È stato un filosofo greco antico, enigmatico e difficile da comprendere, uno dei maggiori pensatori presocratici.
Eraclito nacque tra il VI e V secolo a.C. ad Efeso, città ionica sulla costa del Mar Egeo in Asia Minore, oggi splendido sito archeologico nella odierna Turchia. La sua era una famiglia aristocratica discendente di Androclo, il fondatore di Efeso. Della sua vita non si sa molto e di lui pressoché nulla ma il celebre filosofo del Panta Rei “tutto scorre”, decisamente non era socievole e non aveva un buon carattere, non gli interessavano nè la fama, nè il potere, nè la ricchezza. Egli si disinteressò della politica e della vita sociale della sua polis. Si dice che giocando a dadi con i bambini disse ai concittadini che quell’occupazione era migliore della loro attività politica. Così visse una vita solitaria mal sopportando la compagnia degli uomini, non volle partecipare alla vita pubblica per avversione agli Efesimi. Viste le molte testimonianze, misantropo lo fu sicuramente, anche nei suoi scritti emerge un aristocratico disprezzo non solo per la famosa dichiarazione “uno solo per me vale diecimila, se è il migliore”, ma soprattutto quando si rivolge verso quelli che definisce “dormienti” interessati solo ai propri egoistici interessi e non a quelli “comuni”, incapaci di comprendere il logos e quindi il significato di ciò che li circonda. Non ebbe maestri diretti e si vantò di aver scoperto da sè la sua sapienza. Diogene Laerzio racconta che, da vero amante della sapienza, non era interessato alle ricchezze materiali ma che “fu altero quant’altri mai e superbo”. Era un aristocratico, convinto di essere il migliore del suo tempo. Decise così che il genere umano non facesse per lui e, alla fine non potendone più, si ritirò in cima ad una montagna adottando una dieta strettamente vegetariana e per anni mangiò solo foglie, bacche ed erbe secche. Vivendo da eremita si dedicò soprattutto all’osservazione. A causa della sua poca socievolezza e del suo linguaggio particolare ermetico e per lo stile di scrittura fu soprannominato skoteinòs “l’Oscuro”. Oscura è anche la sua vita e, un altro aggettivo che accompagna Eraclito da sempre, è “piangente”, probabilmente per il suo profondo pessimismo.
Dal pensatore si sono tramandati un centinaio di frammenti che formano un’opera unitaria intitolata “Perì Physeos” (Sulla Natura) dalla scrittura in dialetto ionico, immaginaria, criptica e sapienziale. In essa Eraclito ha raccolto aforismi e sentenze brevi e taglienti dai toni enigmatici. Riteneva talmente elevata la sua filosofia che per scrivere quest’opera usò un linguaggio difficilissimo. Pare che egli volutamente si esprimesse in modo oscuro perchè voleva essere “capito” solo da chi avesse un adeguato livello intellettuale e culturale, quelli che lui definiva “svegli” ovvero i filosofi. Aristotele stesso riscontrò numerose difficoltà interpretative leggendo l’opera di Eraclito. Alcune testimonianze raccontano che egli avesse posto il suo manoscritto nel Tempio di Artemide proprio per indicare che la sua opera era somma, ispirata dalla Dea.
È di Eraclito la teoria del divenire, a lui è infatti attribuito il concetto di Panta Rhei in quanto descrive il mondo come flusso perenne in cui “tutto scorre” senza mai fermarsi. Il mondo è dunque in continua trasformazione e non c’è mai un momento uguale all’altro.
“Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo”
Si può interpretare che il fiume è sempre lo stesso e noi stessi manteniamo la nostra identità ma al tempo stesso sempre diverse sono le acque nel loro scorrere, come sempre diversi siamo noi in ogni istante del tempo. Nulla permane e tutto si trasforma. Si introduce così il concetto di identità del cambiamento. Secondo il filosofo di Efeso l’origine di tutte le cose è la trasformazione, il divenire.
Passò l’ultima parte della sua vita in mezzo alla natura, dopo alcuni anni però, a causa della cattiva alimentazione, si ammalò di idropisia, cioè l’accumulo eccessivo di liquidi nel corpo. Fu questo il motivo che lo spinse a tornare in città. Voleva consultare dei medici essendo alla ricerca di una cura e con parole enigmatiche chiese loro se “dall’innondazione fossero in grado di far tornare la siccità”.
I medici non compresero il vero significato così la risposta fu negativa e il filosofo cercò di curarsi da sè. Si narra che Eraclito si recò in un ipnos (letamaio) e si ricoprì di sterco caldo sperando così che il liquido nocivo nel suo corpo evaporasse. Alcuni giorni dopo morì, aveva circa sessant’anni. Aristotele invece afferma che il filosofo riuscì a guarire dall’idropisia ma morì successivamente a causa di un’altra malattia.
Definito da Socrate profondo quanto le acque dell’Isola di Delo
Chiamato da Aristotele l’Oscuro
Citato da Dante tra gli spiriti magni del Limbo, nel Canto IV dell’Inferno
SITOGRAFIA:
https://significa.it/panta-rhei-o-panta-rei/
https://finanza.primeconsult.it/panta-rei-significato-ed-esempi-di-utilizzo-del-motto-millenario/
https://www.helloworld.it/cultura/eraclito-panta-rei
ARTICOLO REDATTO DA ALESSIA CALGARO DELLA CLASSE IIIA DEL LICEO CLASSICO
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