltre quello sensibile, ossia di una realtà soprasensibile e trascendente.

Socrate procede quindi con il suo ragionamento, decidendo non di indagare negli enti, ma di rifugiarsi nei lògoi (discorsi, ragione) e ricercare in essi la verità degli enti. Prima temeva di rimanere accecato, esattamente come chi osserva un’eclissi solare direttamente e non riflessa nell’acqua, ma ora Socrate non ha più alcun timore; anzi, è disposto a perdere la vista pur di osservare le cose con i propri occhi e coglierle attraverso i sensi. Inizia a formulare un’ipotesi: che esistano, in sé e per sé, un bello, un buono, un grande, ecc. Di conseguenza, se esiste qualcos’altro di bello, oltre il bello in sé e per sé, ciò è tale soltanto perché partecipa al bello in sé. Una cosa non è bella per il suo colore o la sua forma, ma semplicemente perché ha un rapporto diretto con il bello in sé. Compare, a questo punto, la vera causa e per Socrate è ormai impossibile riconoscerne altre. 

Per la “terza navigazione” dovremo attendere Sant’Agostino. Riprendendo e completando l’immagine di Platone, il teologo ha spiegato il viaggio verso la vita eterna, che ogni uomo può realizzare con l’ausilio della fede. Platone, con l’uso dei remi, ovvero con la conoscenza razionale, aveva navigato fino a dimostrare l’esistenza di un mondo ideale. Ma Agostino si spinse oltre. Secondo il Santo, è possibile o apprendere da altri quale sia la verità, o scoprirla da sé; ma se risulta impossibile accettare questa verità, bisogna scegliere, fra i ragionamenti umani, quello che egli definisce “migliore e meno facile da confutare”, e su quello, come su una zattera, affrontare il rischio della traversata del mare della vita. L’unica possibilità di compiere il viaggio in modo più sicuro, e con minor rischio, è quella di salire su una nave più solida, cioè affidarsi alla rivelazione divina.

 


ARTICOLO DI BILLIA NOEMI DELLA CLASSE IIIA DEL LICEO CLASSICO


SITOGRAFIA:

https://www.filosofico.net/navigaz.html

https://www.filosofico.net/navigaz.html

https://btfp.sp.unipi.it/dida/fedone/ar01s18.xhtml

https://www.filosofico.net/anassag.htm

http://www.secondanavigazione.it/seconda-navigazione/

https://www.annamariapacilli.it/2017/06/02/la-seconda-navigazione-di-platone/

https://blogphilosophica.wordpress.com/2018/11/19/la-terza-navigazione/


BIBLIOGRAFIA:

Filosofia, cultura, cittadinanza – Antonello La Vergata e Franco Trabattoni