Prima di  parlare della risata nel medioevo, bisogna definire il verbo “ridere”, da cui deriva il termine “risata”.

Ridere vuole dire manifestare una spontanea reazione di gioia, ilarità, allegria, modificando l’espressione facciale ed emettendo suoni caratteristici. Questa parola significa anche prendersi gioco di qualcuno in modo sarcastico, deridendolo. 

Ridere è quindi un comportamento umano che consente nel far fuoriuscire emozioni di vario genere e nel Medioevo  era spesso condannato. Veniva infatti considerato una deformazione del corpo, il modo più osceno di rompere il silenzio, un atto di superbia che non si addiceva all’umiltà cristiana. Questo avveniva perchè ridere significava  giudicare e in un’età dove non si poteva mettere in dubbio le regole e soprattutto le credenze religiose, giudicare non era ammesso. Dalla mentalità Greca secondo la quale l’uomo saggio doveva essere gioioso e curioso si passò a quella cristiana Medioevale, che vedeva la gioia come un elemento scurrile. Soltanto dal XII secolo si iniziò a valutare diversamente il riso, in modo tale da moderare un qualcosa che era impossibile proibire, poiché  insito negli uomini; vennero così distinte le risa lecite da quelle illecite. Non in tutti i luoghi però era ammesso ridere dal 1200, ad esempio nei monasteri persistette l’idea dello sghignazzo diabolico che giudicava e irrideva Dio, quindi che andava vietato.

Il perfetto uomo di chiesa era appunto definito “is qui luget”, ossia “colui che piange”. Piange per i suoi peccati, per le sfortune del mondo, per le sofferenze del Signore. Il pianto era perciò la preghiera più pura e sincera.

I documenti di chiesa del V secolo testimoniano la rigidità con cui si giudicava la risata, addirittura il suono che questa produceva, che spezzava il silenzio monastico e distraeva dalla preghiera. Nel VI secolo Benedetto giudicò il riso come un elemento che allontanava dalla umiltà che Dio imponeva. Vennero successivamente vietate le chiacchiere, gli spettegolezzi ed egli incitò i suoi fedeli ad accompagnare le preghiere con gemiti e lamenti, ed ecco che ritorna la figura dell’homo lugens. In un altro documento del sesto secolo, la “Regola del maestro”, si  dichiarò che il corpo umano era dotato di tre filtri: gli occhi, che dovevano chiudersi davanti a immagine impure, le orecchie, con cui non si poteva ascoltare i discorsi illeciti, e la bocca, che non doveva essere usata per pronunciare le chiacchiere e la lordura che l’uomo è in grado di produrre: la risata. Un altro esempio della rigidità della chiesa nei confronti dei comportamenti gioiosi dell’uomo lo offre il romanzo di Umberto Eco “Il nome della rosa”, in cui il monaco Jorge de Burgos è totalmente contrario al riso, in quanto capace di distruggere il principio di autorità del dogma e consente all’uomo di dare un giudizio di Dio, della chiesa… Lo definisce quindi un comportamento derivante dal diavolo e che soltanto le bestie, come le scimmie, possono permettersi di adottare. L’uomo infatti non è un qualsiasi animale, quindi una bestia, ma è L’Animale dotato di ragione e che ha il compito di preservare la sacralità dei dogmi e di ubbidire ciecamente alle regole di Dio.

Queste tre immagini, che mostrano il rapporto UOMO (ridente) – BESTIA – DIAVOLO, racchiudono la mentalità degli uomini cristiani del Medioevo.

Anche i tribunali dell’inquisizione, che utilizzavano il metodo di fare il solletico ai piedi dell’accusato con una piuma, analizzavano la risata per determinare se le persone giudicate praticavano le arti oscure. Si sapeva che le streghe, o più in generale tutti gli uomini che praticavano le arti del diavolo, ridevano così malvagiamente e così scompostamente che cominciavano a sputare schiuma dalla bocca.

Quindi gli uomini nel periodo Medioevale non ridevano per non lasciarsi andare alla sfrenatezza diabolica? In realtà no, si rideva eccome già prima del 1200. Il riso era anche una fonte di consolazione, delle situazioni comiche potevano ispirare serenità e commozione… 

Ne è un esempio la figura del giullare, ossia colui che si spostava di corte in corte esibendosi come cantastorie, come mimo, giocoliere, attore, comico e faceva divertire gli spettatori. Vi erano anche molti componimenti a carattere burlesco, come la poesie comico-realistiche. Sia i giullari che le poesie appena citate si svilupparono dal 1250 circa, ma certamente anche nei secoli addietro non mancavano le opere e le rappresentazioni comiche. Perfino Dante stesso considerava la risata in modo positivo, definendola uno stato d’animo che dipendeva da un’inclinazione dell’animo positivamente predisposto.

Chi portò una vera e propria “rivoluzione” fu San Francesco d’Assisi, che considerò la gioia e la giocondità un rimedio contro le tentazioni diaboliche. Egli riteneva beato il religioso che conduceva gli uomini all’amore di Dio mediante l’allegria e la letizia, ma solo nelle parole e nelle opere del Signore. Quindi il riso non era vietato dal santo, ma  orientato verso buone azioni; Francesco né condannò la risata né esaltò la felicità, a lui interessava ciò che c’era dietro a tali comportamenti. Quello che condannava era la frivolezza. La risata divenne una fonte di spiritualità a tal punto  che nel

convento di Oxford i giovani frati  si lasciavano andare  a crisi di pazze risate.  Molti altri però frati non adottarono il metodo innovativo del santo e continuarono a condannare la felicità; nonostante ciò alcuni ridevano e si permettevano di essere felici, andando però contro le regole del monastero. La maggior parte dei luoghi cristiani  non accettò  la “rivoluzione” del riso e promosse soltanto il pianto, la tristezza e il silenzio.

 


 

 

SITOGRAFIA

https://www.festivaldelmedioevo.it/portal/ilarita-e-riso-nel-medioevo/

https://www.arcidiocesibaribitonto.it/pubblicazioni/articoli-on-line/il-medioevo-e-lo-sghignazzo

https://www.unapennaspuntata.com/2015/05/01/homo-risibilis/

http://www2.atilf.fr/cilpr2013/programme/resumes/cbf5c949b19c2731415eead2876b8ddf.pdf

https://it.wikipedia.org/wiki/Giullare

 


ARTICOLO REDATTO DA CERRI MICHELLE DELLA CLASSE III A DEL LICEO CLASSICO