ERASMO DA ROTTERDAM

Erasmo da Rotterdam, (Rotterdam, 27 ottobre 1467 – Basilea, 12 luglio 1536), considerato il maggiore esponente del movimento dell’Umanesimo cristiano, fu un teologo, umanista, filosofo e saggista olandese, conosciuto nei suoi scritti con lo pseudonimo di Desiderius Erasmus. La sua opera più conosciuta è l’Elogio della follia.

Nella sua formazione venne influenzato dal movimento religioso, diffuso nei Paesi Bassi, della Devotio moderna (Devozione moderna), movimento che gli fece assumere come modello di vita quotidiana la vita di Cristo e lo portò a sostenere la lettura personale della Bibbia.

L’Elogio della Follia

L’Elogio della Follia (o meglio Moriae encomium) è un saggio e satira allegorica scritta in latino da Erasmo da Rotterdam nel 1509 sugli errori della filosofia scolastica e il malcostume ecclesiastico. Erasmo, pur condividendo la riforma luterana, si oppose alla rottura con la Chiesa di Roma. Questo libro preparò l’Europa alla rivoluzione morale e religiosa avvenuta per via della Riforma protestante.

Opera pubblicata per la prima volta nel 1511 a Parigi, ebbe poi una seconda edizione aumentata nel 1514 e, infine, nel 1515, per l’editore Froben, venne pubblicata la versione definitiva con un commento dell’umanista olandese Gerard Listrius scritto in parte dallo stesso Erasmo.

L’opera fu redatta e completata in prima stesura nel giro di una settimana, mentre Erasmo soggiornava in Inghilterra, a Bucklersbury, nella residenza di Tommaso Moro. Erasmo dedica quest’opera proprio al suo amico Tommaso Moro e gioca sul doppio significato del titolo Moriae encomium, tradotto anche come “Elogio di Moro“, in greco, “morìa” (pazzia), ha lo stesso suono del cognome di Tommaso. Infatti, il 9 giugno 1508, Erasmo scrive a Moro una lettera come dedica prefazione che procede l’opera per spiegare all’amico i motivi della stesura di questa satira. Nella dedica a quest’ultimo, Erasmo da Rotterdam sottolinea il carattere satirico del saggio, nato durante un periodo di malattia e riposo forzato, volto a suscitare il riso degli amici. L’opera non era destinata alla pubblicazione e lo stesso Erasmo rimase sbalordito dal successo ottenuto. Il libro fu subito ristampato più volte e tradotto in francese e tedesco. Dopo la morte di Erasmo ne seguì perfino un’edizione in inglese.

LINGUAGGIO E TONO DELL’OPERA

La satira venne scritta da Erasmo con tono scherzoso; infatti l’autore rivolge grosse critiche non solo a retori, alchimisti o giocatori d’azzardo, ma anche a persone importanti come principi, nobili e, soprattutto, ecclesiastici. Il linguaggio utilizzato dall’umanista è però tipico di un intellettuale.

CONTESTO SOCIALE E CULTURALE (‘500)

Influenza ed ispirazione

Erasmo da Rotterdam visse in un periodo a cavallo fra Umanesimo e Rinascimento, in un’epoca caratterizzata da numerose rivoluzioni su diversi ambiti, per esempio nasce poco dopo l’invenzione della stampa (1455), ha una ventina d’anni nella data della scoperta dell’America (1492) ed è testimone di un periodo di grande frammentazione cristiana. Tutti questi elementi sono alla base del suo pensiero umanista che si riflette nell’Elogio della Follia, ispirato, secondo Alberto Viviani, Giannino Fabbri e Giovanni Papini, dal lavoro di un umanista italiano, il De triumpho stultitiae di Faustino Perisauli, opera pubblicata a Rimini da Girolamo Soncino nel 1524.

La religione

Il Moriae encomium fu scritto al ritorno di un deludente viaggio da Roma dove l’autore aveva rifiutato di essere promosso gerarchicamente nella curia papale. Nel saggio l’autore cita più volte le indulgenze della Chiesa con tono negativo, trovandosi, in questo, d’accordo con Martin Lutero. Erasmo non condivide però la posizione del riformista tedesco e scrive, sempre con tono satireggiante, il De libero arbitrio, a cui Lutero risponde un anno dopo con il trattato De servo arbitrio (1525). La posizione di Erasmo, umanista cristiano desideroso di ricavare il significato originale dai testi sacri, è sottolineata nella critica agli ordini mendicanti. L’autore satireggia sulla ricerca da parte di questi della povertà apostolica senza sottostare ai veri valori cristiani, soprattutto quello della carità.

Rinascimento e Classicità

Il ‘500, e tutto il periodo rinascimentale, è caratterizzato dalla riscoperta della classicità greca e romana. Vengono scritte numerose traduzioni di testi antichi in latino. Erasmo, insieme a Tommaso Moro, aveva tradotto lavori di Luciano di Samosata, famoso satirico greco ed altre opere. Nell’Elogio della Follia si ritrovano diverse allusioni ad importanti scrittori latini, quali Virgilio e Seneca, e di filosofi greci, il più citato è Platone con il suo mito della caverna. Il richiamo alla filosofia è però usato a favore dell’insipienza e ottusità, ovvero della follia: «Che differenza pensate vi sia fra coloro che nella caverna di Platone contemplano le ombre e le immagini delle varie cose, senza desideri, paghi della propria condizione, e il sapiente che, uscito dalla caverna, vede le cose vere?».

La donna secondo Erasmo

La donna ha sempre avuto un ruolo di secondo piano in passato, le sue mansioni erano quelle di procreare e governare la casa. Nel Rinascimento si compiono notevoli passi avanti verso la cultura ma la posizione della donna rimane comunque confinata all’ambiente domestico. I casi di donne importanti e regine sono rari e creano scandalo. La nascita di una figlia creava sempre una certa preoccupazione in confronto alla gioia di un figlio. Erasmo nomina più volte la donna con senso positivo ma satireggiante paragonandola a un animale: la donna è felice in quanto folle, è un «animale, sì stolto e sciocco, ma deliziosamente spassoso». «E, se per caso una donna volesse passare per saggia, ottiene solo di essere due volte folle». Solo grazie alla follia è possibile procreare, secondo Erasmo, chi può pensare di sposarsi e convivere tutta la vita con una donna è un pazzo spinto dal desiderio sessuale, un istinto irrazionale. Erasmo esprime nell’Elogio della Follia quindi chiaramente la misoginia dell’epoca, vale a dire l’atteggiamento di avversione e repulsione nei confronti della donna.

INFLUENZE E SUCCESSO CHE EBBE IL LIBRO

Questo libro influenzò l’insegnamento della retorica durante la fine del XVI secolo e l’arte della dossografia, o elogio di soggetti senza valore, divenne inoltre un esercizio popolare nelle scuole di Grammatica elisabettiane. L’opera ebbe un grande successo: vivente Erasmo, conobbe 36 edizioni, numerose traduzioni e imitazioni.

TRAMA DELL’OPERA

Il saggio inizia con un elogio e personificazione da parte della Follia, che parla in prima persona di se stessa davanti a un pubblico molto divertito. Erasmo mantiene nel discorso un’ambiguità facendo apparire le sue affermazioni folli ma anche rivelatrici attraverso un’apparenza scherzosa di una seria verità. La Follia tiene un discorso ai propri fedeli, dove afferma che nulla di buono deriva da lei, partendo da questo principio serio e paradossale, descrive e smaschera i diversi tipi umani: dalle alte sfere della politica e della Chiesa alle superstizioni e alle passioni del volgo.

Essa prende poi le distanze dai “mortali”, lasciando quindi intendere la sua natura divina: si proclama figlia di Pluto, dio della Ricchezza, e della ninfa Neotete, la Giovinezza, dice inoltre di essere stata allevata dall’Ignoranza e dall’Ubriachezza. I suoi più fedeli compagni sono Philautia (Vanità), Kolakia (Adulazione), Lethe (Dimenticanza), Misoponia (Accidia), Hedonè (Piacere), Anoia (Demenza), Tryphe (Licenziosità), Komos (Intemperanza) ed Eegretos Hypnos (Sonno Mortale).

La Morìa si descrive come portatrice di allegria e spensieratezza, giustifica l’autoelogio con la sua natura schietta, che si rivela anche nel linguaggio diretto. Nel saggio si riportano numerosi esempi e citazioni a favore della grandezza della Pazzia e della sua utilità per la felicità dell’essere umano fin dall’atto della nascita, la quale non potrebbe avvenire senza la sua presenza, e ci accompagna durante tutta la vita, aiutandoci nelle relazioni interpersonali e nell’autocompiacimento fino alla vecchiaia. Tutti gli esseri umani, anziché curare gli aspetti spirituali e interiori dell’individuo, con i loro comportamenti, inseguono follemente ciò che è terreno e destinato a finire: gloria, potere, ricchezza, lusso e successo.

L’ultima parte dell’opera si concentra sulla realizzazione di un esame critico degli abusi della dottrina cattolica e di alcune pratiche corrotte della Chiesa cattolica romana, alla quale Erasmo era stato sempre fedele. La posizione critica si estende però solo ai religiosi e mai a Dio, che è l’unico essere perfetto e, nella sua perfezione, ha anche un pizzico di follia.

La Follia conclude il suo elogio invitando gli ascoltatori stessi a scordare l’orazione, spronandoli ad applaudire, vivere e bere.

IL RUOLO DELLA FOLLIA NELL’OPERA

Erasmo scrive che l’incanto dell’infanzia è dovuto a quella sua «follia pazzerellona», il piacere della gioventù che porta alla mancanza di giudizio e alla noiosa acquisizione di buon senso durante l’età matura che spesso porta poi al rimbambimento della vecchiaia, infatti la Follia dice: «il vecchio va in delirio, e questo è dono mio, ma intanto questo mio vecchio delirante è libero da quei miserevoli affanni che torturano il saggio». Un po’ di follia dà sapore alla vita e permette di sopportarci a vicenda.

La follia produce le guerre affidate, non a caso, a «parassiti, ruffiani, briganti, sicari, contadini, imbecilli, indebitati e simile feccia umana», sicuramente non ai filosofi e ai sapienti che, se mettono mano agli affari di Stato, combinano solo danni.

Per governare occorre ingannare e lusingare il popolo per acquisirne il favore, occorre essere spinto da quella follia che è la stima di sé stesso e la ricerca della fama e gloria che fa abbandonare ogni timidezza conducendoci all’azione. L’uomo veramente prudente non deve «aspirare a una saggezza superiore alla propria sorte, ma fare buon viso all’andazzo generale e partecipare alle debolezze umane. Si dirà che questa è follia. Non lo negherò, purché si conceda che tale è la vita, la commedia della vita che stiamo recitando».

Erasmo accenna poi alle follie dei cacciatori, gli alchimisti e i giocatori d’azzardo che sprecano tempo e denaro mentre, al contrario, coloro che divulgano «miracoli e favolette di prodigi» hanno lo scopo di «cavar quattrini, come usano principalmente preti e predicatori popolari». Racconta poi dei superstiziosi che attribuiscono a ciascun santo una particolare virtù protettrice, inoltre, queste credenze sono alimentate dai sacerdoti, i quali «sanno che questa è una piccola fonte di guadagno che non finisce mai».

Un’ulteriore follia è quella dei nobili, che si vantano dei loro antenati, benché esercitino «la più ignobile delle professioni e nella maniera più ignobile» considerandosi i importanti del mondo «sempre affamati, sempre ripugnanti», che «marciscono nel fetore e nella sozzura».

I poeti credono di acquistare fama immortale, ma non fanno altro che «accarezzare le orecchie di qualunque babbeo con ciance e favolette da ridere», ci sono poi gli grandi scrittori che, mai soddisfatti dell’opera loro, perdono la salute e la vista senza ricevere in cambio un compenso, mentre gli altri sanno che, più scriveranno sciocchezze, maggior successo avranno, godendo di una fama usurpata. Con questa satira Erasmo giunge a burlarsi di se stesso, rivelando però come sia difficile prendere completamente sul serio la sua Follia.

Tra gli studiosi, i giuristi formano migliaia di leggi, «poco importa se a proposito o a sproposito», e poi ammucchiano cose su cose per rendere più difficili gli studi legali. I retori e i sofisti battagliano su questioni superflue e si vanno contro per qualsiasi argomento. I filosofi, benché non sappiano nulla, fanno professione di sapere tutto e «van gridando dovunque che essi vedono le idee, gli universali, le forme separate, la materia prima, le quiddità e le ecceità».

Una Follia molto discussa da Erasmo è quella dei teologi ed ecclesiastici. Nella sua satira non sono i teologi in quanto tali, ai quali lui stesso apparteneva, ad essere presi in considerazione ma bensì i theologiae histriones («istrioni della teologia»), loro sono una «razza straordinariamente boriosa e irritabile», si credono grandi filosofi e si occupano delle questioni più assurde, come per esempio: «Iddio Padre odia il Figlio? Avrebbe potuto Dio prender forma di donna, o del diavolo, d’un asino, d’una zucca, d’una pietra? E in tal caso, come avrebbe una zucca parlato al popolo e fatto miracoli?» formulando poi sentenze morali paradossali. Questi teologi metterebbero in difficoltà san Paolo e tutti gli apostoli se disputassero con loro, ma guai a non essere d’accordo con loro. Erasmo, contrappone loro, i teologi che ritiene autenticamente autorevoli.

Per quanto riguarda i monaci (solitari), Erasmo dice che, buona parte di essi, non hanno niente a che fare con la religione e non sono solitari, visto che «non c’è luogo dove non te li trovi tra i piedi». Quando non si trovano in chiesa, disturbano per le strade elemosinando con grande fracasso, essi credono di guadagnarsi la vita eterna osservando certe «cerimonie e tradizioncelle umane» senza sapere che Cristo terrà conto anche a loro del comandamento della carità. Erasmo giudica persino la loro predica: «c’è da giurare che siano stati a scuola da ciarlatani di piazza, senza per altro riuscire a raggiungerli».

Vescovi e cardinali, considerati gli eredi degli apostoli, si danno alla bella vita e, i papi, vale a dire i vicari di Cristo, vivono «mollemente e senza pensieri». I primi cristiani rinunciavano a tutti i loro beni per seguire Gesù, per il cosiddetto patrimonio di san Pietro mentre, i papi «si battono con il ferro e il fuoco, non senza effusione di molto sangue cristiano», e sono loro «a lasciare sparire nel silenzio Cristo, a incatenarlo trafficando con le loro leggi, a corromperlo con interpretazioni sforzate, a sgozzarlo con la loro vita pestifera».

IL RUOLO DELLA TEOLOGIA NELL’OPERA

L’ultima parte dell’Elogio della follia acquista un’aria più seria e teologica, attraverso l’esaltazione della fede cristiana che, contro la ragione, accetta elementi impossibili da dimostrare razionalmente: un uomo che è Dio, che muore sulla croce e resuscita dai morti. Erasmo fa dire alla Follia che occorre mostrarsi sciocco e stolto per diventare sapiente e che, a Dio, sono cari gli uomini senza senno, «la religione cristiana ha una specie di parentela con la pazzia», perché chi ha seguito la pietà cristiana ha offerto i propri beni, trascurato le offese, tollerato gli inganni, considerato amici i nemici, evitato i piaceri e desiderato la morte: sono diventati «assolutamente ottusi a ogni senso comune, come se il loro animo vivesse altrove, non dentro il corpo. E questa che cos’è, se non pazzia?».

La saggezza umana è follia agli occhi di Dio e viceversa, già Platone, attraverso il mito della caverna, aveva mostrato i due piani della conoscenza: quello dei prigionieri legati che osservano le ombre della realtà, scambiandole per realtà autentica, e quello del prigioniero che si libera, esce dalla caverna e torna a riferire ai suoi compagni delle cose viste nella vera realtà. Quest’ultimo, «ormai sapiente, compiange e deplora la loro pazzia, posseduti come sono da così grande illusione; gli altri invece ridono di lui come di un matto che sragiona».


ARTICOLO DI GIADA LINGUA DELLA CLASSE IV D DEL LICEO LINGUISTICO


 

SITOGRAFIA

https://it.wikipedia.org/wiki/Erasmo_da_Rotterdam 

https://www.liberliber.it/online/autori/autori-e/desiderius-erasmus-erasmo-da-rotterdam/elogio-della-follia/ 

https://it.wikipedia.org/wiki/Elogio_della_follia 

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/classici/narrativa-classica/elogio-della-follia-erasmo-da-rotterdam-9788806222413/ 

http://www.storiologia.it/erasmo/erasmo01.htm