In Congress, July 4, 1776.
We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness—-That to secure these Rights, Governments are instituted among Men, deriving their just Powers from the Consent of the Governed, that whenever any Form of Government becomes destructive of these Ends, it is the Right of the People to alter or abolish it, and to institute a new Government, laying its Foundation on such Principles, and organizing its Powers in such Form, as to them shall seem most likely to effect their Safety and Happiness.
In Congresso, 4 luglio 1776
Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.
Il 4 luglio 1776 l’approvazione in congresso della Dichiarazione d’Indipendenza sancì l’atto di nascita degli Stati Uniti d’America: le tredici colonie americane nel corso di due congressi continentali si mostrarono forti di un nuovo esercito, il Continental Army, e di un nuovo testo costituzionale in cui venivano esposti i principi massonici e illuministi che animarono la Guerra d’Indipendenza dall’Inghilterra (1775/1783).
Celebre è la frase del filosofo italiano Filippo Mazzei “tutti gli uomini sono creati eguali; essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti”, che esprime il sentimento contenuto nel sogno americano: i coloni arrivati nel nuovo mondo erano principalmente uomini in fuga dalle persecuzioni religiose in Europa; l’America, terra nuova, priva del vecchio e polveroso sistema sociale e politico gerarchizzato e intollerante della madrepatria europea, si prestava bene alla costruzione di una nuova società, basata sui principi calvinisti presbiteriani di meritocrazia. I padri pellegrini, salpati dal vecchio mondo nel 1628, prestarono sull’omonima nave il Giuramento del Mayflower, giurando di rispettare sempre gli ideali di fratellanza, solidarietà e reciproca assistenza che avevano trovato ben poco spazio nella madrepatria.
Ma le colonie, essendo state fondate da popoli e ideali diversi, avevano sempre avuto pochi interessi comuni e ancor meno volontà di collaborazione tra loro; in particolare, le colonie del Sud si basavano quasi esclusivamente su un’economia schiavista nei grandi latifondi di Virginia, Georgia, Maryland, Nord e Sud Carolina, mentre al Nord, in Massachussets, New Hampshire, Rhode Island e Connecticut si viveva principalmente di commercio, artigianato e industria. Nel centro, in New York, New Jersey, Pennsylvania e Delaware i grandi armatori si occupavano di importazioni e esportazioni di prodotti commerciali.
La struttura sociale e politica diversa, l’economia su basi e scopi differenti, e soprattutto le grandi differenze culturali dovute a origini e spesso lingue diverse (i coloni potevano provenire dall’Inghilterra, Scozia, Irlanda, Olanda, Norvegia, Svizzera, ed erano cattolici, protestanti, calvinisti…) avevano contribuito a un quadro di ostilità reciproca che durava da oltre un secolo quando l’odio per Giorgio III, il re di Inghilterra, e per la sua politica infame e intollerabile nei confronti delle tredici colonie dopo da Guerra dei 7 anni (1756/1763), rappresentò infine un elemento di unione per i coloni.
Il 16 dicembre 1773, in risposta all’ultimo degli intolerable acts imposto dall’Inghilterra, che strozzava ulteriormente gli affari degli armatori di Boston, già gravati da un’escalation di dazi e tasse volte a ricoprire le spese della guerra appena combattuta, andando a colpire l’importazione delle foglie di thè, alcuni membri di una setta indipendentista, i Liberty Sons, si travestirono da indiani d’America e, dopo essersi introdotti su una nave commerciale inglese, rovesciarono in mare tutto il suo carico di thè. È il famoso Boston Tea Party, noto per essere stato il primo atto di aperta ribellione contro la madrepatria, e importantissimo per gli Americani in quanto fu il primo caso in cui tutti i coloni si unirono sotto gli ideali che verranno stesi nero su bianco nella successiva Dichiarazione del 4 luglio. La sempre crescente oppressione inglese era diventata insopportabile: i coloni sentivano forte la volontà di indipendenza, e quei valori di uguaglianza e solidarietà già presenti nello spirito dei primi coloni vennero urlati per la prima volta proprio durante il Boston Tea Party: gli insorti rovesciavano in mare i carichi di thè al grido di “Remember Paoli”. Pasquale Paoli era stato colui che in Corsica aveva promulgato la prima costituzione al mondo scritta secondo i principi dell’Illuminismo, e comprendeva la prima implementazione del suffragio femminile, rappresentando anche il primo esempio nella storia moderna di una Carta d’impronta democratica, precedente alle Costituzioni rivoluzionarie americane e francesi. La costituzione paolina sarà la principale fonte di ispirazione nella stesura della costituzione americana.
Tutti i firmatari della dichiarazione del 4 luglio condividevano fieramente questi valori, personaggi importanti come John Adams, Benjamin Franklin, John Hancock e Thomas Jefferson, e apparentemente questi principi avrebbero dovuto promettere un futuro libero per tutti gli americani: nessun uomo avrebbe mai più dovuto vivere oppresso, e tutti, uomini e donne, bianchi e neri, di qualsiasi religione avrebbero dovuto vivere ogni giorno liberi di realizzare se stessi e la propria felicità, indipendentemente dalle origini diverse o dalle differenze socio economiche. Sulla carta, la Dichiarazione d’Indipendenza è la realizzazione del sogno americano.
Ma nella realtà, fin dal principio venne imposto il suffragio maschile e censitario, escludendo dunque le donne e la stragrande maggioranza della popolazione dalle decisioni politiche, e di sicuro il razzismo dei bianchi di origine europea nei confronti degli afroamericani non si estinse nel 1776. I piantatori del sud continuarono sulla strada dell’economia schiavista che aveva reso ricchissimi i grandi latifondisti, e al Nord anche gli stessi fautori della rivoluzione fecero fatica a liberarsi di una forma mentis profondamente radicata nel costume sociale del tempo.
Alla luce di ciò, la vicenda di Elizabeth Freeman e di come, da donna di colore schiava per prima conquistò la libertà è un importantissimo precedente giudiziario, che però, considerando la totalità degli Stati Uniti rimane un caso isolato ed eccezionale. Infatti a livello federale la schiavitù venne ufficialmente abolita solo nel 1884 con l’approvazione in senato del tredicesimo emendamento. Da quel preciso momento tutti gli schiavi erano ufficialmente liberi, ma anche allora il processo fu lungo e differenziato da stato a stato. In Massacchussets però la vittoria legale di Elizabeth, donna e di colore, creò un precedente a cui appellarsi per gli schiavi anelanti alla libertà a lei successivi tanto forte al punto da sancire implicitamente la fine della schiavitù nello stato.
“Any time, any time while I was a slave, if one minute’s freedom had been offered to me, and I had been told I must die at the end of that minute, I would have taken it—just to stand one minute on God’s earth as a free woman— I would”
Elizabeth Freeman
Elizabeth nacque schiava attorno al 1744 a Claverack, nello stato di New York. Lei e la sua famiglia erano di proprietà di Pieter Hogeboom, discendente di un colone olandese. Bett, come venne chiamata la bambina alla nascita, o Mumbet, il soprannome con il quale viene tutt’oggi ricordata, era analfabeta e non ha mai lasciato nulla di scritto; quello che sappiamo di lei, della sua vita e del suo caso giudiziario ci è arrivato tramite racconti indiretti di persone che avevano ascoltato la sua storia, tramite i documenti ufficiali e soprattutto grazie alla scrittrice Catharine Maria Sedgwick, figlia dell’avvocato che si occupò del caso Freeman.
Quando lei e sua sorella Lizzie erano molto piccole, senza ovviamente poter avere alcuna voce in capitolo, vennero trasferite con la figlia di Hogeboom, Hannah nella città del suo nuovo marito, nella contea di Sheffield. Durante il periodo in cui visse con gli Ashley, Elizabeth ebbe una figlia, Betsy, ma l’identità del padre è ignota; Bett ha sempre sostenuto che fosse morto combattendo nella Guerra d’indipendenza. In quanto schiava, Elizabeth venne più volte picchiata dalla padrona; si dice che però esibì le ferite ricevute con coraggio, rifiutandosi di tornare a casa anche quando John Ashley chiamò in causa il tribunale per costringerla a tornare. Fu anche a causa di questa vicenda che Bett decise di rivolgersi a Theodore Sedgwick.
Il colonnello John Ashley, il nuovo padrone di Bett, era un giudice della Court of Common Pleas (Corte delle udienze comuni), e già nel 1773 era stato tra quelli che avevano redatto la Sheffield Declaration, poi ufficialmente approvata nel 1777. La dichiarazione conteneva il già citato principio manifesto della dichiarazione del 4 luglio 1776: “mankind in a state of nature are equal, free, and independent of each other, and have a right to the undisturbed enjoyment of their lives, their liberty and property.”, concetto ripreso anche nella Costituzione del Massacchussets del 1780. Il fatto che un uomo che credesse a questo principio possedesse schiavi nelle sue proprietà la dice lunga su quanto poco questi principi fossero applicati alla realtà.
I contenuti della Sheffield Declaration vennero portati nelle piazze e pronunciati in pubblico, e si dice che fu proprio incoraggiata dal prendere piede di questi ideali che Elizabeth, donna, schiava e nera, cominciò a pensare di potersi appellare davvero a questi paroloni per cambiare la sua vita.
Nel 1781 si rivolse a un avvocato, Theodore Sedgwick, che accettò di occuparsi del suo caso e di quello di un altro schiavo della famiglia degli Ashley anelante alla libertà, un certo Brom. Era un terreno nuovo: nessuno aveva mai ottenuto la libertà per vie legali facendo causa al proprio padrone, e la recente Dichiarazione d’Indipendenza e le successive costituzioni a lei ispirati non erano ancora state messe alla prova: non si era sicuri sul modo in cui sarebbero state applicate le sue novità. Accettando il caso, Theodore Sedgwick volle testare se la schiavitù fosse considerata a tutti gli effetti incostituzionale secondo la legge.
Catherine Seldwick scrisse che Elizabeth chiese al padre di essere il suo avvocato con queste parole:
“I heard that paper read yesterday, that says, all men are created equal, and that every man has a right to freedom. I’m not a dumb critter; won’t the law give me my freedom?” “Ho ascoltato la lettura di quel documento ieri che dice ‘tutti gli uomini sono creati uguali, e che ognuno ha diritto alla libertà’. Non sono stupida, la legge non mi concederà la libertà?”
Il caso Brom and Bett v. Ashley venne presentato in tribunale nell’agosto del 1781. Seldwick sostenne che la frase “all men are born free and equal” rendesse illegale la schiavitù, e che quindi Bett e Brom avessero diritto di esser liberi come qualsiasi altro uomo o donna. John Ashley, che rappresentava la parte contraria, sostenne che, anche se la stessa dichiarazione assicurava il diritto alla libertà a tutti, poiché lui possedeva Elizabeth da prima dell’emanazione della legge, la sua applicazione non fosse valida in quel contesto. Nonostante questo, e nonostante l’appello successivo alla sentenza di Ashley, il tribunale si dichiarò a favore di Elizabeth a Brom: entrambi erano ufficialmente liberi. Inoltre, il loro ex-padrone dovette risarcirli per tutti gli anni in cui erano stati schiavi presso di lui, per una cifra di 30 scellini. Per celebrare la vittoria, e l’essere finalmente libera, Elizabeth cambiò il suo nome in Elizabeth Freeman. Cominciò a lavorare come domestica retribuita a casa Seldwick, dove crebbe Catherine, la figlia dell’avvocato, che si affezionò moltissimo a Mumbet, raccontando spesso di lei nei suoi libri.
Quando ebbe guadagnato denaro a sufficienza, comprò una casa sua, e un terreno, dove visse e invecchiò, e infine, nel 1829, morì. Venne seppellita a fianco ai membri dell’affezionatissima famiglia Seldwick, e sulla sua tomba venne posto il seguente epitaffio:
“ELIZABETH FREEMAN, also known by the name of MUMBET died Dec. 28th 1829. Her supposed age was 85 Years. She was born a slave and remained a slave for nearly thirty years; She could neither read nor write, yet in her own sphere she had no superior or equal. She neither wasted time nor property. She never violated a trust, nor failed to perform a duty. In every situation of domestic trial, she was the most efficient helper and the tenderest friend. Good mother, farewell.”
L’eccezionalità della sua storia fu tale da rappresentare un precedente per tutti gli schiavi del Massacchussets, che in numero sempre maggiore citavano, oltre che i contenuti della Dichiarazione d’indipendenza, anche il caso Freeman per guadagnarsi la libertà.
ELIZABETH FREEMAN – breve video sulla sua storia:
Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Costituzione_della_Corsica_del_1755
https://www.womenshistory.org/education-resources/biographies/elizabeth-freeman
https://www.pbs.org/wgbh/aia/part2/2p39.html
http://www.museoalessandroroccavilla.it/2020/11/16/elizabeth-freeman/
https://en.wikipedia.org/wiki/Elizabeth_Freeman
ARTICOLO DI TERESA PIDELLO DELLA CLASSE IV B DEL LICEO CLASSICO
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