I cattolici avevano accompagnato l’avvento del fascismo al potere e la formazione di un nuovo regime con comportamenti diversificati. Se alcune personalità del PPI seguirono una linea, detta ”clerico-fascista”, di sostegno al nuovo regime, la maggioranza dei dirigenti popolari rimase su posizioni antifasciste o comunque scelse di non compromettersi con il regime. Negli ambienti dell’Azione Cattolica era diffusa, se non l’avversione, la diffidenza nei confronti del fascismo, che con le sue ambizioni totalitarie voleva assumere il monopolio dell’educazione delle giovani generazioni, tradizionalmente campo eletto di attività di congregazioni religiose e associazioni cattoliche. Nell’episcopato e nel clero non mancavano, però, coloro che mostravano favore nei confronti di Mussolini, a cui veniva riconosciuto il merito di avere opposto un baluardo al bolscevismo e di aver adottato parecchi provvedimenti legislativi, che erano andati incontro ad aspettative sentite nel mondo cattolico. D’altro canto ecclesiastici che individuavano nel fascismo un fenomeno estraneo e contrario al cristianesimo e che difendevano i diritti della Chiesa di fronte alle volontà egemoniche e alle violenze dei fascisti, facevano sentire le proprie voci negli ambienti ecclesiastici, nei circuiti della capillare stampa cattolica, a volte anche pubblicamente.
L’atteggiamento della Santa Sede, e quindi del papa Pio XI, il lombardo Achille Ratti eletto nel febbraio 1922 dopo la morte di Benedetto XV, fu prudente. La politica vaticana fu di seguire una linea di non opposizione al nuovo movimento politico e al regime che si andava formando. Era un atteggiamento che si iscriveva nella posizione tradizionale della Chiesa, che aveva come fine principale nelle sue relazioni con gli Stati di garantire la libertà della Chiesa e lo spazio per le sue attività. In particolare, in questo caso, anche in considerazione dei primi passi di politica ecclesiastica del governo Mussolini, l’obbiettivo primario per i vertici della Chiesa cattolica era quello di arrivare a una conciliazione con lo Stato italiano. La soluzione della cosiddetta questione romana, ereditata dal Risorgimento, era considerata una priorità: lo era per la collaborazione della Chiesa nella società italiana e lo era anche per l’esercizio del ministero del papa nei confronti della Chiesa universale. La Santa Sede, infatti, non era un’istituzione il cui orizzonte poteva essere ridotto solo alla dimensione italiana, per quanto fosse rilevante.
Il raggiungimento di una conciliazione della Chiesa rappresentava per Mussolini un obbiettivo di indubbio valore che avrebbe contribuito a legittimare il regime sia all’interno del paese che a livello internazionale, e avrebbe favorito il consenso nei confronti del fascismo nelle masse cattoliche. Dal gennaio 1923 erano iniziati incontri confidenziali tra i fiduciari italiani e vaticani, che coinvolsero lo stesso Mussolini e che diedero avvio a un processo negoziale, travagliato e non senza momenti di crisi, generati dalle violenze fasciste contro organizzazioni cattoliche. Le trattative si conclusero l’11 febbraio del 1929, quando a Roma nel palazzo del Laterano furono firmati da Mussolini e dal cardinale Piero Gasparri i Patti che posero fine alla questione romana e sugellarono la conciliazione tra lo Stato e la Chiesa. I patti avevano al loro interno tre atti:
- il trattato Lateranense: che chiudeva la questione romana;
- il concordato Lateranense: che dettava le regole del rapporto tra lo Stato fascista e la Chiesa italiana. Il governo italiano acconsentiva di rendere le sue leggi sul matrimonio e il divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica di Roma e di rendere il clero esente dal servizio militare. I Patti garantivano alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l’istituzione dell’insegnamento della religione cattolica, già presente dal 1923 e tuttora esistente seppure con modalità diverse.
- la Convenzione finanziaria: che stabiliva il risarcimento che il Regno d’Italia assicurava alla Santa Sede come riparazione alla perdita dello Stato pontificio e degli immobili ecclesiastici confiscati dallo Stato Italiano (leggi eversive 1866).
«Art. 1
L’Italia si obbliga a versare, allo scambio delle ratifiche del Trattato, alla Santa Sede la somma di lire italiane 750.000.000 (settecento cinquanta milioni [dell’epoca]) ed a consegnare contemporaneamente alla medesima tanto Consolidato italiano 5% al portatore (col cupone scadente al 30 giugno p.v.) del valore nominale di lire italiane 1.000.000.000 (un miliardo).» |
(Patti lateranensi, 11 febbraio 1929 – Segreteria di Stato, card. Pietro Gasparri) |
I Patti lateranensi furono un successo di grande portata per Mussolini e il regime. Papa Pio XI in un’udienza accordata il 13 febbraio ai professori e agli studenti della giovane Università Cattolica di Milano spiegò i motivi dell’accordo dicendo:- forse ci voleva un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale- le cui leggi, – i cui ordinamenti, anzi disordinamenti tanto sono più intangibili e venerandi tanto più brutti e deformi-.
«Le condizioni dunque della religione in Italia non si potevano regolare senza un previo accordo dei due poteri, previo accordo a cui si opponeva la condizione della Chiesa in Italia. Dunque per far luogo al Trattato dovevano risanarsi le condizioni, mentre per risanare le condizioni stesse occorreva il Concordato. E allora? La soluzione non era facile, ma dobbiamo ringraziare il Signore di avercela fatta vedere e di aver potuto farla vedere anche agli altri. La soluzione era di far camminare le due cose di pari passo.
E così, insieme al Trattato, si è studiato un Concordato propriamente detto e si è potuto rivedere e rimaneggiare e, fino ai limiti del possibile, riordinare e regolare tutta quella immensa farragine di leggi tutte direttamente o indirettamente contrarie ai diritti e alle prerogative della Chiesa, delle persone e delle cose della Chiesa; tutto un viluppo di cose, una massa veramente così vasta, così complicata, così difficile, da dare qualche volta addirittura le vertigini. E qualche volta siamo stati tentati di pensare, come lo diciamo con lieta confidenza a voi, sì buoni figliuoli, che forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue; come qualche volta abbiamo pensato che forse ci voleva pure un Papa bibliotecario, abituato ad andare in fondo alle ricerche storiche e documentarie, perché di libri e documenti, è evidente, si è dovuto consultarne molti. Dobbiamo dire che siamo stati anche dall’’altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi. E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l’incontro di molti e nobili assecondamenti, siamo riusciti « tamquam per medium profundam eundo » a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio.» |
(Pio XI, allocuzione Vogliamo anzitutto) |
In virtù dei Patti, il pontefice rinunciava a ogni ambizione temporale, accettando di limitare il suo potere alla sola Città del Vaticano. In compenso, la religione cattolica, apostolica, romana diventava religione di Stato. Le altre confessioni venivano semplicemente tollerate. La Chiesa vedeva riconosciuti i diritti civili del matrimonio religioso e incassava un’importante rendita finanziaria.
Tuttavia, se Mussolini con la mano destra firmava i Patti, con la sinistra isolava e perseguitava l’Azione cattolica e scioglieva gli scout. Prima del Concordato, Pio XI abbozzò perché non voleva far saltare una trattativa faticosa e riservata durata più di due anni. Più tardi, però, protestò contro la decisione del regime di occuparsi in esclusiva dell’educazione giovanile e non accettò mai l’alleanza di Mussolini con Hitler. Nel 1933 la Chiesa aveva firmato un concordato con la Germania nazista sulla libertà religiosa che Hitler aveva subito violato. Il 14 marzo 1937, nell’enciclica Mit brennender Sorge (Con viva ansia), papa Ratti dichiarò guerra al nazismo e, dopo l’approvazione delle leggi raziali del 1938, anche a Mussolini.
L’incostituzionalità di diverse disposizioni dei Patti lateranensi impose una revisione del concordato nel 1984. Le nuove norme avevano l’obiettivo della promozione dell’uomo e del bene del paese, ma nella laicità dello stato. Questo nuovo accordo portava numerose novità: si propose un concordato snello che richiese successivamente altre norme di attuazione: in particolare una che riguardava il tema degli enti ecclesiastici e del sostentamento del clero, quindi del finanziamento della Chiesa cattolica e poi esteso anche a tutte le altre confessioni religiose. Vengono garantite le principali forme di esercizio della Libertà religiosa e viene riconosciuto alla Chiesa cattolica un ruolo determinante all’interno della società. Nello stesso tempo la stipula di questo nuovo accordo permette l’attuazione dell’articolo 8 terzo comma della nostra Costituzione che consente la regolamentazione dei rapporti dello stato anche con le altre confessioni religiose.
«Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».
Negli anni che seguono il 1984, lo Stato Italiano stipulerà via via una serie di intese, poi approvate con legge, in questo momento sono dodici, che estenderanno anche alle principali confessioni religiose presenti all’interno del nostro territorio nazionale la gran parte di quelle guarentigie, di quelle libertà che sono alla base dell’ accordo di Villa Madama del 1984.
Quali sono dal punto di vista economico e finanziario i rapporti tra stato e Chiesa all’indomani della revisione del 1984?
La revisione prevedeva una norma specifica che deve regolare i rapporti finanziari tra Stato e Chiesa, oggi articolo sette, che costruito con un rinvio di una norma a dettaglio, che è stata posta in essere dopo i lavori di una commissione costituita appositamente e che ha generato la legge 222 del 1985, in questa norma vengono regolamentati la vita degli enti ecclesiastici e il finanziamento che la Chiesa Cattolica riceve attraverso l’otto per mille e le oblazioni volontarie da parte dei contribuenti italiani. E’ un sistema questo che è stato originariamente previsto perché potesse essere esteso anche alle altre confessioni religiose. Inoltre sono previsti una serie di esenzioni fiscali per lo svolgimento di attività di religione di culto, quali siano le attività di religione di culto e quali siano diverse dalle attività di religione di culto, lo afferma espressamente la legge 222.
«Art. 7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale
Legge del 20/05/1985 n. 222
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 129 del 03/06/1985
Disposizioni sugli Enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi. (N.D.R. “Il regolamento di esecuzione della L n. 222 del 20 maggio 1985 è stato approvato con D.P.R. 13 febbraio 1987 n. 33, recante “Approvazione del regolamento di esecuzione della L 20 maggio 1985 n. 222, recante disposizioni sugli Enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi.”)
Tuttavia quello che, per molti è l’inizio di una conciliazione tra Stato e Chiesa in Italia, ha avuto in realtà esiti semisconosciuti. E li ha ancora oggi, fin nelle alte sfere della finanza mondiale.
Per far luce su questa questione è necessario partire da un’inchiesta del Guardian. Tutto è partito da alcuni edifici nelle zone più in di Londra, come la sede dell’Altium Capital tra Pall Mall e St. James Square e la gioielleria Bulgari a Bond Street. I reporter del quotidiano britannico hanno scoperto, scontrandosi con il muro di gomma del Vaticano, che questi due immobili fanno capo proprio alla Santa Sede. Come anche altri a Coventry, a Parigi e in Svizzera.
Formalmente la proprietà è di una società offshore, la British Grolux Investment Ltd, che vede come azionisti due giganti della finanza inglese, entrambi cattolici: John Varley, amministratore delegato della Barclays Bank, e Robin Herbert, ex responsabile della banca d’affari Leopold Joseph. La società ha un patrimonio di circa 650 milioni di euro. I responsabili si sono chiusi nel silenzio, senza rilasciare indiscrezioni. Ma da ricerche d’archivio emerge che la società è nata dalla fusione di altre due, le cui azioni erano detenute da una compagnia svizzera: la Profima Sa, registrata presso la banca JP Morgan di New York. Viene fuori che la Profima era proprio una holding del Vaticano, come emergerebbe da documenti risalenti alla Seconda guerra mondiale. L’intelligence britannica, invischiata nel conflitto contro Hitler e Mussolini, accusava la Profima di “impegnarsi in attività contrarie agli interessi degli Alleati”.
L’allora ministro della Guerra criticava inoltre Bernardino Nogara, l’avvocato romano (nella foto in basso) che teneva le fila delle finanze papali. Nel 1945 dispacci dei servizi dal Vaticano a Ginevra parlavano di “attività losche” di Nogara. E per questo la Profima venne inserita nella blacklist finanziaria. Ma già nel 1943 sempre gli inglesi ritenevano che Nogara facesse del “lavoro sporco”: in pratica far accaparrare a Profima quote azionarie di banche italiane per riciclare denaro e far credere che così la banca fosse gestita dagli svizzeri, notoriamente neutrali durante il conflitto.
Da dove venivano i soldi della Profima che gestiva in maniera così disinvolta Nogara, proprio negli anni terribili della Seconda guerra mondiale? La questione è spinosissima, perché rivela gli intrecci profondi tra Santa Sede e regime fascista: si tratta di un capitale in contanti che oggi varrebbe ben 65 milioni di euro, elargito da Benito Mussolini al Vaticano nel 1929.
Fu proprio il fascismo, con questo denaro, a stabilizzare le finanze del Vaticano e a permetterne il rilancio, il consolidamento delle sue ricchezze e massicci investimenti. Grazie a questa liquidità ha potuto facilmente riconquistare nel giro di pochi decenni sconfinate proprietà immobiliari. Si stima infatti che la Chiesa detenga oggi circa il 20% del valore immobiliare in Italia e un quarto degli immobili di Roma.
Non è un caso che Nogara già nel 1931 avesse fondato una compagnia offshore in Lussemburgo, dal 1929 paradiso fiscale, per costruire il piccolo impero. Con la guerra la società venne poi spostata negli Usa e infine in Svizzera.
Secondo il Guardian, gli investimenti della famiglia Mussolini oggi sarebbero gestiti anche da Paolo Mennini, funzionario e banchiere del Vaticano. Che è proprio l’attuale delegato della sezione straordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), ovvero l’organismo che gestisce il patrimonio economico della Santa Sede. Il solo Mennini, secondo un report del Consiglio d’Europa, gestirebbe un asset di almeno 680 milioni di euro. Sarà un caso che l’attuale nunzio apostolico a Londra, chiusosi in un comprensibile riserbo, sia l’arcivescovo Antonio Mennini, fratello di Paolo?
Il miliardo e 750 milioni di lire, pagati parte in contanti e parte in titoli al portatore, furono utilizzati poi anche per far decollare l’Istituto Opere di Religione (non a caso istituto da Pio XII nel 1942) e per le speculazioni di Nogara.
Che cos’è lo IOR?
L’istituto per le opere di religione (acronimo IOR), comunemente conosciuto come ”banca vaticana” è un’istituzione finanziaria pubblica della Santa Sede. È spesso erroneamente considerato la banca centrale della Santa Sede, compito invece svolto dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA).
L’attuale presidente è il francese Jean-Baptiste de Franssu, il direttore generale è Gian Franco Mammì.
Secondo quanto stabilisce il suo statuto, modificato nel 2019, l’Istituto ha lo scopo di provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili e immobili ad esso trasferiti o affidati da persone fisiche o giuridiche e destinati a opere di religione e carità.
L’Istituto pertanto accetta beni con la destinazione, almeno parziale e futura, di cui al precedente comma. L’Istituto può accettare depositi di beni da parte di Enti e persone della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano.(Statuto 2019, art. II).
A Roma la Chiesa possiede il 25% degli immobili. Questo per esempio è il palazzo del Santo Uffizio, uno dei tanti palazzi gestiti dallo IOR, dove abitano tra i più importanti cardinali di Roma. All’interno vi è un appartamento di 409 metri quadri, che appartiene al cardinale sloveno Franc Rodé, un appartamento di 356 metri quadri appartenente al cardinale Kurth Koch e un appartamento di 445 metri quadri del cardinale De Paolis. Di notevole bellezza è l’appartamento di 524 metri quadri su vista San Pietro in via Conciliazione di William Joseph Nevada. Il patrimonio immobiliare della Chiesa ammonta a circa duemila miliardi di euro. Il solo vicariato romano possiede 191 beni e viene stimato circa 4 miliardi di euro. Il 22% degli immobili italiana è della Chiesa.
È possibile che queste rivelazioni riaprano il dibattito e riaccenda la questione dell’opportunità di una revisione del Concordato. Ma il problema non è semplice, non solo dal punto di vista politico, ma anche legale. Nel 1948, infatti, i Patti furono riconosciuti costituzionalmente nell’art. 7, con la conseguenza che lo Stato non può denunciarli unilateralmente, come nel caso di qualsiasi altro trattato internazionale, senza aver prima modificato la Costituzione. Qualsiasi modifica dei Patti deve inoltre avvenire di mutuo accordo tra lo Stato e la Santa Sede (in tal caso non sarebbe necessario un procedimento di revisione costituzionale). Non può essere proposto un referendum per l’abolizione o la modifica del Trattato, del Concordato o delle leggi collegate a essi perché non sono ammessi, nel nostro ordinamento, referendum riguardanti i trattati internazionali. Nulla vieta, però, che tale legge costituzionale sia proposta dal corpo elettorale, in quanto l’art. 71 della Costituzione, nel disciplinare l’iniziativa legislativa del popolo, non menziona alcuna restrizione riguardante l’una o l’altra fonte del diritto.
ARTICOLO DI CAMURATI ANTONIO MARCO DELLA CLASSE IV B DEL LICEO CLASSICO
Bibliografia:
Finocchiaro F., Diritto ecclesiastico, Bologna, Zanichelli,1996, 518 pp.
Caracciolo L., Roccucci A., Storia contemporanea, Dal mondo europeo al mondo senza centro, Lomazzo (CO), Le Monnier università, 2020, 754 pp.
Vespa B., Soli al comando, da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi, da Hitler a Grillo. Storia, amori, errori, Roma, Mondadori, 501 pp.
Vespa B., Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi: 1943, l’arresto del Duce, 2005, la sfida di Prodi, Milano, Mondadori, 828 pp.
Nuzzi G, Vaticano S.P.A., Da un archivio segreto la verità sugli scandali finanziari e politici della chiesa, Milano, chiareletture, 280 pp.
Sitografia:
https://www.youtube.com/watch?v=f7h2H4tXUOI
https://www.youtube.com/watch?v=Xsm3AcNkjH8
https://blog.uaar.it/2013/01/23/nero-vaticano-soldi-mussolini/
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