Michel Eyquiem de Montaigne nasce nel 1533, nella regione di Périgord da una famiglia franco-spagnola. Venne educato prima in casa, con grande attenzione per la cultura classica, in particolare per il latino che si parlava in famiglia. Andò al Collège de Guyenne di Bordeaux, e studiò giurisprudenza a Tolosa e a Parigi. Divenne consigliere al parlamento di Bordeaux. Nel 1572 quando poi ottenne l’eredità del padre, si licenziò dalla sua carica, si ritirò nel suo castello e inizio a dedicarsi allo studio e alla scrittura dei gli Essais, che consistevano in un ampia raccolta di brani scritti senza seguire uno schema preciso, in cui Montaigne trattava di molti argomenti da un punto di vista soggettivo e personale, i suoi primi due libri uscirono nel 1580. Più tardi, si ammalò di calcoli, e con la scusa delle cure termali partì per un viaggio e si allontanò dalla Francia nel periodo delle guerre civili.

Michel de Montaigne fu anche un grande filosofo, la sua riflessione filosofica si caratterizza per la consapevolezza della fragilità della condizione umana, volubile, incostante e dominata dalle passioni. Nonostante la sua vita appartata e lontana dalla partecipazione diretta ai battiti dell’epoca, l’opera di Michel de Montaigne è tra le più significative del Rinascimento francese, e per sviluppare il suo pensiero filosofico si basò sui classici, in particolare su Socrate, gli stoici e l’epicureismo. Nella sua riflessione emerge soprattutto il confronto con il diverso, con i nuovi popoli che prima le scoperte geografiche, poi la colonizzazione, avevano posto il rapporto con la civiltà europea. La diversità culturale è uno specchio attraverso cui guardare la propria cultura, percependone, nel confronto, la relatività dei valori, il loro legame con un determinato contesto sociale, che gli sposi e dalla loro assolutezza e apre all’analisi il problema della loro validità. L’uomo per Montaigne era un essere privo di certezze e punti di riferimento, infatti, sosteneva che nessuna descrizione dell’uomo come essere stabile e ordinato era vera, dato che la nostra volontà è così debole da portarci ad essere persone incostanti e incoerenti. Egli osservò anche che il caso ci domina in quanto la nostra esistenza non ha un fine e non possiede dei punti fermi su cui poggiare e che siamo come formati da pezzetti che non riescono a incastrarsi fra loro e per questo non propone un ideale di uomo, fa notare inoltre che l’uomo è dominato dall’incompletezza poiché tende a desiderare ciò che non ha, quindi secondo lui poiché l’uomo è imperfetto non può essere considerato centro dell’universo, e non può essere considerato superiore alle altre creature solamente perché è stato creato ad immagine di Dio, perché siamo tutti sotto lo stesso cielo e abbiamo tutti la stessa sorte ovvero: la morte. Infatti, in uno dei suoi saggi contesta la contrapposizione tra selvaggi e uomini civilizzati; o meglio, la rovescia in favore dei primi.Secondo lui è solo a causa di una prospettiva centrata sugli stessi che giudichiamo “barbari” coloro che sono diversi da noi: ognuno prende come punto di riferimento gli usi e le opinioni prevalenti nel proprio paese e disapprova automaticamente quanto gli estraneo. Critica quindi l’antropocentrismo che era tipico della sua epoca e sosteneva che anche gli europei non dovevano sentirsi superiori nemmeno ai popoli dell’America chiamandoli barbari, unicamente per gli usi diversi dai loro; arriva a sostenere che le popolazioni considerate selvagge sono quelle più genuine e positive perché sono in uno stato di contatto più stretto con la natura. La civiltà allontanato gli uomini dalla semplicità originaria, che si manifestava invece nei cosiddetti selvaggi. Analizzò le differenze fra i popoli concentrandosi più particolarmente sul “modo” di fare guerra, così si rende conto che il “modo” degli europei è decisamente più spietato in confronto a quello delle popolazioni americane, grazie a ciò, per Montaigne la rivalutazione dei “selvaggi“ è l’occasione per guardare dall’esterno ai valori e alle convinzioni della nostra civiltà, per mettere in discussione ciò che è accettato in virtù della tradizione, ma non può essere dimostrato né come giusto, né, tantomeno, come superiore, quindi le diversità culturali sono tutte allo stesso livello, non ce n’è una superiore all’altra, arrivando così ad una conclusione: la ragione ha un limite perché non è uno strumento di conoscenza universale oggettiva. Montaigne aveva anche un’altra tesi, secondo lui la morte doveva essere affrontata senza paura poiché era una cosa naturale e inevitabile anzi era da considerarsi come la liberazione delle passioni e dai condizionamenti della vita, e che se la temessimo eccessivamente ci impedirebbe di vivere appieno la nostra vita facendone spreco, il suo scopo era quindi quello di educare alla morte fino ad arrivare a non averne più paura. Egli sosteneva una posizione moderata e conservatrice, che rifugge da ogni estremismo, eroismo o vittimismo. La sfiducia di Montaigne nel sapere è strettamente connessa con la condanna della presunzione di chi vuole cambiare il mondo, in una sintesi originale tra uno scetticismo metafisico o gnoseologico è una atteggiamento storico sul piano pratico, tutto orientato alla ricerca di una serenità interiore, indipendente dagli accadimenti esterni e dalla precarietà dell’esistenza umana. Il primo e fondamentale interesse dell’uomo, egli afferma, non può essere che solo se stesso. Chi sostiene di porre scopi altruistici al centro della propria vita, in realtà è mosso dall’ambizione, dalla ricerca del piacere, dal desiderio di gloria: dietro a ogni comportamento ritenuto altruistico è sempre individuabile la ricerca del proprio piacere come motivazione di fondo. Affermava che il piacere andava ricercato ma senza eccessi, che l’attività intellettuale non doveva richiedere un impegno né troppo eccessivo né troppo scarso, che l’uomo doveva liberarsi dei comportamenti estremi che durante la storia non hanno fatto altro che causare solamente conseguenze negative, come per esempio le guerre. Dal punto di vista religioso, per Montaigne ogni religione era uguale, non esisteva un criterio razionale in grado di giudicare la scelta di una dottrina, per cui era preferibile seguire la religione della propria tradizione culturale. Anche in ambito politico in Montaigne è presente un marcato scetticismo, alimentato anche dall’esperienza disastrosa delle guerre civili e delle loro rovinose conseguenze. Montaigne aveva accettato, infatti, di fare il sindaco; ma dice: “il sindaco e Montaigne sono sempre stati due, con una ben netta divisone”. Fare quel che occorre, ma niente più di quel che occorre: è questa la via della saggezza.

 

 

 

 

Gli Essais, la prima copia originale risale al 1580.


SITOGRAFIA:

https://www.studenti.it/michel-de-montaigne-filosofia-e-pedagogia.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Michel_de_Montaigne

BIBLIOGRAFIA: Il nuovo pensiero plurale, volume 2A, loescher


ARTICOLO DI GIORGIA LUPO DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO