L’ 8 febbraio 1600 viene letta a Giordano Bruno, uno dei massimi esponenti del naturalismo e del neoplatonismo rinascimentale, la sentenza che lo condanna come eretico impenitente, pertinace e ostinato. Nove giorni dopo viene condotto a Campo de’ Fiori, a Roma, dove viene spogliato, legato a un palo e arso vivo, mentre tutti i suoi scritti vengono inseriti nell’Indice dei libri proibiti, un elenco emanato dalla Chiesa cattolica contenente libri vietati da leggere e possedere. Quali sono le ragioni per cui un frate domenicano è stato giudicato dalla Santa Inquisizione come il peggior nemico da abbattere?

Nel 1591 Giordano Bruno, dopo aver girovagato da esule in varie città europee, tra cui Oxford, Londra, Parigi e Ginevra, dove la sua filosofia aveva attecchito fra i suoi studenti (e già con una scomunica che gli grava sulla testa), rientra in Italia su invito di un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, entusiasta in particolare della mnemotecnica (o arte della memoria). Ben presto, però, il nobile sospetta che Bruno non voglia più condividere con lui la sua dottrina; il filosofo è infastidito, sgradisce il suo ospite e quest’ultimo si vendica di Bruno denunciandolo all’Inquisizione veneziana, la quale non lo condanna per eresia. Qualche tempo dopo, però, è il Tribunale romano che chiede di processarlo e, confermata l’accusa di eresia, il filosofo è costretto a trasferirsi nel carcere di Sant’ Uffizio. Mocenigo accusa Bruno di avere pensieri eretici sulla Trinità e di credere alla trasmigrazione dell’anima (che, al momento della morte, passa da un corpo a un altro finché non si libera dalla materia) e alla pluralità dei mondi infiniti ed eterni, mentre gli altri compagni di cella, tra cui Celestino da Verona, un frate cappuccino già nel mirino dell’Inquisizione (il quale pensava che, accusando Bruno, il Tribunale non lo avrebbe giustiziato), lo accusano di dichiarare il falso e di ridicolizzare i santi. Altri capi d’imputazione sono le ingiurie contro la Chiesa, che temeva un nuovo scisma dopo quelli di Lutero e Calvino, e il fatto che Bruno si considerasse mago, all’epoca inteso come sapiente in grado di agire sulla base della magia matematica o naturale (la futura scienza). A quel punto, Papa Clemente VIII ordina che vengano recuperati tutti i suoi scritti e, dopo un’affannosa ricerca durata otto anni, il teologo gesuita Roberto Bellarmino (fautore anche del processo a Galileo Galilei a causa della sua adesione alle teorie copernicane sul moto terrestre, che anche Bruno sosteneva) propone al filosofo di abiurare e ritrattare otto affermazioni ereticali presenti nelle sue opere: egli accetta e firma l’abiura, ma contemporaneamente invia un memoriale al Papa nel quale mette in discussione le sue ritrattazioni.

Di conseguenza, Bruno non sconfessa la sua ideologia e il pontefice comanda di porre fine al processo perché capisce che gli inquisitori non sarebbero riusciti a controllare il suo pensiero e la sua coscienza. L’8 febbraio 1600, al momento della lettura della sentenza, Bruno dichiara: “Forse, con maggiore timore pronunziate contro di me la sentenza di quanto non ne provi io nel riceverla”. Come paradosso, oggi la Chiesa cattolica non ne ha completamente riabilitato la figura, però molti dei suoi concetti coincidono con quelli del filosofo che tanto desideravano condannare anzitempo, un uomo che ha anticipato il pensiero scientifico del Seicento e quello filosofico di 400 anni, un uomo vissuto nell’epoca sbagliata per affermare le sue idee.


Sitografia

http://www.internetculturale.it/it/184/giordano-bruno-1548-1600-il-processo-romano-e-la-condanna-a-morte

http://youtube.com/watch?v=ttrqqxfcOYI


ARTICOLO DI DIDIONI EDOARDO  DELLA CLASSE IV D LICEO LINGUISTICO