IL PRINCIPE- MACHIAVELLI                                                                                                                                               L’AUTORE

                                                                                                                                                             Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469,figlio di un notaio che gli lasciò un patrimonio sufficiente a vivere modestamente di rendita. Dovette ricevere un’ottima educazione umanistica, perché ebbe un’ottima conoscenza dei classici latini, mentre non imparò il greco. Entrato al servizio della Repubblica fiorentina quando si chiudeva l’esperienza di Savonarola, come segretario di cancelleria, vi svolge un ruolo sempre più importante. Nel 1512 il ritorno dei Medici, costò caro a Machiavelli: come personaggio implicato nel regime precedente fu escluso da ogni incarico e confinato nel suo podere per un certo tempo; nel 1513 subì anche un periodo di carcerazione e fu sottoposto a tortura  perché sospettato di complicità in una  congiura antimedicea. É proprio in questo periodo che scrive le sue opere più importanti: “Il Principe” e ” I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” ultimati solo nel 1517. Il primo in ordine di tempo è il Principe( De Principatibus), il trattato a cui è dovuta la sua fama universale, composto di slancio in pochi mesi nel 1513 e dedicato a Lorenzo de’ Medici, il nipote del Magnifico, nel momento in cui stava per diventare duca di Urbino.  

 L’OPERA                                                                                                                                                                                      Il Principe è un trattato storico-politico di Niccolò Machiavelli , composto nel corso del 1513 durante il soggiorno forzato dell’autore all’Albergaccio (il suo podere agricolo presso S. Casciano) dove era stato confinato in seguito al fallito colpo di stato contro i Medici . È lo stesso Machiavelli a dar conto della composizione dell’opera nella lettera a Francesco Vettori del 10 dic. 1513, in cui dichiara di aver scritto un “opuscolo” intitolato De principatibus, confidando all’amico di voler dimostrare attraverso questo piccolo libro tutta la sua esperienza politica e sperare, in tal modo, di essere riammesso al servizio dei Medici. L’opera è infatti dedicata a Lorenzo de’ Medici cui è indirizzata una lettera dedicatoria (inizialmente l’autore pensava di rivolgersi a Giuliano, poi morto prematuramente) e si conclude con un’appassionata esortazione alla signoria affinché si metta alla testa di un non meglio precisato moto di riscossa nazionale, che scacci lo straniero dall’Italia e riunifichi politicamente la Penisola sotto il proprio dominio. Il testo rientra nel genere del trattato in prosa quale si era delineato nel Cinquecento rifacendosi ai modelli classici, soprattutto latini (Cicerone in primis) ed è suddiviso in 26 capitoli piuttosto snelli, strutturati secondo un preciso schema: i primi undici sono dedicati al tema annunciato dall’autore nella lettera a Vettori: “che cosa è principato, di quali spetie sono, come è si acquistano, come è si mantengono, perché è si perdono”; l’attenzione si concentra sull’acquisto e il mantenimento di una signoria nuova senza radici dinastiche. Segue  il tema delle milizie (XII-XIV), elenca le qualità del principe (XV-XXIII), affronta il tema della fortuna e della virtù (XXIV-XXV) e infine rivolge la sua esortazione ai Medici (XXVI). Il testo vuol essere una sorta di insegnamento ai sovrani e ai potenti sul modo migliore di gestire e mantenere il potere su uno Stato, frutto della passata esperienza politica dell’autore e delle sue conoscenze teoriche, e tale insegnamento prescinde totalmente da qualunque scrupolo morale e religioso, per cui si può affermare che il trattato getti le basi della teoria politica moderna. Il testo ebbe enorme risonanza in Italia e in Europa e attirò numerose critiche contro il suo autore, presto accusato di immoralità e di cinismo politico (il cosiddetto “machiavellismo”), mentre nel clima della Controriforma l’opera venne posta all’Indice dalla Chiesa e in seguito sottoposta a un intenso lavorio interpretativo, che non di rado ne ha snaturato profondamente il senso originario (tale atteggiamento si manifestò soprattutto tra XVI e XVII sec., perdurando sino al Settecento). 

  LINGUA E FORMA

Contrariamente a quanto di solito avveniva nella trattatistica volgare del Rinascimento, Machiavelli nel Principe non usa la forma dialogica, bensì sceglie una struttura snella e decisamente moderna, con una dissertazione che l’autore rivolge direttamente al lettore in un libro di relativa brevità, non a caso da lui definito “opuscolo. Nell’opera Machiavelli trasmette tutto il suo sapere politico e la competenza accumulata negli anni trascorsi al servizio della Repubblica, dono prezioso che egli fa ai Medici come chiarisce nella lettera dedicatoria, e fa continui esempi per chiarire il suo pensiero e fornire modelli di comportamento, che lui sceglie sia dal mondo antico sia da quello contemporaneo (complessivamente questi ultimi sono più numerosi). Il procedimento seguito dell’autore è estremamente rigoroso e logico ed è stato definito di tipo “dicotomico”, in quanto Machiavelli spesso indica una alternativa perentoria tra due situazioni o due classificazioni e si concentra su una sola di esse, come fa del resto nel cap. iniziale che funge da introduzione: i governi politici possono essere repubbliche(se guidate da più uomini) o principati (se guidati da uno solo), questi ultimi si dividono in principati ereditari e nuovi, questi a loro volta possono essere tutti nuovi o nuovi in parte, e così via  . Lo stile e la lingua usati sono coerenti con l’essenzialità della forma, in quanto l’autore ricorre al fiorentino contemporaneo (scelta che osserva in tutte le sue opere) e scrive in uno stile spezzato, poco curato nella forma, povero di artifici o sottigliezze letterarie, cosa della quale si scusa nella lettera dedicatoria affermando che, in realtà, in un testo di questo genere deve prevalere il contenuto e non gli “orpelli” retorici. Il periodare è dunque piuttosto semplice e frequente è l’uso della paratassi (coordinazione), mentre non mancano anacoluti e termini del linguaggio cancelleresco con cui l’autore aveva familiarità, che qualificano l’opera come specialisticae rivolta a un pubblico selezionato di “addetti ai lavori”, in grado di apprezzare il contenuto senza badare all’eleganza della forma letteraria. L’atteggiamento di Machiavelli è perciò alquanto distaccato e oggettivo, come si converrebbe a una moderna trattazione “scientifica”, anche se in alcuni momenti (ad esempio il cap. VII in cui parla del Valentino, da lui personalmente conosciuto, o nel XXVI in cui esorta i Medici alla riunificazione d’Italia; si lascia andare a considerazioni personali e traspare la passione dell’uomo politico costretto a stare lontano dal governo, che smania di poter ottenere un nuovo incarico per dimostrare la sua bravura.

ESEMPI DI PRASSI POLITICA: ANTICHI E MODERNI

Machiavelli argomenta i suoi “consigli” al principe con una  serie di esempi storici tratti sia dal mondo antico sia da quello moderno, secondo la suddivisione programmatica già esposta nella lettera dedicatoria a Lorenzo de’ Medici in cui dichiara che la sua conoscenza dell’arte politica deriva da “una lunga esperienzia delle cose moderne e una continua lezione delle antique”: l’autore si basa essenzialmente sulla lettura dei trattati latini di storiografia (anzitutto l’opera di Tito Livio) e da altre fonti antiche per gli esempi del passato, che rivelano un approccio libresco e non sempre sorretto da una reale competenza storica, mentre gli esempi moderni sono legati alla sua esperienza di uomo politico negli anni del servizio alla Repubblica come segretario di Pier Soderini, quando egli incontrò di persona alcuni dei personaggi citati nel trattato (specialmente Cesare Borgia, cui è dedicato ampio spazio).                                                      L’autore ricorre ai modelli antichi soprattutto nei capitoli. II-XI del trattato, in cui descrive le varie forme di principato, e gli esempi citati (quasi sempre in modo positivo) sono quelli dei Romani e del loro modo di governare le province assoggettate, così come quello di Filippo II di Macedonia e di suo figlio Alessandro Magno; nel capitolo VI vengono poi proposti a sostegno del ragionamento alcuni “grandissimi esempli” di condottieri del passato, vale a dire Mosè, Ciro II di Persia, Teseo e Romolo, accomunati dal fatto che riuscirono a creare dal nulla uno Stato potente basandosi sulla virtù e le armi proprie, al contrario di Cesare Borgia che vi riuscì in età moderna grazie alla fortuna e all’appoggio del padre (a lui è dedicato quasi tutto il capitolo. seguente, il VII. Al di là dei singoli personaggi citati, comunque, l’autore propone soprattutto come modello vincente quello politico-militare dell’antica Repubblica di Roma, più volte evocato nei primi capitoli del trattato ed esplicitamente lodato come buon esempio di amministrazione dei territori conquistati, nell’ottica di un brutale imperialismo.                                                                                                                         D’altro canto per quanto riguarda il mondo moderno, Machiavelli include come esempi  alcuni pontefici, da lui equiparati di fatto a sovrani in quanto capi politici dello Stato della Chiesa, e nel capitolo XI vengono analizzati proprio i “principati ecclesiastici” esaltando la figura di papa Alessandro VI Borgia , abile secondo l’autore a rafforzare la potenza della Chiesa di Roma nel tentativo di favorire le mire del figlio naturale Cesare, il duca Valentino cui è dedicato quasi tutto il capitolo VII. Nello stesso capitolo  la parabola del duca Valentino si intreccia in modo inscindibile a quella del padre Alessandro, che lo sostenne durante tutta la sua ascesa e fu in gran parte artefice della sua affermazione come capo di un nuovo stato nelle Romagne, anche se la morte improvvisa del papa nel 1503  causò la successiva rovina di Cesare, che non riuscì a evitare l’elezione al pontificato di Giulio II della Rovere, nemico giurato dei Borgia. Papa Alessandro VI viene citato da Machiavelli anche nel capitolo. XVIII, in cui è proposto come esempio positivo di “sovrano” che trovò sempre il modo di ingannare gli uomini, non rispettando gli accordi presi in precedenza, aspetto che lo accomuna a re Ferdinando il Cattolico, citato indirettamente come personaggio che parla in un modo e agisce in un altro. Significativo per l’autore anche l’esempio di papa Giulio II, che ereditò da Alessandro VI uno Stato della Chiesa saldo e rafforzato e seppe svilupparlo ulteriormente, con nuove conquiste territoriali all’insegna di una politica audace e aggressiva: il papa della Rovere viene citato già nel cap. XI, dedicato ai principati ecclesiastici, poi l’autore ritorna su di lui nel capitolo. XXV sulla fortuna, in cui afferma che Giulio II agì sempre in modo impulsivo e poco cauto, ottenendo comunque successi, mentre se avesse dovuto mutare la sua politica avrebbe incontrato secondo numerose difficoltà.

RICEZIONE DELL’OPERA TRA I CONTEMPORANEI

Il Principe conobbe subito una grande fama in Italia quando il suo autore era ancora vivo, benché il trattato circolasse in forma manoscritta (sarebbe stato stampato solo dopo la morte di Machiavelli) e ben presto avrebbe acquisito una diffusione europea grazie alle numerose traduzioni in altre lingue che diedero un’indubbia notorietà allo scrittore fiorentino.                  Il  Principe venne pesantemente criticato da ambienti ecclesiastici che ne condannavano la spregiudicatezza e l’arditezza di alcune tesi, fino alla messa all’Indice nel 1559, proprio l’anno in cui la censura della Chiesa cominciò a proibire la lettura di libri giudicati “pericolosi” sul piano religioso nell’ambito della cultura della Controriforma. Ciò non impedì la grande diffusione dell’opera anche fuori d’Italia, dove (come detto) ci furono numerose traduzioni in altre lingue tra cui il francese, l’inglese, il tedesco e lo spagnolo, mentre in seguito il libro sarebbe arrivato anche fuori dell’area culturale europea, venendo tradotto persino in greco e in arabo (soprattutto nel XIX-XX sec.).

sitografia:                                                                                                                                                                                https://letteritaliana.weebly.com/il-principe.html       


ARTICOLO DISARA RICOTTI DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO