La guerra d’indipendenza americana, nota negli Stati Uniti principalmente come guerra rivoluzionaria americana (in inglese: American War of Independence o American Revolutionary War) e in Francia, raramente, come guerra d’America (in francese: guerre d’Amérique), fu il conflitto che, tra il 19 aprile 1775 e il 3 settembre 1783, oppose le Tredici colonie nordamericane, diventate successivamente gli Stati Uniti d’America, alla loro madrepatria, il Regno di Gran Bretagna.

A partire dal 1778 la guerra, iniziata come ribellione indipendentistica locale, si trasformò in un conflitto globale tra le grandi potenze europee per il predominio sui mari e nei territori coloniali. La Francia entrò in guerra a fianco degli americani e, in alleanza anche con la Spagna e le Province Unite, cercò di sfidare il predominio britannico e di ottenere la rivincita dopo la sconfitta nella guerra dei sette anni. La Gran Bretagna invece poté rafforzare il suo corpo di spedizione in America reclutando numerosi contingenti di truppe mercenarie tedesche, i cosiddetti Assiani, forniti, dietro compenso in denaro, dall’Assia-Kassel, dall’Elettorato di Hannover e da altri piccoli stati tedeschi.

Dopo alterne vicende, la sconfitta britannica a Yorktown contro le forze franco-americane guidate dal generale George Washington e dal generale Jean-Baptiste de Rochambeau, segnò una svolta decisiva della guerra. Il trattato di Parigi, firmato nel 1783, pose ufficialmente fine al conflitto, già concluso di fatto tra il 1781 e il 1782. Con la pace, gli Stati Uniti furono riconosciuti dal Regno Unito, che dovette cedere alla Francia il Senegal, Santa Lucia e Tobago, alla Spagna la Florida e Minorca e alle Province Unite le sue colonie asiatiche. La Francia tuttavia, nonostante alcuni successi, non riuscì a strappare alla Gran Bretagna il dominio dei mari e la corona britannica mantenne il possesso delle Antille e del Canada mentre buona parte dell’India rimaneva sotto il controllo della Compagnia britannica delle Indie orientali.

Nel 1765 il governo inglese volle estendere alle colonie una tassa del bollo, già in vigore nella madrepatria, per la quale ogni uso della carta, nei giornali, nei documenti commerciali, negli atti legali, eccetera, era sottoposto a un tributo, che veniva pagato mediante l’apposizione di un bollo (questo documento passò alla storia sotto il nome di “Stamp Act”). Gli inglesi giustificarono l’introduzione del tributo, sostenendo che lo stesso era in vigore in madrepatria. Di fronte alla protesta dei coloni, la legge sul bollo fu abrogata ma fu sostituita con una serie di imposte indirette su alcune merci (carta, vernici, piombo, tè), che le colonie importavano dall’Inghilterra. La portata economica di questi provvedimenti era molto limitata, ma con essi il Parlamento intendeva porre una questione di principio, facendo valere concretamente il suo diritto di tassare tutti i sudditi dell’impero. I coloni non accettarono l’impostazione del Parlamento, la questione di principio rimase irrisolta e nel 1770 le imposte indirette furono tutte abolite, salvo quella sul tè. Nel 1773 la Compagnia britannica delle Indie orientali ottenne dal Parlamento il diritto di vendere in esclusiva, e mediante i suoi stessi agenti, il tè che essa importava dalla Cina, tagliando fuori gli intermediari americani che avevano fino ad allora goduto di un ampio e fruttuoso giro di affari. I commercianti americani di tè, sostenuti dall’opinione pubblica e dalle organizzazioni popolari dei Figli della libertà (Sons of Liberty), organizzarono di rimando il boicottaggio delle merci inglesi: questa azione culminò in un episodio particolarmente clamoroso, quando alcuni Figli della libertà, travestiti da Indiani, assalirono le navi della Compagnia alla fonda nel porto di Boston e gettarono in mare il carico di tè (episodio noto come Boston Tea Party, del 16 dicembre 1773). Il re Giorgio III e il governo di Londra reagirono violentemente ai fatti di Boston: nell’aprile 1774 vennero approvate quattro disposizioni legislative che divennero subito famose in America come le «Leggi intollerabili (Intolerable Acts)». Questi decreti prevedevano in primo luogo la chiusura punitiva del porto di Boston dal 1º giugno 1774 fino al momento in cui non fosse stato risarcito il danno economico della distruzione del tè; oltre ad altre disposizioni sull’amministrazione della giustizia e sull’alloggiamento delle truppe britanniche, venne promulgato soprattutto il Massachusetts Government Act che sottraeva al controllo dei coloni l’elezione dei consigli, assegnando ogni potere amministrativo al governatore inviato da Londra; a maggio 1774 il generale Thomas Gage assunse l’incarico di governatore dello stato del Massachusetts e capo militare con pieni poteri .Nel giugno 1774 ad accrescere ulteriormente il malcontento dei coloni venne promulgata anche la Legge sul Quebec, che assicurava ai sudditi del Canada, di nazionalità francese, di religione cattolica e di recente acquisizione, la più ampia libertà religiosa e civile, e assegnava al Canada tutti i territori a nord del fiume Ohio, nei quali i sudditi delle tredici vecchie colonie aspiravano ad espandersi.

La limitazione della libera espansione territoriale dei coloni, che la Gran Bretagna voleva in sostanza confinare a oriente dei monti Appalachi, in favore dei Nativi che abitavano il resto del territorio, fu percepita come un atto di dispotismo e di inaccettabile limitazione della libertà dei coloni, che pretendevano di impadronirsi dei territori abitati dalle popolazioni indigene e trasformarli in terre fertili coltivate: infatti, non solo gli indigeni erano ritenuti dei selvaggi inferiori, ma la loro terra non era considerata tale perché non lavorata (secondo John Locke la base del diritto naturale alla proprietà è appunto il lavoro). La madrepatria sembrava privilegiare gli interessi dei nativi, e in seguito quelli degli schiavi, rispetto a quelli dei bianchi, limitando la libertà di questi ultimi di impadronirsi delle terre e di schiacciare ogni opposizione delle popolazioni indiane. Era dunque necessario eliminare il distante governo britannico, contrario agli interessi delle colonie. Le «Leggi intollerabili», e il Quebec Act, accelerarono il processo di ribellione ormai in corso. In realtà nella società americana erano presenti forti contrasti sociali e politici; inoltre le colonie erano divise tra loro a causa soprattutto della diversa struttura economica e degli interessi conflittuali delle classi dominanti. Le correnti moderate erano potenti soprattutto negli stati centrali tra i ricchi mercanti e le classi dell’alta borghesia, mentre erano presenti anche conservatori lealisti – specialmente nelle colonie meridionali – alla corona britannica. Le forze rivoluzionarie erano predominanti negli stati del New England soprattutto tra gli operai, i piccoli agricoltori e le classi più disagiate; questi strati popolari erano sostenuti e guidati da intellettuali radicali, avvocati e pastori della chiesa presbiteriana. Le colonie del New England conclusero una sorprendente alleanza rivoluzionaria con i coloni delle regioni di frontiera alla ricerca di terre, irritati per il Quebec Act, e soprattutto con i ricchi piantatori proprietari di schiavi degli stati meridionali, principalmente Virginia, Maryland e Carolina del Nord, che aspiravano alla totale libertà economica.

La situazione ebbe una svolta il 17 maggio 1774 quando, in risposta alle dure misure legislative del Parlamento britannico e all’arrivo a Boston del generale Thomas Gage come governatore e nuovo comandante in capo con pieni poteri, il Rhode Island per primo propose alle altre colonie di convocare un “grande congresso di tutte le colonie”. Dopo pochi giorni, il 27 maggio, anche la Virginia affermò la necessità di un congresso generale; il 17 giugno infine i radicali del Massachusetts riuscirono a organizzare, prima dell’intervento delle truppe del generale Gage, una seduta extra-legale a Boston per convocare a loro volta un congresso continentale. Il 5 settembre 1774, si riunì a Filadelfia il cosiddetto primo Congresso continentale, formato da 55 delegati delle colonie americane eletti da organi deliberativi irregolari; dodici colonie inviarono loro rappresentanti, mentre la Georgia, la Nuova Scozia, le due Floride e il Québec non mandarono rappresentanti. Le opinioni tra i delegati non erano concordanti. Erano presenti alcuni conservatori lealisti, guidati da Joseph Galloway della Pennsylvania, che rifiutavano le istanze estremistiche; ma le loro posizioni vennero respinte; i moderati, tra cui John Jay di New York e John Dickinson della Pennsylvania, in generale aderirono alle posizioni dei radicali capeggiati dai delegati della Virginia, George Washington, Patrick Henry e Richard Henry Lee, e del Massachusetts, Samuel Adams e John Adams. Nel Massachusetts e in tutto il New England l’atmosfera tra i coloni era molto bellicosa e a Boston la situazione stava degenerando rapidamente; il 9 settembre 1774 una convenzione di delegati ribelli sconfessò l’operato di un’assemblea sostenuta dal generale Gage ed emanò le cosiddette “risoluzioni di Suffolk” (Suffolk Resolves) che prevedevano l’opposizione anche militare contro ogni “invasione ostile” e consigliavano di fare preparativi per la guerra; queste risoluzioni oltranzistiche furono inviate al Congresso continentale che diede la sua approvazione il giorno seguente. Il Congresso di Filadelfia approvò anche altri documenti che confermarono la risolutezza delle colonie e la loro decisione di opporsi alla madrepatria: venne promulgata una “Dichiarazione dei diritti americani” in cui si affermava che il Parlamento britannico non aveva diritto ad occuparsi delle questioni interne delle colonie; la dichiarazione, redatta principalmente da John Jay, faceva anche appello allo “spirito di giustizia degli inglesi” che erano invitati a riconoscere i pari diritti dei coloni; si auspicava anche una ritrovata amicizia sulla base della comune civiltà e della religione in opposizione al “cattolicesimo papista” che invece era stato autorizzato dalla Gran Bretagna in Canada. Nonostante questa dichiarazione moderata, il Congresso approvò soprattutto la cosiddetta “Continental Association” in cui si disponeva la costituzione di comitati per attivare e rendere efficace su tutto il territorio l’arma del boicottaggio commerciale contro le merci britanniche. Queste misure di guerra economica prevedevano la “non-importazione” e la “non-consumazione” di tutti i prodotti provenienti dalla madrepatria; il Congresso disponeva inoltre misure radicali di intimidazione e punizione contro coloro che non avessero applicato rigorosamente le decisioni della “Association”. Queste misure estremistiche furono approvate anche dai delegati moderati come John Jay, i quali speravano che una dimostrazione di risolutezza e di unità delle colonie avrebbe potuto intimidire la Gran Bretagna e indurla a concessioni sostanziali. In Gran Bretagna effettivamente erano in corso tentativi per trovare un accordo ed impedire la rottura irreversibile con le colonie americane; nel Parlamento britannico William Pitt ed Edmund Burke parlarono eloquentemente a favore di misure conciliatorie e presentarono proposte per un compromesso che andasse incontro alle richieste degli americani riguardo al sistema di tassazione. Tra i parlamentari tuttavia predominava l’intransigenza; il 20 gennaio e il 1º febbraio 1775 vennero nettamente respinte le proposte di Pitt che prevedevano il ritiro delle truppe da Boston e la rinuncia alla tassazione delle colonie. Non raggiunsero risultati positivi neppure i colloqui segreti in corso a Londra tra Benjamin Franklin e alcuni emissari del governo North; il rappresentante americano confermò le richieste del Congresso continentale che prevedevano l’abrogazione di tutte le norme legislative degli ultimi anni, il ritiro delle truppe da Boston e soprattutto la rinuncia del Parlamento britannico ad interferire con gli affari interni delle colonie. Le trattative fallirono per il problema cruciale del diritto sovrano del Parlamento britannico di legiferare sugli affari delle colonie su cui i rappresentanti britannici non potevano transigere; i colloqui si interruppero definitivamente il 16 febbraio 1775. Il Parlamento britannico promulgò misure che accrebbero la tensione: lo stato del Massachusetts venne dichiarato “in ribellione” e venne proibita ai coloni del New England la zona di pesca dell’Atlantico settentrionale. Il 27 febbraio 1775 infine Lord North tentò un’ultima mediazione e fece approvare la cosiddetta Conciliatory Resolution che tuttavia conteneva norme sulla tassazione che vennero ritenute assolutamente insufficienti dai rappresentanti del Congresso continentale.

In America era ormai in corso un processo di radicalizzazione del confronto; mentre i cosiddetti “comitati di corrispondenza” si impegnavano a diffondere i sentimenti di ribellione e opposizioni in tutte le colonie, aveva avuto inizio la mobilizzazione delle milizie volontarie; soprattutto negli stati del New England si procedeva al reclutamento e addestramento dei miliziani e all’accumulo di polvere da sparo. I sostenitori dei diritti delle colonie, organizzati e aggressivi, iniziarono una attività di intimidazione e rappresaglia contro i lealisti e gli incerti che rifiutavano le misure più radicali o non applicavano rigorosamente il divieto di importazione. John Hancock venne nominato capo di un comitato di sicurezza del Massachusetts con poteri di arruolamento e organizzazione delle milizie della colonia; la milizia del New England, dominata dai capi radicali, migliorò la sua organizzazione, il suo addestramento e il suo armamento; vennero costituite le unità scelte dei cosiddetti Minutemen, pronti ad entrare in azione “in un minuto”. Contemporaneamente in Gran Bretagna gli esponenti politici più intransigenti e i sostenitori rigorosi dei diritti supremi legislativi del Parlamento di Londra stavano guadagnando potere e dominavano all’interno del governo presieduto dal debole Lord North. Il 13 gennaio 1775 il gabinetto decise l’invio di truppe di rinforzo al generale Thomas Gage che venne invitato il 27 gennaio ad essere maggiormente risoluto contro i ribelli del New England; egli ricevette ordini precisi di estendere l’occupazione militare di Boston, arrestare i capi radicali e imporre la legge marziale. I capi politici britannici erano insoddisfatti del comandante in capo d’America; si parlò di sostituirlo con l’esperto generale Jeffrey Amherst; il 2 febbraio venne deciso, dopo il rifiuto di quest’ultimo di assumere il comando, di inviare tre generali, John Burgoyne, Henry Clinton e William Howe, in America per coadiuvare il generale Gage. Il primo scontro tra le truppe regolari britanniche e le milizie del New England avvenne nell’aprile del 1775 nelle cittadine di Lexington e Concord. In quest’ultima cittadina, situata venticinque chilometri a nord-ovest di Boston i due capi radicali John Hancock e Samuel Adams avevano installato i depositi di armi e munizioni e i centri di reclutamento delle milizie. Il generale Gage decise di prendere l’iniziativa e inviò una colonna di truppe a Concord per distruggere i depositi e disperdere i miliziani; i soldati britannici si misero in marcia la sera del 18 aprile 1775 I soldati speravano di sorprendere i ribelli ma alcuni patrioti partiti da Boston, tra cui Paul Revere, riuscirono ad avvertire in tempo Adams e Hancock; quindi le milizie poterono organizzare la difesa; mentre i depositi venivano messi al sicuro, i miliziani si schierarono a Lexington decisi ad opporre resistenza. La colonna britannica giunse a Lexington e ordinò ai ribelli di disperdersi ma, nell’atmosfera estremamente tesa, venne esploso un colpo a cui seguì uno scontro a fuoco generale che continuò per venti minuti e si concluse con la temporanea ritirata dei miliziani che subirono qualche perdita. Raggiunta Concord, i britannici bruciarono alcuni depositi e presero la via del ritorno per Boston, ma ben presto la situazione volse a favore delle milizie americane che intercettarono la via di ritirata e passarono al contrattacco. I britannici, a cui si era unita un’altra colonna, si trovarono in grande difficoltà durante il percorso di ritorno e subirono continui attacchi. Il 19 aprile 1775, i soldati britannici riuscirono finalmente a rientrare a Boston dopo aver subito perdite molto più pesanti dei miliziani.

La guerra finì nel aprile 1775, Il 4 luglio, a Filadelfia, fu infine promulgato lo storico documento d’indipendenza approvato dai delegati delle Tredici colonie: New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud e Georgia andarono a costituire un nuovo Stato, gli Stati Uniti d’America. Per festeggiare la nascita fu suonata la Liberty Bell.


ARTICOLO DI CLARA LUNGHI DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO