“Utopia” è un’opera di Thomas More (italianizzato in Tommaso Moro) realizzata nel 1516; in essa More delinea il suo ideale politico descrivendo un’isola immaginaria situata nell’oceano Atlantico. Moro racconta di non aver visitato personalmente l’isola, ma venne esplorata da Raffaele Itlodeo durante un suo viaggio con Amerigo Vespucci.
Thomas More conia il termine utopia e lo utilizza per la sua opera poiché ha due significati: non luogo e il miglior luogo. L’isola rappresenta, perciò, lo stato ideale secondo l’autore, ma è un luogo immaginario.
Il libro è diviso in tre parti, la prima è una lettera indirizzata a un amico di More, Pietro Gilles. Nella lettera lo scrittore chiede a Gilles se ciò che ha scritto nel libro, riguardante il viaggio di Itlodeo, è corretto, poiché Raffaele aveva raccontato a loro due la sua avventura.
Nella seconda parte avviene un dialogo tra i tre mentre si trovano ad una festa; si appartano per discutere dell’isola e della monarchia inglese dell’epoca. Thomas More dice a Raffaele che potrebbe diventare il consigliere del re, avendo visto un mondo senza povertà, senza guerre, senza delinquenza e con poche differenze sociali. Ma Itlodeo contesta affermando che sarebbe alquanto difficile, poiché il mondo reale è molto diverso da Utopia. Iniziano quindi a parlare della situazione politica in Inghilterra, descrivendo la maggior parte dei nobili come persone oziose e parassitarie. Passano poi a parlare delle differenze sociali troppo marcate, accusando lo Stato di non aiutare le persone più povere e che si trovano in difficoltà.
Nella terza parte inizia la descrizione dell’isola da parte di Raffaele. Itlodeo racconta che nell’isola scorre un fiume, Anidro, mentre la capitale Amauruto e l’isola sono governate dal principe Ademo. Moro utilizza
questi nome, che sono giochi linguistici, per evidenziare che l’isola non esiste, poiché Anidro significa senza acqua, Amauruto significa evanescente e Ademo senza popolo.
Gli abitanti dell’isola, sono pacifisti e per loro non esiste la proprietà privata, difatti possiedono molti metalli preziosi che però disprezzano. Essendo pacifisti, non prendo parte a nessun tipo di scontro, ma utilizzano i metalli per pagare dei mercenari e farli combattere al loro posto. Questo è uno dei problemi riguardanti l’isola: sono davvero pacifisti se commissionano dei combattimenti ad altre persone?
Un altro problema che affligge l’isola è la corruttibilità dei controllori. Tutti gli abitanti devono lavorare per sei ore, il resto del tempo possono dedicarsi allo studio e alla socializzazione, tuttavia mentre lavorano vengono controllati dai sifogranti. Moro parla quindi di uno stato totalitario, in cui i magistrati hanno un controllo totale sulla vita dei cittadini. I sifogranti, però, non vengono controllati da nessuno, per questo sono facilmente corruttibili.
I magistrati vengono eletti dalle 54 città federate dell’isola e hanno una carica annuale. Thomas More stabilisce questa durata di tempo per fare in modo che tutti gli abitanti possano svolgere il ruolo dei magistrati, in modo tale da diminuire le differenze tra le diverse classi sociali. Per questo motivo Moro stabilisce anche la rotazione dei mestieri, evitando che qualcuno faccia dei lavori usuranti per troppo tempo.
Per quanto riguarda la religione, i cittadini sono tolleranti verso qualunque tipo di culto, ma non accettano gli atei. Questo perché gli atei non possono giurare su nulla, a differenza, ad esempio, dei cristiani o dei musulmani che giurano rispettivamente sulla Bibbia e sul Corano. Inoltre, gli atei non sono accettati anche perché non hanno timore di nessuna divinità, quindi possono essere immorali e non rispettare gli altri.
Thomas More, inoltre, è contrario alla pena di morte; chi commette dei reati sull’isola diventa uno schiavo, svolge dei lavori di pubblica utilità per un determinato periodo di tempo e può poi tornare alla sua vita normale. Gli schiavi, dunque, non sono prigionieri di guerra, ma persone che hanno violato la legge e che pagano la pena alla comunità, lavorando per la società.
“[La pena di morte] per punire il furto è troppo crudele, ma è insufficiente a porvi freno. Né poi un semplice furto è sì gran delitto, che si debba colpir nel corpo, né esiste pena tanto grande che impedisca di rubare chi non ha altro mezzo per cercarsi da mangiare. In questa faccenda mi pare che non solo noi, ma buona parte del mondo facciamo come quei cattivi maestri, che preferiscono picchiare i ragazzi anziché istruirli. Si stabiliscono infatti, per chi ruba, pene gravi, pene terribili, mentre meglio era provvedere a qualche mezzo di sussistenza, acciocché nessuno si trovasse nella spietata necessità, prima di rubare, e poi di andare a morte.”
-“Utopia”, Thomas More
La conclusione dell’opera riprende la critica alla proprietà privata portata avanti da Itlodeo. Utopia viene descritta come una repubblica ideale perfetta, poiché, non esistendo i domini privati, i cittadini pensano al bene comune; mentre negli altri paesi ognuno si cura solamente dei propri interessi privati. La proprietà privata porta come conseguenza l’avidità; ciò che non funziona negli altri paesi è l’arricchimento di pochi, oziosi, nobili che non svolgono alcun tipo di mestiere. L’ingiustizia consiste nel fatto che lo stato premia chi vive nell’ozio e nel lusso, anziché chi lavora per il benessere della società.
Sitografia:
http://www.filosofico.net/tmoro.htm
https://www.youtube.com/watch?v=MVq1OEp1_bQ
https://it.wikipedia.org/wiki/L%27Utopia#Rapporti_sociali
ARTICOLO DI LETIZIA RIVOLI DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO
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